venerdì 28 marzo 2014

Recensione: "Il canto della rivolta" di Suzanne Collins

Titolo: Il canto della rivolta
Autore: Suzanne Collins
Editore: Mondadori
Data di Pubblicazione: 14 Maggio 2013
Pagine: 421
Prezzo: 11,00 €

Trama:
Katniss ancora una volta è riuscita a sopravvivere all'arena, ora è nel distretto 13 assieme ai ribelli e ai pochi superstiti del distretto 12, distrutto dai bombardamenti per mano di Capitol City.
Mentre i distretti sono in rivolta e si organizzano per ribaltare il potere, Peeta è prigioniero nelle mani del presidente Snow.
Katniss nelle vesti della ghiandaia imitatrice, simbolo della rivoluzione, manda messaggi ai distretti incitandoli a non arrendersi e a ribellarsi al nemico.
La rivolta ha inizio...

Recensione:
L'ultimo capitolo della saga è il più tetro e complesso, sia dal punto di vista delle emozioni, che da quello delle vicissitudini e dei molteplici scenari in cui si svolge la narrazione.
Dal distretto 13 si passa all' 8 poi al 2 e infine siamo trasportati per le strade sotterranee e superficiali di Capitol City, dove avviene la fase finale della rivolta.
Il racconto (a differenza degli altri due libri che lo hanno preceduto, che hanno sempre mantenuto viva l'attenzione del lettore), presenta alcuni punti morti, in cui la lettura scorre lenta e pare in alcuni capitoli persino noiosa.
La Collins però ha l'enorme capacità di recuperare l'attenzione del lettore, difatti ogni capitolo termina con un colpo di scena che inevitabilmente impedisce di interrompere la lettura.
Meno avvincente degli scorsi, ma altrettanto emozionante.
Con questo libro abbiamo modo di conoscere meglio i personaggi, che nel corso dei tre anni, soprattutto a causa di quello che hanno subito, sono cresciuti e maturati.
Come è il caso di Prim che, ancora tredicenne, da piccola ragazzina spaurita che era nel primo libro si è trasformata in una piccola donna, sicura di sé e matura. 
E' lei ora a consolare Katniss, è lei che la fa calmare e la riporta alla ragione nelle situazioni di panico.
Finnick è un altro dei personaggi che conosciamo meglio in questo libro, ci rivela una parte sconosciuta del suo carattere, che nel precedente capitolo era parso piuttosto frivolo e superficiale.
Peeta è costretto invece a mostrarci un lato diverso, che probabilmente non gli appartiene, ma che lo avvicina più ai comuni mortali, piuttosto che agli angeli scesi in terra.
Scomparso l'innamoramento che gli faceva vedere Katniss come una creatura meravigliosa, la percepisce finalmente per come è davvero, quindi una ragazza egocentrica, egoista, eternamente indecisa, e propensa a giocare con i sentimenti degli altri.
O come meglio la definisce lui stesso una "bella stronza".

“— E dopo, c’è una gran quantità di baci. Non sembravano molto sinceri da parte tua. Ti piaceva baciarmi? — chiede. 
— A volte — confesso. — Lo sai che c’è gente che ci sta guardando, in questo momento?
— Lo so. E Gale? — continua. 
La mia rabbia sta tornando. Non me ne frega niente della sua guarigione, questi non sono affari dei tizi che stanno dietro lo specchio. — Anche lui non bacia male — dico seccamente. 
— E andava bene a tutti e due? Che tu baciassi l’altro? — chiede. 
— No. Non andava bene a nessuno dei due. Ma io non vi chiedevo il permesso — rispondo. 
Peeta ride di nuovo. Glaciale, sprezzante. — Be’, sei una bella stronza, non ti pare? 
Haymitch non protesta quando me ne vado. Cammino lungo il corridoio. Attraverso l’alveare delle unità abitative. Trovo in una lavanderia una tubatura calda dietro cui nascondermi. 
Ci metto parecchio prima di capire perché sono tanto indispettita. E, quando ci arrivo, ammetterlo è quasi troppo umiliante. 
Tutti quei mesi in cui ho dato per scontato che Peeta mi considerasse meravigliosa sono finiti. Adesso mi vede per quello che sono realmente. Violenta. Sospettosa. Manipolatrice. Letale. 
E lo odio per questo.”

Katniss è sempre lei, e forse in questo libro avrebbe dovuto essere un po' diversa.
Ancora eternamente indecisa sulla sua situazione sentimentale, scorbutica e permalosa, poco sensibile ed empatica soprattutto nei confronti della situazione difficile nella quale si trova Peeta.
Meravigliosa, solo quando piena di rabbia si ritrova a gridare tutto l'odio verso Capitol City e chi la comanda.

“Il presidente Snow dice che ci sta mandando un messaggio? 
Be’, io ne ho uno per lui. Potete torturarci, bombardarci, incenerire i nostri distretti, ma vedete questo? 
Il fuoco sta divampando! E se noi bruciamo, voi bruciate con noi!”

Molti i personaggi nuovi e l'interrogativo costante che affligge la protagonista e lo stesso lettore è:
di chi possiamo fidarci?

Un po' sottotono rispetto ai capitoli precedenti, quello di cui soprattutto si sente la mancanza in questo libro non sono tanto le emozioni in sé (quelle ci sono), ma le emozioni positive.
Poche scene struggenti, poco contatto umano, le situazioni più coinvolgenti sembrano volutamente evitate.
Anche la battaglia finale è caratterizzata da questo modus operandi.
Quando si arriva al clou della situazione, quando si arriva alla resa dei conti e al momento che tanto abbiamo bramato per tre libri, il tutto finisce senza dare nessuna soddisfazione.
E questa credo sia stata una scelta precisa della Collins, dopo tanta distruzione, dopo tanta morte, il lettore non può (giustamente) terminare la lettura sentendosi sereno e soddisfatto.
Vuoto e tristezza, questo è quello che si sente alla fine della lettura.
Perché dopo tanto dolore non si può essere felici, e quello che si deve fare è cercare di andare avanti, come cercheranno di fare i protagonisti della storia.

Considerazioni:
Se non hai letto il primo libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Inizio col dire che temevo già dal principio che quest'ultimo libro mi avrebbe entusiasmato meno dei precedenti, perché già dal titolo "Il canto della rivolta", e dall'andazzo dei precedenti, faceva presupporre una grande guerra finale... e a me le guerre, le battaglie infinite, sia nei libri che nei film, annoiano da morire.
Per fortuna qui c'è meno rivolta di quanta me ne aspettassi, e forse un po' di azione in più sparsa qua è là non avrebbe guastato.
E sapete cos'altro non avrebbe affatto guastato se ce ne fosse stato di più sparso qua e là? 
Peeta!!!
Il libro infatti si apre con Katniss al distretto 13 con quella palla al piede di Gale costantemente alle calcagna! In questo libro lui è onnipresente, la Collins ce lo rifila dappertutto, nelle spedizioni, nell'addestramento, nelle interviste, ce lo spaccia addirittura per una mente eccelsa capace di partorire straordinarie idee ed invenzioni!
Andiamo!!!  Gale un genio, ma chi ci crede? XDD
E oltre a propinarcelo in tutte le salse, la Collins, lo ha reso più insopportabile che mai: cattivo e senza scrupoli, capace di costruire una trappola per uccidere i bambini di Capitol City.
Se odiarlo nei precedenti libri mi era semplice, qui è una passeggiata.
Ho trovato raccapricciante e subdola la gara che lui faceva, con un ignaro Peeta, al gioco della sofferenza, ripetendosi "se soffro di più Katniss amerà me", ragionamento degno di una persona stupida quale lui si è sempre dimostrato di essere.
E mentre la prima donna Gale le studia tutte per stare al centro dell'attenzione, Peeta prigioniero di Capitol City sta subendo il lavaggio del cervello.
Anche in questa versione però non si può non amarlo, perché se prima vedeva Katniss attraverso le fette di prosciutto dell'amore, ora che è stato deviato, la vede per quella che è, o almeno per quello che è sempre stata con lui: una ragazza egoista e fredda, manipolatrice, che non si è fatta tanti problemi a giocare con i suoi sentimenti.
Katniss è stata un po' una delusione in questo libro, mi sarei aspettata che avesse ormai preso una decisione riguardo ai suoi sentimenti, invece resta indecisa quasi fino alla fine.
I momenti dolci, che lei e Peeta ci avevano regalato nei libri precedenti, qui sono molto radi.
Mi sarei aspettata da lei un po' più di comprensione rispetto alla situazione mentale di Peeta, invece da permalosa quale è, quando capisce di non essere più nelle sue grazie, diventa offesa e stizzita.
Mai che provi pena per le torture che lui ha dovuto subire, mai che si chieda cosa è stato per lui essere prigioniero, mai che provi a ricreare un rapporto e ad aiutarlo a fidarsi nuovamente di lei.
Se non fosse stato per Haymitch e la sua lavata di capo, probabilmente lo avrebbe anche ucciso.

“— Cosa stai cercando di fare? Di spingerlo ad aggredirti? — mi chiede. 
— Certo che no. Voglio solo che mi lasci in pace — rispondo. 
— Be’, non può. Non dopo quello che Capitol City gli ha fatto passare — dice Haymitch. — Senti, la Coin può anche averlo mandato lì sperando che ti uccida, ma questo Peeta non lo sa. Non capisce cosa gli è successo. Quindi non puoi prendertela con lui… 
— Ma non lo faccio! — esclamo. 
— Sì che lo fai! Lo punisci di continuo per cose che sono fuori dal suo controllo. 
Ora, non sto dicendo che non dovresti tenere un’arma ben carica a portata di mano ventiquattr’ore su ventiquattro, ma credo sia arrivato il momento che provi a invertire mentalmente la situazione. 
Se tu fossi stata catturata da Capitol City e depistata, e poi avessi cercato di uccidere Peeta, è così che ti tratterebbe lui? — chiede Haymitch. 
Mi zittisco. No. Lui non mi tratterebbe mai così. Tenterebbe di riportarmi indietro a qualunque costo. Senza respingermi, senza abbandonarmi o reagire con astio a ogni piè sospinto.”

Applauso per Haymitch!!! L'unico con un po' di cervello!
L'indifferenza di Katniss nei confronti dell'inferno vissuto da Peeta l'ho davvero mal sopportata!
Sempre con in testa e in bocca le parole "sarebbe meglio ucciderlo" lei e l'amichetto scemo suo (leggi prima donna Gale).
Questo è l'affetto che prova per le persone? Peeta non si sarebbe mai comportato così con lei!

Quando finalmente Katniss si rende conto di come è stata ingiusta con lui possiamo finalmente leggere una conversazione tra i due, in cui  riviviamo le vecchie sensazioni provate tra loro nei passati Hunger Games, e ritroviamo il nostro dolcissimo Peeta, che tramite il gioco del Vero/Falso cerca di fare chiarezza nei suoi ricordi confusi.

“Nel silenzio che segue, provo a immaginare di non essere capace di distinguere l’illusione dalla realtà. Di non sapere se Prim o mia madre mi vogliano bene. Se Snow sia il mio nemico. Se la persona dall’altra parte della stufa mi abbia salvato o sacrificato. Non serve che mi sforzi troppo, la mia vita si trasforma rapidamente in un incubo. 
Provo la voglia improvvisa di spiegare a Peeta ogni cosa: chi è lui, chi sono io, come siamo finiti qui. Ma non so come iniziare. Niente. Non valgo niente. 
Qualche minuto prima delle quattro, Peeta si rivolge di nuovo a me. — Il tuo colore preferito… è il verde?
 — Esatto. — Poi penso a qualcosa da aggiungere. — E il tuo è l’arancione. 
— L’arancione? — Sembra poco convinto. 
— Non l’arancione brillante. La sua sfumatura più tenue. Come il tramonto — dico. — O almeno è così che mi hai detto, tempo fa.
 — Ah. — Chiude gli occhi per un attimo, forse tentando di evocare l’immagine di quel tramonto, poi fa segno di sì con la testa. — Grazie. 
Ma altre parole sgorgano confuse dalla mia bocca. — Sei un pittore. Sei un fornaio. Ti piace dormire con la finestra aperta. Non metti mai lo zucchero nel tè. E ti annodi sempre due volte i lacci delle scarpe.”

Come ho già detto nella recensione, in questo libro abbiamo modo di conoscere meglio e apprezzare maggiormente alcuni personaggi, (oltre  a conoscerne di nuovi), come Johanna, Finnick e Prim.
Johanna sempre forte e pungente ci mostra una parte della sua fragilità.
Conosciamo meglio anche Finnick, la storia di come il presidente Snow lo abbia usato e come lui abbia subito il tutto per proteggere i suoi affetti.
Il suo amore per Annie, il suo desiderio di proteggerla e di esserle vicino, sempre, me lo ha fatto paragonare a Peeta.
Entrambi dolci e protettivi nei confronti di chi amano, entrambi farebbero di tutto per salvaguardare il loro amore.
La morte di Finnick l'ho trovata orribile e ingiusta, una perdita che posso comprendere ai fini della storia, perché per rendere credibile una battaglia del genere anche qualche buono purtroppo doveva necessariamente morire, ma che non riesco ad accettare.
Avrei preferito vedere sbranato Gale dagli ibridi puzzolenti, non lo nego XD
Un'altra morte che non ho accettato, è stata quella della piccola Prim T_T
In questo libro era cresciuta, era diventata coraggiosa e matura, abbiamo letto del suo desiderio di studiare e diventare un medico, di aiutare le persone in difficoltà.
Lavora all'ospedale ed è l'unica che riesce a far ragionare davvero Katniss.
La sua morte porta la protagonista e il lettore alla sensazione di vuoto e tristezza che personalmente mi ha accompagnato fino al termine della lettura.
La consapevolezza che, la battaglia sarebbe finita, ma che nulla sarebbe stato davvero come prima, che nessuno avrebbe gioito della vittoria, non ci sarebbe stata nessuna soddisfazione finale.
Ed è questo che manca in queste pagine e che lascia svuotati.
Dopo aver letto tre libri e aver aspettato con ansia la vittoria finale, la vendetta, la fine del regime di Capitol City, tutto si conclude senza nessuna sensazione di vittoria.
E questo credo sia stato proprio l'effetto che la Collins voleva dare, voleva che noi lettori ci sentissimo esattamente come i protagonisti, che, pur aver vinto la guerra, hanno perso molto.
Anche l'amore tra Peeta e Katniss, che ci viene rivelato, in modo molto carino, a fine libro non dà la felicità che mi sarei aspettata di provare.
Eppure anche questa era una cosa che attendevo sin dal primo libro, ma, dopo tanta tristezza come si può gioire?
Sono stata comunque molto felice per Peeta, inizialmente ho temuto che alla fine Katniss lo scegliesse solo perché, dopo quello che era successo a Prim (la sua morte causata da una bomba costruita da quel geniaccio di Gale -_-), non riuscisse più a guardare Gale senza provare risentimento nei suoi confronti, e non avrei mai voluto questo per Peeta.
Lui merita di più, lui merita di essere amato davvero e non di essere l'unica alternativa alla solitudine.
Per lo stesso motivo, pur desiderandola ardentemente, non avrei mai voluto la morte di Gale, perché in quel caso Katiniss non avendo alternative sarebbe stata esonerata dalla scelta.
Invece le sue parole finali le ho trovate molto belle, e confermano quello che ho sempre pensato.
Lei ama Peeta perché non può fare a meno di lui.
Lui la completa e fa uscire la parte migliore di lei, quella più dolce e tenera *-*

“Io e Peeta ricominciamo a crescere insieme. Ci sono ancora momenti in cui lui afferra lo schienale di una sedia e aspetta finché i flashback non sono finiti. Io mi risveglio urlando da incubi di ibridi e bambini perduti. 
Ma le sue braccia sono lì a darmi conforto. E in seguito le sue labbra. 
La notte in cui provo di nuovo quella sensazione, la fame che mi aveva assalito sulla spiaggia, so che tutto questo sarebbe accaduto comunque. 
Che quello di cui ho bisogno per sopravvivere non è il fuoco di Gale, acceso di odio e di rabbia. Ho abbastanza fuoco di mio. 
Quello di cui ho bisogno è il dente di leone che fiorisce a primavera. Il giallo brillante che significa rinascita anziché distruzione. La promessa di una vita che continua, per quanto gravi siano le perdite che abbiamo subito. Di una vita che può essere ancora bella. 
E solo Peeta è in grado di darmi questo. 
Così, quando sussurra: — Tu mi ami. Vero o falso? — io gli rispondo — Vero.”

Vero!
Il gioco del Vero/Falso che li ha pian piano riavvicinati, suggella finalmente l'inizio del loro amore.

Un libro amaro, ma di cui ho apprezzato la verità e il realismo soprattutto nelle sensazioni che mi ha dato durante e a fine lettura. 
Tristezza perché avrei voluto essere più felice, tristezza perché questi personaggi (quasi tutti, ovviamente Gale è escluso) mi mancheranno tantissimo ;__;
Ringrazio la Collins per le emozioni che mi ha regalato e per aver dato vita a uno dei personaggi più dolci che abbia mai letto.
Peeta sappi che non ti dimenticherò XD ♥


il mio voto per questo libro

giovedì 27 marzo 2014

WishList #1

Nuova rubrica del blog!!!
La nostra personale WishList, una sorta di promemoria in cui annoteremo, e condivideremo con voi, la lista dei libri che vogliamo aggiungere alla nostra libreria.
Questa rubrica verrà aggiornata di tanto in tanto, quando aggiungeremo nuove entrate o spunteremo le new entry che presenteremo poi nella nota rubrica "In my Mailbox"

La nostra WishList ora vede segnati i seguenti titoli:

"Dopo" di Koethi Zan
"Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop" di Fannie Flagg
"L'atlante delle nuvole" (Cloud Atlas) di David Mitchell
"Il bizzarro incidente del tempo rubato" di Rachel Joyce
"Le ho mai raccontato del vento del nord" di Daniel Glattauer
"La confessione" di Kanae Minato

Cosa c'è invece nella vostra WishList?

martedì 25 marzo 2014

Recensione "Chocolat" di Joanne Harris

Titolo: Chocolat
Autore: Joanne Harris
Editore: Garzanti
Data di pubblicazione: 2009
Pagine: 352
Prezzo: 9,90 €
Trama:
È martedì grasso quando nel villaggio di Lansquenet arrivano Vianne Rocher e sua figlia Anouk.
La donna è assai diversa dagli abitanti della cittadina (persone ingrigite ed immusonite), simpatica e gioviale, sfacciata e allegra, porta assieme a sua figlia una ventata di aria nuova e di colore in città.
Vianne e la piccola prendono posto in una panetteria in disuso, che in poco tempo trasformano nella "Céleste Praline": un'invitante e golosa cioccolateria a due passi dalla chiesa del paese.
La Céleste Praline ben presto diviene un elemento di disordine, soprattutto per il giovane curato Francis Reynaud.
Il tranquillo villaggio si lascia trascinare dalla novità, diventando più vivace, ribelle e soprattutto più felice.
Questo entusiasmo sarà però malvisto dal parroco che cercherà in tutti i modi di sventare quella che lui considera una minaccia per "il suo gregge" e riportare il rigore in paese.

Recensione:
Un romanzo dolce in tutti i sensi, non solo per la cioccolata, ma per i sentimenti e le emozioni nel quale indaga e indugia con estrema gentilezza.
Ed è questo che, soprattutto, si apprezza in queste pagine, la profondità dei rapporti, la tenerezza del rapporto madre/figlia, i sentimenti taciuti, tenuti segreti nell'animo e confidati davanti ad una tazza di ottima cioccolata calda.
La storia è originale e ben scritta, Joanne Harris ha un modo di scrivere che coinvolge e cattura.
Un racconto sensoriale in cui profumi, suoni, e colori acquisiscono un'importanza fondamentale, fino a diventare essi stessi protagonisti della storia.
Oltre che ai sensi la Harris dà importanza alle sensazioni e alle emozioni.
Ed è attraverso queste, attraverso ricordi e memorie nascoste in scatole di sandalo, che i personaggi vengono man mano fuori.
Li conosciamo a poco a poco con lo scorrere delle pagine, scopriamo le loro anime, il loro passato, un pezzetto alla volta.
Vianne da donna allegra, avventurosa, libera, e fiera di questa libertà, si rivela essere una donna perseguitata da un passato oscuro, come l'uomo nero che tormenta i suoi sogni.
I suoi viaggi non sono più sinonimo di indipendenza, ma di fuga dalla sua paura più grande.
Essere nomadi non è una volontà, ma una necessità.
A Lansquenet però, Vianne inizia a pensare di poter mettere radici.
Forse finalmente ha trovato un luogo sicuro, da poter chiamare casa.
La donna però non ha fatto i conti con il bigottismo del parroco e di molti dei suoi discepoli.
Ed è così che nasce l'antagonismo fra questi due personaggi così diversi, che avremo modo di conoscere proprio tramite la loro stessa voce.
Il libro è infatti alternato in capitoli in cui, in alcuni, è Vianne a raccontarci la sua storia dal suo punto di vista, e negli altri sentiamo invece la versione di padre Reynaud.
Apertura contro bigottismo, solidarietà contro razzismo.
Con ironia e delicatezza Joanne Harris ci mette di fronte a tematiche così serie e importanti senza farcele percepire pesanti.
Un libro, romantico, profondo, tenero, con personaggi bellissimi e complessi da scoprire.
Alcuni da odiare, altri da amare, molti da conservare nel cuore.
Un libro dolce e amaro, come la cioccolata.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Adorabile.
Se dovessi scegliere una parola è così che definirei questo libro.
Sono sicura che lo avrei apprezzato anche di più se non avessi già conosciuto la storia (eh si, purtroppo ho visto il film più di una volta).
La trama è originale, e il tema importante.
Non si parla solo di cioccolata, sebbene se ne parli davvero tanto *Q*__
Il tema affrontato è quello della discriminazione, del razzismo e del bigottismo.
Il piccolo paesello di Lansquenet viene trascinato a provare sentimenti d'avversione, verso chiunque gli sia estraneo, il paradosso è che, chi li incita a questo comportamento inumano, è proprio chi con la sua parola dovrebbe predicare solidarietà e comprensione verso il prossimo.
Curé Reynaud, che dovrebbe essere la figura che in città rappresenta ed incarna la solidarietà, la bontà, la buona fede, è in realtà colui che mette zizzania, spingendo la sua gente all'indifferenza e alla discriminazione.
Pettegolo, manipolatore, geloso, anche lui con una storia ed un passato nascosto che, alla realtà dei fatti, fa apparire ancora più orrendo e ingiusto il suo puntare sempre il dito contro tutto e tutti.
"Chi è senza peccato scagli la prima pietra", e lui sicuramente non ne avrebbe potuta scagliare mezza.
Il peccato alberga nel suo cuore con dimora fissa da troppo tempo, e senza manifestare traccia di pentimento o tentativo di redenzione.
Il suo comportamento non ha giustificazioni, è la classica persona che accusa gli altri delle proprie colpe e vede negli altri i propri difetti.

Se in colui che avrebbe dovuto essere un faro per il suo gregge ho visto solo ingiustizia e cattiveria, nelle due straniere sue "nemiche" ho visto l'amore, la bontà e la dolcezza.
Vianne Rocher seppur non credente si dimostra molto più umana di chi dovrebbe predicare umanità.
Ascolta senza giudicare, ha il potere di capire le persone, le aiuta a crescere e cambiare, ad affrontare le proprie paure, anziché continuare a fingere che non ci siano.
Ed è proprio questo che Vianne porta a Lansquenet: il cambiamento, la rinascita.
E anche in lei c'è il cambiamento, eternamente in fuga dalle sue paure, capisce che restare è la scelta più coraggiosa.

Ho adorato la tenerezza con cui viene descritto il rapporto tra lei e sua figlia Anouk.
Vianne vive nel costante terrore di perderla, nella paura di essere una cattiva madre.
Anche il rapporto tra Vianne e sua madre ci viene raccontato con dolcezza, ma c'è sempre una vena di malinconia e tristezza nel suo ricordo.
Una sorta di rancore, nei confronti di una vita (e di una madre), che le ha dato molto, ma le ha, allo stesso tempo, tolto tanto.
Le ha negato la stabilità, la famiglia, le amicizie e persino l'idea di cosa sia "essere a casa".
Una vita avventurosa, ma dura, che le ha messe difronte a realtà differenti e a diverse reazioni della gente, che in ogni città erano poi sempre le stesse.
Negli occhi di chi le guardava, che si trovassero a Parigi, a Milano, a Vienna o a New York, era facile leggere le stesse cose: pena, indifferenza, indignazione, diffidenza.
E Vianne negli occhi di sua madre sapeva riconoscere la paura, la stessa paura che ora, irrazionalmente, perseguitava lei: quella di essere separata da sua figlia.
Probabilmente la paura che sua madre aveva per "l'uomo nero", non era tanto irrazionale quanto lo era per lei.
Vianne, nel ricordare sua madre, rammenta una sua confessione (forse causata dalla morfina), in cui le lascia intendere di averla rapita e di non essere quindi sua madre naturale.
La stessa Vianne non intende andare a fondo con questa questione, lascia se stessa e noi con il dubbio.

“« P-eeer-saa», ha ripetuto disperata, e ha cominciato a piangere. 
L'ho consolata come meglio ho potuto, ricacciando i ritagli nella cartella. 
Mentre lo facevo ho notato che molti parlavano dello stesso caso, la scomparsa a Parigi di Sylviane Caillou, di diciotto mesi. Sua madre l'aveva lasciata due minuti legata con la cintura al sedile dell'automobile mentre andava in farmacia, e quando era tornata la bimba non c'era più. 
E non c'erano più neanche la borsa con i ricambi e i giocattoli della bimba, un elefante di pezza rosso e un orsetto marrone. 
Mia madre mi ha visto scorrere l'articolo e mi ha sorriso di nuovo. 
«Credo che allora tu avessi due anni», ha detto con voce furba. 
«O quasi due. E lei era molto più bionda di te. Non potevi essere tu, no? E in ogni caso, ero una madre migliore di quanto fosse quella». 
«Certo che no», ho detto. 
«E tu eri una buona madre, una madre meravigliosa. Non preoccuparti. Non avresti fatto niente che mi mettesse in pericolo». 
Mamma si dondolava e sorrideva. 
«Imprudente», ha cantilenato. «Solo imprudente. Non si meritava una bambina carina come quella, no?». 
Ho scosso la testa, improvvisamente sentivo freddo. 
Infantile: «Non ero cattiva, vero, Vianne?». 
Sono rabbrividita. Le pagine sembravano squamose fra le dita. «No», l'ho rassicurata. «Non eri cattiva». 
«Mi sono occupata di te come si deve, vero? Non ti ho mai abbandonata. Neanche quando quel prete ha detto... ha detto quello che ha detto. Io mai». 
«No, maman. Non l'hai mai fatto». 
Il freddo adesso era paralizzante, rendeva difficile pensare. Tutto quello che riuscivo a pensare era il nome, così simile al mio, le date... E poi figurarsi se non mi ricordavo l'orsacchiotto, l'elefante, la stoffa consumata fino alla tela rossa, portati instancabilmente da Parigi a Roma, da Roma a Vienna?... Certo, poteva essere un'altra delle sue idee fisse. Ce n'erano altre, come il serpente sotto le coperte del letto e la donna negli specchi. 
Avrebbe potuto essere una finzione. Nella vita di mia madre quel genere di cose contava moltissimo. E poi... dopo tanto tempo, che cosa importava?”

Io tendo a credere a questa versione, perché solo così si giustificherebbero le manie di persecuzione di questa donna, e il suo voler continuare a fuggire senza mai stabilizzarsi in nessun posto.
Vianne desidera per sua figlia una vita diversa, meno dura e più stabile, un'infanzia degna di questo nome.

“Venticinque anni, e alla fine la primavera si è fatta stanca, proprio come era diventata stanca negli ultimi anni mia madre. Mi sorprendo a guardare il sole e a chiedermi come sarebbe se lo vedessi sorgere sullo stesso orizzonte per cinque - o dieci, o venti - anni.
Il solo pensiero mi fa venire una strana vertigine, un sentimento di paura e desiderio. 
E Anouk, la mia piccola straniera? 
Ora che sono la madre, vedo in una luce diversa la coraggiosa avventura che abbiamo vissuto per tanto tempo. 
Mi vedo com'ero, la ragazzina bruna dai lunghi capelli spettinati, che indossa abiti scartati dai negozi di seconda mano, che impara la matematica nel modo più duro, la geografia nel modo più duro: Quanto pane per due franchi? 
Fino a dove potremo viaggiare con un biglietto del treno da cinquanta marchi? 
E per lei non voglio lo stesso"

In queste pagine mi sono innamorata delle descrizioni, l'autrice punta tutto sulle percezioni, descrive suoni, odori, profumi fino a farli percepire a chi legge.
In maniera ugualmente precisa ha dato vita a dei personaggi meravigliosi.

Armande Voizin è tra i personaggi che ho apprezzato di più.
La più anziana della città eppure la più aperta e meno bigotta.
Spiritosa, pungente e sarcastica, è l'unica che sa mettere Reynaud al posto suo.
Conosce lui meglio di chiunque altro in città, conosce il suo passato e sa quanto è meschino, per questo non riconosce la sua autorità ecclesiastica e ancor di più lo disprezza.

Guillaume Duplessis, con il suo inseparabile cagnolino Charly, mi ha commosso.
Leggere del suo attaccamento viscerale al suo compagno di vita, il non volersene separare, il suo continuo domandarsi se anche gli animali vanno in paradiso, è stato allo stesso tempo dolce e straziante.
Ho compreso il suo dolore, e mi sono affezionata davvero tanto a questa bellissima coppia, in cui uno era bastone e sostegno dell'altro.

Joséphine Muscat è il personaggio che più di tutti è cambiato dall'inizio del romanzo.
Da insicura, triste e sfuggitiva che era, è diventata una donna forte, determinata e intraprendente.
Vianne le ha dato la forza per reagire agli abusi del marito, una spalla a cui appoggiarsi per rimettersi in piedi.
Le ha dato fiducia e ha creduto in lei, cose che, fino a prima del suo arrivo, le erano sempre mancate.

Una realtà, quella descritta in queste pagine, che seppur può sembrare lontana anni luce dalla nostra, è in verità fin troppo attuale, soprattutto nei piccoli paesini, dove bigottismo e pregiudizio sono purtroppo la norma.
Di personaggi come Curé Reynaud (siano essi uomini di chiesa o no), e di pettegole maligne, come Caroline Clairmont e le sue amiche, ne è pieno il mondo.
La chiesa, come ben sappiamo, non sempre è simbolo di santità e di giustizia, le persone di cuore invece possono essere ovunque, e chiunque.

In conclusione consiglio di leggere questo libro in primavera o in concomitanza con il periodo in cui è narrato, ovvero febbraio/marzo.
Inoltre, prima di iniziare la lettura, vi consiglio di assicurarvi di essere ben provvisti di cioccolata! Leggendo ve ne verrà sicuramente voglia! ^__^

Breve confronto con il film:
Le differenze tra il libro e l'omonima trasposizione cinematografica sono poche, ma fondamentali ai fini non tanto della storia, quanto del suo significato.
Nel film la parte del cattivo non è affidata al parroco, bensì al sindaco della città, e questa l'ho vista quasi come una censura, perché non c'era nessun altro buon motivo valido per questo cambiamento.
Nel libro non c'è nessun sindaco bacchettone, e nel film il curato è solo un giovanotto timoroso e ingenuo che si fa condizionare da un primo cittadino fin troppo invadente.
Questo passaggio di ruolo modifica del tutto il senso del racconto, che vuole proprio dimostrare come essere uomini di chiesa non significhi necessariamente essere uomini giusti, al contrario mostra l'ipocrisia di chi predica bene e razzola nel peggiore dei modi.

Curiosità:
Chocolat non è un romanzo autoconclusivo, ma è il primo libro della trilogia che ha come protagoniste Vianne Rocher e sua figlia Anouk.
Completano la serie: "Le scarpe rosse" e "Il giardino delle pesche e delle rose".


il mio voto per questo libro

venerdì 21 marzo 2014

Recensione: "Cosa vuoi fare da grande" di Angelo Orlando Meloni e Ivan Baio

Titolo: Cosa vuoi fare da grande
Autore: Angelo Orlando Meloni e Ivan Baio
Editore: Del Vecchio
Data di pubblicazione: Novembre 2013
Pagine: 184
Prezzo: 12,00 €

Trama:
Guido Pennisi e Gianni Serra sono due bambini strani; nessuno sembra accorgersi di loro nella Scuola elementare Attilio Regolo di Milano. Figuriamoci il giorno più atteso dell’anno, il giorno in cui l’anonimo istituto si prepara ad accogliere il più famoso e ricco inventore di sempre, colui che ha dato alla luce il “futurometro”, una macchina destinata a cambiare il futuro dei ragazzi e il sistema dell’istruzione italiana. 
È tutto pronto nella palestra: festoni appesi, mamme in ghingheri, autorità tirate a lucido. 
Un’Italia da sempre provinciale è accalcata in quello stanzone, un Paese di adulti mancati pronti a lavarsi le mani del futuro dei loro pargoli con la benedizione della tecnica. 
La sfida finale alle fantasie infantili è cominciata ma, forse, gli adulti non hanno fatto i conti con i terribili gemelli Smargotti della III F. 

Recensione:
"Cosa vuoi fare da grande" è un romanzo originale e fuori dalle righe.
Ci racconta in modo cinico e tragicomico la storia di più personaggi che cercano di barcamenarsi e trovare un loro posto nel mondo.
I protagonisti sono due ragazzini, Guido e Gianni, isolati e reietti. 
L'uno troppo scontroso e ribelle, l'altro troppo insicuro e timido per andare d'accordo con i coetanei.
Diventano l'uno il solo amico dell'altro, unico sostegno in una classe che li evita e li deride.
Ma ci sono altri protagonisti in questa storia, e sono soprattutto loro che dimostrano la crudeltà, il cinismo, l'arroganza e l'indifferenza di cui è capace la specie umana.
Se i bambini, lo sappiamo, sanno essere spesso crudeli con i loro compagni, quello che più lascia interdetti è il comportamento, ancora più infantile e spregevole, delle loro mamme e insegnanti.
Maestre che puniscono non chi è colpevole, ma chi va loro meno a genio, mamme che litigano e si fanno i dispetti. 
Assistiamo anche ad altri fenomeni attualmente troppo diffusi: la ricerca spasmodica di un futuro nel mondo del lavoro, chi per avere un posto di rilievo dà via se stesso e la propria dignità scendendo a compromessi, e chi, pur di rincorrere la mera speranza di un lavoro retribuito, accetta la "rosea" opportunità dello stage gratuito.
Nulla di fantascientifico quindi, se non il pretesto di un macchinario, il futurometro, che promette di cambiare il futuro, rivelando ad ognuno la professione al quale è destinato.
E alla conclusione la verità: in un mondo come questo nessuno è libero, sono i soldi a dare la libertà, soprattutto la libertà di dire ciò che si pensa.
E nella vita bisogna accettare che non si sarà mai felici, l'unica speranza è quella di trovare una persona di cui fidarsi e a cui appoggiarsi, con la quale brancolare insieme nel buio, e nell'incertezza. 

“La verità è che se non siete pieni di soldi come me tanto vale giocare d’azzardo, tanto vale scommettere su qualcuno, su qualcuno per cui ne valga la pena e andare avanti al buio, allora, ma in due”

Il racconto è narrato in maniera originale e ironica.
Quello che soprattutto stupisce in queste pagine è la fantasia, che si nota anche nella terminologia inventata per definire mestieri, luoghi e situazioni.
La narrazione si concentra su personaggi differenti ad ogni capitolo.
Così si passa dalla storia di Guido e Gianni, a quella di Volkan, l'inventore del futurometro.
Conosciamo poi Onofrio, il neo-laureato barese in cerca di un lavoro, le isteriche mamme degli alunni della III F, fino a fare la conoscenza del torrido passato della direttrice Gemma Tuttacani.
Il racconto, forse anche per questo, risulta confusionario, o pare sempre interrompersi sul più bello. 
Alcune storie sono interessanti, altre meno, e non tutte riescono a coinvolgere allo stesso modo.
Il libro non racconta cose nuove, narra la realtà che conosciamo e a cui siamo abituati, ma ce la racconta come se fosse una favola, rendendola pertanto ancora più surreale e grottesca.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Questo libro mi è piaciuto molto per alcune cose e molto meno per altre.
Ho apprezzato il modo di raccontare, spesso ironico e pungente, ma all'occorrenza anche dolce e molto profondo, mi hanno inoltre colpito la fantasia e l'originalità sempre presenti in queste pagine.
Ho adorato alcuni personaggi, come i due bambini e il nonno di Gianni, che fa una breve apparizione, ma è quella che si può definire "breve ma intensa".
Mi ha fatto simpatia, e anche un po' pena, il povero stagista Onofrio, che anela la felicità, alla quale però non sembra purtroppo essere destinato.
Il futurometro ha in serbo un futuro ideale anche per lui, ma non è certo quello che lui aveva immaginato.

“Il soggetto Onofrio Ora è un kamikaze. 
Onofrio Ora si imbottirà di esplosivi e potrà raggiungere il massimo benessere compatibile con le sue caratteristiche psicoprofessionali detonando in un luogo pubblico. 
Si individua il luogo adatto al conseguimento della felicità nel Ministero della Pubblica Istruzione nel quale il soggetto Onofrio ora sta svolgendo uno stage che non sarà convertito in un contratto di lavoro con probabilità del 99,6%.”

Mi ha fatto tenerezza la maestra Anna Maria Amelia Rosa Tizzone, che non reagisce nemmeno quando Guido la infilza con la "sua" bic verde (estorta in realtà ad un compagno di classe).
Lei, innamorata dell'idea di un uomo che non ha mai conosciuto, e che in realtà non sa essere altro che un computer.
Alcune storie non mi sono proprio piaciute, come quella di Volkan all'università, credo che lo scopo di tutta la faccenda (lui che viene scambiato per un kamikaze dall'intera classe e dal prof in panico), fosse quello di divertire, ma a me non ha divertito, anzi, durante la lettura non vedevo l'ora che quella parte del racconto terminasse.
E anche tutta la scena delle mamme che spettegolano l'una dell'altra, in una specie di staffetta, l'ho trovata noiosa e confusionaria.
Troppi nomi e troppi personaggi (non fondamentali ai fini della storia), da tenere a mente.
I personaggi odiosi (che sono però necessari in qualsiasi racconto, perché c'è sempre bisogno di qualcuno da odiare e a cui dare la colpa di tutte le disgrazie), sono la signora Sofia Smargotti e la direttrice Gemma Tuttacani.
Quest'ultima, in un frangente del racconto, accusa gli innocenti Guido e Gianni di aver causato l'incendio.
Non vuole sentire ragioni e si rivolge a loro con parole tanto dure e offensive da tramortire la sicurezza del bambino più arrogante al mondo.

“– Non c’è bisogno del futurometro per sapere certe cose. Voi siete due falliti. 
Vivrete ai margini della società, non avrete denaro da spendere, non avrete donne che vi desiderano, non avrete famiglie che vi rispettano, sarete incapaci d’amare qualcuno per davvero e consumerete le vostre notti sospirando per le occasioni mancate che non mancheranno di farvi invecchiare nel dolore. 
La scuola per quelli come voi non può nulla. Non sapete fare niente e mai imparerete a fare qualcosa, nemmeno un festone degno di questo nome. La vostra mancanza di talento è assoluta.”

Un libro che, sotto forma di favola, rivela una grande e assoluta verità: il mondo è un posto ingiusto, i cattivi non vengono puniti, i buoni lo sono sempre anche se ingiustamente. 
Alcune persone, seppur immeritatamente, riescono ad ottenere tutto, altre pur impegnandosi, non ottengono i risultati sperati. 
C'è chi è fortunato e chi non lo è, chi è destinato ad essere felice e chi, come il povero Onofrio, non troverà mai la felicità.
E non è vero che la ruota gira per tutti, gira si, ma sempre dalla stessa parte.


il mio voto per questo libro

giovedì 20 marzo 2014

Presentazione: "Oltre il confine" di Ilenia Bellezza

Salve avventori!
Oggi voglio presentarvi il libro di una scrittrice esordiente, Ilenia Bellezza.
Ilenia in "Oltre il confine" ci racconta una storia d'amore, fatta di dubbio e passione, ambientata nella bellissima città di Como.

Titolo: Oltre il confine
Autore: Ilenia Bellezza
Edito: Youcanprint
Data di pubblicazione: 23 ottobre 2013
Pagine: 310 
Prezzo: cartaceo 14,00 € / ebook 2,99 €



Trama:


Sabrina Baldi è una giovane ragazza di diciannove anni, con un grande sogno nel cassetto: diventare pediatra. Prima di affrontare il lungo percorso universitario decide di passare la sua estate a Como, luogo della sua infanzia, per sostituire la nonna Ginevra nel suo lavoro. Un impiego di soli due mesi, che la vedrà al fianco di Flora una amica di infanzia della madre, nella preparazione di alcune serate di beneficenza. Ma i suoi piani verranno stravolti quando incontrerà Aleksander Savi, un ragazzo affascinante, tenebroso, ma dall'animo oscuro. Le loro vite presto si metteranno a confronto in una lotta tra attrazione e amore, dove Sabrina, sprovveduta alle prime armi, cercherà di domare la passione che la spingerà verso questo ragazzo enigmatico e dalla bellezza travolgente. 
Quello che ancora non sa è che la terra rossa della Sierra Leone brucia negli occhi azzurri di un bambino diventato uomo. E la scintilla che anima il suo odio è la sola cosa che Sabrina deve temere insieme alle ombre di un passato che giacciono ferme in attesa del momento propizio.


Autore:

Ilenia Bellezza è nata nel 1984. 
Vive in Alessandria con il marito e la sua famiglia. 
La storia di Aleksander e Sabrina si è fatta strada nella sua mente appena dopo la Laurea, e come un tornado l'ha rincorsa fino alla realizzazione del suo primo libro.


Per ulteriori informazioni potete visitare:
il sito dell'autrice
e la pagina facebook dedicata al romanzo.

martedì 18 marzo 2014

Recensione: "Gli ingredienti segreti dell'amore" di Nicolas Barreau

Titolo: Gli ingredienti segreti dell'amore
Autore: Nicolas Barreau
Editore: Feltrinelli
Data di pubblicazione: Settembre 2011
Pagine: 240
Prezzo: 15,00 €

Trama:
Aurélie Bredin è una giovane cuoca che gestisce un piccolo ristorante di successo a Parigi, Le Temps des Cerises. La sua vita scorre lenta tra i menù che seleziona con il cuoco, e quasi secondo padre, Jacquie, le chiacchierate con la cara amica Bernadette, e le uscite con il fidanzato Claude. Ma una notte di novembre cambierà tutto. Un biglietto, un paio di frasi lette tutte d'un fiato, e la vita di Aurelie non sarà più la stessa. Ma il futuro non porta solo delusioni, e la bella cuoca francese sarà la prima a scoprirlo.

Recensione:
Questa è la storia di un mistero, di un equivoco, di un inganno, ma soprattutto la storia di un amore. 
Quella che vi sto per presentare infatti appare, sin dalle prime pagine, come la tipica commedia romantica. 
Una di quelle che si vede nei film, in cui sai che i protagonisti dovranno affrontare un bel po' di peripezie, ma alla fine avranno il loro lieto fine.
Se per molti questa mia affermazione può costituire la trama perfetta di un libro perfetto, per me purtroppo non è così.
In genere prediligo romanzi dai risvolti drammatici (in particolare i distopici che hanno il dramma già incluso nel pacchetto) che permettono, nel bene e nel male, di provare forti emozioni nel corso della lettura, ragion per cui mi riesce alquanto difficile apprezzare appieno romanzi di questo genere.
Ho bisogno di chiedermi cosa accadrà, come la storia andrà a finire, e nei libri come questo hai quasi la certezza che ciò che hai immaginato nei primi capitoli, accadrà per davvero.
Credo che questa sia la vera debolezza del romanzo, uno svolgimento dei fatti fin troppo prevedibile e ben poche sorprese.
E con questo non dico che non ce ne siano.
Una la troviamo già nel secondo capitolo, quando la narrazione si sposta da Aurélie ad André Chabanais, affascinante editor francese, che da questo momento diventerà il secondo protagonista della nostra storia.
Se il primo capitolo era dedicato a "Mademoiselle Bredin", ai suoi pensieri, alle sue parole e alle sue giornate (è narrato in prima persona), da quello successivo saranno equamente divisi ed alternati tra lei e il personaggio maschile, le cui vicende saranno destinate ad incontrarsi. 
Questa è una delle cose che ho apprezzato di più, ed intendo sia lo spostamento del punto di vista, sia il poter vedere gli stessi eventi narrati secondo due angolature differenti.
Un'altra cosa che mi ha piacevolmente colpito è la caratterizzazione dei personaggi e non mi riferisco solo a quelli principali. Difatti, sebbene Aurélie e André debbano, per ovvie ragioni, incarnare uno stereotipo, presentano alcuni aspetti che li rendono interessanti. In particolare la ragazza, che ammette candidamente di non aver mai letto un libro in vita sua, che colleziona pensieri da affiggere al muro, che nei momenti di sconforto pianta fiori.

Quando gli preparai le omelette, lui disse che a una ragazza capace di cucinare omelette del genere erano concesse tutte le manie che voleva. 
A proposito di manie: quando sono triste o inquieta compro dei fiori. 
Naturalmente i fiori mi piacciono anche quando sono felice, ma nelle giornate in cui va tutto storto i fiori segnano l’inizio di un nuovo ordine, un ordine che resta perfetto qualunque cosa accada. Metto qualche campanula in un vaso e sto meglio. Pianto fiori sul mio vecchio balcone di pietra che dà sul cortile e ho subito la gratificante sensazione di fare la cosa giusta. 
Con grande cura tolgo le piante dai fogli di giornale, le tiro fuori con delicatezza dai contenitori di plastica e le sistemo nei vasi. Quando affondo le mani nella terra umida e la sento tra le dita, tutto diventa più semplice: stempero le preoccupazioni con cascate di rose, ortensie e glicini.

In fondo ognuno di noi ha le proprie complessità, le proprie idiosincrasie e fissazioni. 
Ci sono cose che facciamo e cose che non faremmo mai, o soltanto in determinate circostanze. Cose di cui gli altri ridono, o disapprovano, o se ne meravigliano. Cose stravaganti, che sono solo nostre. Io, per esempio, colleziono pensieri. 
Una delle pareti di camera mia è tappezzata di foglietti colorati pieni di pensieri fugaci, che ho fissato proprio perché non andassero perduti. 
Pensieri su conversazioni captate per caso al ristorante, su rituali e sui motivi per cui sono tanto importanti, pensieri su baci scambiati al parco di notte, sul cuore e sulle stanze d’albergo, sulle mani, le sedie da giardino, le fotografie, sui segreti e su quando vengono svelati, sulla luce tra le foglie degli alberi e sul tempo quando si ferma. 
Le mie brevi annotazioni sono appuntate alla carta da parati come farfalle tropicali, attimi catturati, che non hanno altro scopo se non quello di starmi vicino, e quando apro la portafinestra e un soffio d’aria entra nella stanza fremono leggermente, quasi potessero volare via.

Per quanto riguarda i cosiddetti personaggi secondari, ho letteralmente amato l'eccentrica Miss Dinsmore, Jean-Paul Monsignac, che sarebbe poi il capo di André, Madame Petit, la segretaria un po' troppo permalosa, Mademoiselle Mirabeau, l'insicura e gentile assistente, e ovviamente l'apprensiva Maman (credo che ognuno di noi possa facilmente rivedersi nelle telefonate tra lei e André XD).

Contrariamente a me, aveva molto tempo a disposizione e adorava telefonarmi in casa editrice perché rispondeva sempre qualcuno. Se io non ero reperibile, faceva quattro chiacchiere con Madame Petit, che considerava “proprio deliziosa”. 
Una volta avevo dato il mio numero a Maman, per le emergenze. Purtroppo però anche la sua idea di emergenza era molto diversa dalla mia e, con un fiuto infallibile, mi chiamava puntualmente quando stavo per correre a un appuntamento o dare l’okay a un libro che doveva andare in stampa entro il pomeriggio. 
“Pensa un po’, il vecchio Orban è caduto dalla scala mentre raccoglieva le ciliegie e ora è all’ospedale... Frattura del collo del femore! Che ne pensi? Cioè... uno alla sua età deve necessariamente arrampicarsi sugli alberi?” 
“Maman, per favore! Ora non ho tempo!” 
“Mon Dieu, André, sei sempre così nervoso,” commentava con una chiara nota di rimprovero nella voce. 
“Credevo ti interessasse, dopotutto da bambino andavi spesso dagli Orban...” 
In genere queste conversazioni si concludevano in modo sgradevole. Restavo seduto alla scrivania, sopportavo pazientemente la telefonata e intanto cercavo di continuare a lavorare, buttando là così tanti “Aha” e “Sissì” al momento sbagliato che alla fine mia madre urlava infuriata: “André, ma mi stai ascoltando?!”. Oppure le tappavo la bocca prima ancora che iniziasse a parlare esclamando irritato: “Ora non posso!”, e dovevo sorbirmi i suoi commenti su quanto fossi troppo nervoso e probabilmente non mangiassi come si deve.

Questo straordinario parterre di personaggi, a cui se ne aggiungono ovviamente anche altri, è la chiave che rende questo libro speciale. Se difatti ha una partenza lenta (o l'ha avuta nel mio caso), per i motivi che ho già specificato, perlomeno nel corso delle pagine cominci ad affezionarti alle figure che fanno parte della quotidianità di André e Aurélie. Man mano diventeranno anche tuoi amici fino a quando, come dice nella nota finale lo stesso Barreau, ti dispiacerà dir loro addio.
Nelle stesse parole dell'autore veniamo a conoscenza di un altro particolare che mi ha sorpreso: tutti i locali, le strade, le ricette citati e descritti nel libro (e chi l'ha letto sa che sono parecchi), esistono realmente.
Ho immaginato quindi come sarebbe bello ripercorrere il percorso di Aurelie nelle strade di Parigi, magari in una giornata di pioggia e accompagnate da un ombrello celeste a pois, giusto per ricreare la scena, e vedere tutto quello che lei osservava. Oppure cenare negli stessi ristoranti (ad eccezione de Le Temps des Cerises, ahimè di pura fantasia T_T) e ordinare gli stessi piatti. 
E se proprio non potete recarvi a Parigi, ma volete lo stesso provare il favoloso Curry d’agneau à l’indienne o un delizioso gataux al cioccolato, non disperate. Potete infatti trovare il famoso Menu d'Amour, quello che ha fatto innamorare i genitori di Aurélie, alla fine del libro, e replicarne le ricette anche a casa vostra.
Una bella idea, non vi pare? 
Io non ho proprio saputo resistere ed ho subito provato i tortini con il cuore caldo di cioccolato, e posso affermare che sono davvero buoni (e bravo il papà di Aurelie XD)!
Altra nota positiva, forse quella più importante, è costituita dalle atmosfere di Parigi, che sia in una giornata nuvolosa e di pioggia che con un tenero sole, costituisce sempre lo scenario perfetto per qualsiasi storia d'amore (non a caso è chiamata la città degli innamorati ^-^). Le ricette, le canzoni, le poesie, gli scrittori, i film francesi citati così spesso, fanno il resto.
Inoltre, nonostante la non grande simpatia di Aurelie per i libri (escludendo ovviamente i ricettari XD), proprio i romanzi costituiranno la chiave di volta della storia: daranno il via e metteranno il punto a tutto. E non voglio rivelarvi altro U_U
In conclusione se cercate una lettura leggera, senza troppe pretese, che vi faccia sorridere e anche un po' sognare, "Gli ingredienti segreti dell'amore" è quello che fa per voi.

Considerazioni:
Cercherò di essere più breve possibile. Tenterò anche di parlare in maniera generica, tuttavia potrebbero sfuggirmi alcuni spoiler, per cui a vostro rischio e pericolo XD 
Avevo accennato prima all'importanza dei romanzi in questo racconto. E' difatti la stessa Aurélie, sin dalla prima pagina, ad affermare che è stato proprio un libro a salvarle la vita. La ragazza infatti si imbatterà per caso in una piccola libreria, e in un volume scritto da un certo Robert Miller, intitolato "Il sorriso delle donne" (tra l'altro il titolo originale di quest'opera di Barreau), che pare ambientato proprio nel suo ristorante, con protagonista una ragazza che sembra proprio essere lei.
Una casuale coincidenza o qualcosa di più? 
Se volete scoprirlo vi toccherà leggere il libro XD
In entrambi i casi "Gli ingredienti segreti dell'amore" gioca su uno dei sogni di quasi tutte le accanite lettrici: ritrovarsi improvvisamente ed inspiegabilmente ad essere una musa ispiratrice, e leggere pagine intere che parlano solo di te. Indipendentemente da ciò, ho trovato davvero carina l'idea di un libro nel libro.
Tornando invece all'atmosfera parigina che fa da padrona in quasi ogni pagina, essa appare tanto gradevole nella penna dell'autore, quanto forzata dall'opera di traduzione. Leggendo vi ritroverete di fronte ad intere frasi lasciate in francese, non so per quale strano motivo, e poi una sfilza di nomi di ricette, sempre solo in originale, senza neppure il nome tradotto in nota. 
Ciò che può sembrare naturalissimo per un francese, che riconosce specialità culinarie, strade e canzoni, riesce difficile in questo modo per un qualsiasi lettore, che cerca di immaginare ogni singolo particolare, dai colori ai profumi. 
Questo eccesso di francesismi, che potrei anche giustificare per quanto riguarda i piatti, risulta invece superfluo per quelle frasi piazzate così in originale, quasi a ricordarci in continuazione che ci troviamo a Parigi, e che a parlare è proprio un francese.
E la cosa peggiora con l'entrata in scena dei fratelli Goldberg: da quel momento in poi ogni loro discorso sarà un miscuglio di italiano, francese e inglese. Non sia mai ci dimenticassimo anche la loro nazionalità. U_U

“Cerca di capire, Adam,” dissi infine. “Non è una donna qualunque. Lei è la donna! The one and only. E non è strange, ha semplicemente troppa fantasia e crede nelle forze superiori. Kismet, il destino.”

Anche sulla storia d'amore avrei qualcosa da ridire: troppo affrettata, per cui poco coinvincente.
Inoltre Aurélie nel corso della narrazione subisce una vera e propria trasformazione ai nostri occhi, o perlomeno ai miei. 
Dov'è finita la tenera ragazza che coltivava fiori e viveva di romanticismo?
Perché questa insensata ossessione per Robert Miller? Perché tormentare fino allo sfinimento quel povero di André che si limita a fare il suo lavoro? 
E soprattutto come fa lui ad innamorarsi di una che lo tratta in malo modo? E poi come si può parlare già d'amore solo dopo aver visto un bel sorriso un paio di volte?
In realtà l'amore tra André e Aurélie per me non ha né capo né coda. Lei rincorre Miller solo sulla base di una sensazione (essere davvero la protagonista del suo libro), arrivando ai limiti della follia. Lui rincorre lei, dichiarando a noi di essere già pazzamente innamorato, dopo averla vista solo due volte, ed essere stato in quelle uniche occasioni anche da lei velatamente insultato. Non so voi ma per me il romanticismo è ben altro.
Tuttavia questo gioco del gatto col topo, e gli stravaganti tentativi di André di raggiungere il suo obiettivo, riescono a strappare qualche sorriso.
Il finale, prevedibile, è invece racchiuso in un ultimo capitolo che per molti versi, che non posso indicare, mi è piaciuto.
In tutto il libro comunque sono disseminate alcune riflessioni sulla vita, o sul mestiere dello scrittore, sulla morte e la solitudine, che varrebbe la pena di appendere al muro come era solita fare la bella Aurélie. 

Il cielo di un blu cupo si stendeva sopra Parigi come una stola di velluto. Mancava poco alle sei, stava spiovendo e mi appoggiai esausta al parapetto in pietra del vecchio ponte. 
Fissai assorta la Senna: il luccichio tremolante dei lampioni si rifletteva sull'acqua scura, magico e fragile come ogni cosa bella. Dopo otto ore, migliaia di passi e migliaia di pensieri ero approdata in quel posto silenzioso. 
Ci avevo messo molto a capire che l’abisso di tristezza che pesava come piombo sul mio cuore non dipendeva soltanto da Claude che mi aveva lasciata. Avevo trentadue anni, e non era la prima volta che vedevo finire un amore. Me n’ero andata io, se n’erano andati loro, uomini migliori di Claude, lo schizzato. 
Stavo realizzando che tutto cambia, tutto si dissolve, che uomini che mi avevano tenuta per mano a un tratto sparivano per sempre, che stavo perdendo il contatto con la realtà e tra me e l’universo infinito non c’era che un ombrello celeste a pois bianchi.

Curiosità:
Ufficialmente Nicolas Barreau è uno scrittore bilingue (francese-tedesco), che ha studiato Lingue e letterature romanze alla Sorbonne di Parigi, dove è nato nel 1980, da madre tedesca. Ha lavorato in una piccola libreria, ha una passione per la cucina, e come il misterioso Robert Miller non ama mostrarsi in pubblico, e godere del suo successo.
Tuttavia a detta del quotidiano tedesco Die Welt e del giornalista Elmar Krekeler, Barreau sarebbe in realtà uno scrittore fittizio, dietro il quale si celerebbe la casa editrice tedesca Thiele & Brandstätter, che ne ha pubblicato i romanzi, sfruttando il favore del pubblico tedesco verso gli autori francesi.
Un'altra curiosità, stavolta totalmente italiana, riguarda un'iniziativa promossa dalla Feltrinelli, nata per raccogliere le appetitose ricette inviate dai lettori, i quali dovevano ricreare il proprio personalissimo Menu d'Amour. 
Queste ricette sono confluite poi in un ebook scaricabile gratuitamente dal sito web dedicato al romanzo.

il mio voto per questo libro