martedì 27 dicembre 2016

Books, Chocolate and friends: seconda e ultima tappa GDL “Il tredicesimo dono” di Joanne Huist Smith



Salve avventori!
Come avete passato il Natale?
Noi abbiamo preparato un bel banchetto sia per la cena del 24 che per il pranzo del 25 (come si usa al sud) mettendoci ai fornelli, e quindi anche alla prova (superata si spera, ma ai posteri l'ardua sentenza).
Poi abbiamo scartato i regali che hanno visto, fortunatamente, anche delle new entry nella nostra libreria, ma di questo vi parleremo in un secondo momento.
Venendo invece all'argomento del post, ci ritroviamo oggi qui per commentare insieme gli ultimi sei capitoli (dal numero 8 al numero 13) del nostro gruppo di lettura natalizio, che ci ha fatto scoprire "Il tredicesimo dono" di Joanne Huist Smith.




L'ultima volta vi avevo manifestato il mio fastidio nel vedere la protagonista del romanzo inveire contro tutto ciò le ricordasse anche solo minimamente il Natale.
Allo stesso modo avevo poco apprezzato la scarsa sensibilità dimostrata dalla stessa nei confronti della figlia minore Megan, colpevole di voler festeggiare le festività, nonostante la recente scomparsa del padre Rick.
Ora posso confessarvi che la nuova Joanne (quella che ha iniziato a palesarsi già negli ultimi due capitoli della scorsa tappa), fatta ormai per il cinquanta percento di spirito natalizio e per il restante cinquanta di entusiasmo per la vita in genere, mi ha fatto venire l'orticaria.
Sembra quasi che Babbo Natale in persona sia giunto direttamente dal Polo Nord alla sua porta, per nominarla elfo ufficiale e incaricarla di diffondere ovunque la magia del Natale.
Prima odiava i doni misteriosi, si rifiutava di comprare un albero da decorare e persino di comprare i regali per i suoi figli.
E adesso invece? Non solo canticchia canzoni natalizie, ma pensa addirittura che le stazioni radio le mandino in onda solo per lei. Come una buona samaritana pensa sempre ad aiutare il prossimo, non fa che sfornare manicaretti in previsione degli ospiti in arrivo, attende con trepidazione i doni dei "veri amici". 

L’antivigilia di Natale mi sveglio già con in mente una lista di commissioni. 
La sera prima siamo rimasti alzati fino a tardi a cucinare e preparare per la nostra festa, ma non sarà certo la mancanza di sonno a smorzare il mio entusiasmo. 
Mentre mi districo nel traffico fitto come la neve, mi dico che la frenesia prenatalizia è il momento migliore per fare compere. L’ingorgo mi lascia più tempo per ascoltare canzoni a tema alla radio. Quando sento John Denver e i Muppets che cantano The Twelve Days of Christmas, mi sembra che sia solo per me.

Tutta la famiglia, in realtà, improvvisamente non fa che pensare a questi benefattori misteriosi. Elaborano ipotesi, stanno di guardia e sbirciano di continuo dalle finestre, cercano dettagli nei biglietti come dei provetti investigatori, aprono a più riprese la porta, sperando di trovare qualcosa sull'uscio.
La storia dei doni diventa la loro ossessione, addirittura, ogni volta che sono fuori casa, bramano il ritorno per poter scoprire la sorpresa del giorno.
E non ci avrei trovato nulla di strano se questo cambiamento fosse stato graduale o perlomeno giustificato in qualche modo, invece no.
Joanne il giorno prima dice no alle feste, e il giorno seguente si redime e abbraccia il Natale come fosse il suo più caro amico.
Lo stesso Nick: inizialmente pareva interessato ai doni misteriosi, poi confessa alla mamma di mal sopportare il pensiero di passare le feste senza il suo papà, ed infine... dà l'avvio all'indagine TrovAmici, chiede un regalone per Natale, tira fuori le decorazioni, si esalta ad ogni regalo giornaliero, e continua a stilare una lista desideri, perché una stanza nuova come regalo non è abbastanza.
Anche Ben, che avevo definito il più credibile, dopo la conversazione notturna con Joanne, cambia totalmente il suo atteggiamento. Da distaccato e silenzioso, diventa servizievole e attento, sempre pronto a prendersi cura della sua famiglia e a tendere la mano a chi ha bisogno di aiuto.
Tutto il nucleo familiare mostra a più riprese la munificenza verso il prossimo, quasi fossero i reali di Inghilterra o la famiglia della Casa Bianca. Se fosse tutto vero, penserei di candidarli al premio Nobel per la pace.
Ed eccoci al punto clou di tutta la vicenda: quasi tutto quello che è raccontato in queste pagine non risulta credibile. Prevedibile fin troppo, ma non credibile.
Sembra la tipica commedia da quattro soldi in cui la protagonista è a pezzi, la sua vita va a rotoli, e poi, per l'intervento del destino, ritrova la fiducia in se stessa e nel mondo.
La vita non va così, non quella vera. Una moglie non dimentica che il marito è morto solo due mesi prima, grazie a qualche bigliettino/regalino lasciato davanti alla porta. Non pensa che tutto tornerà alla normalità, solo perché è Natale e tutto appare gioioso e sfavillante.
E vogliamo parlare poi di tutte le scenette al limite del ridicolo?
Mamma Joanne da buona redenta si prodiga nell'esaudire tutti i desideri dei figli. Si reca in un negozio di mobili proprio il giorno prima di Natale e il commesso la informa, giustamente, che la consegna potrà essere effettuata solo dopo le feste.
La nostra protagonista ovviamente, non solo insiste nel suo proposito, ma è spalleggiata da orde di clienti che minacciano di non fare più acquisti in quel negozio, qualora la richiesta della cara mammina non fosse accolta.

Qualcuno si schiera dalla mia parte.
Una donna con una pelliccia di finto leopardo, che sta agitando una MasterCard, non apprezza quel commento.
«Il ragazzo ha perso suo padre. Deve aiutarla.»
«Dimostri un minimo di sensibilità», rincara un cliente maschio. «Non ce l’aveva un padre, lei?»
«Ma sì, certo», dice il commesso, ridendo della domanda.
«Lo sapevo», dice l’uomo dando manate sul bancone come se avesse scoperto la risposta a uno dei grandi misteri della vita. «E allora che cosa pensa di fare?»
La donna con la MasterCard non gli lascia il tempo di rispondere.
«Diciamo che io prendo e vado a comprarmi il letto al negozio di materassi che c’è più in su», dice, stracciando il suo ordine.
Indica il signore, che ha in mano anche lui un modulo di acquisto e gli chiede: «Ci sta?».
Lui esita un attimo e poi dice: «Certo. Perché no?».
Altri due clienti minacciano di disdire i loro ordini e ciò basta perché intervenga il direttore.

Tipica scena da film, non trovate?
E lo stesso poco prima, quando Joanne tenta di scassinare un auto solo per scoprire la provenienza di una poinsietta proprio uguale alla sua. E anche lì la folla crede senza esitazione alla sua storia strappalacrime (perché ormai Joanne sbandiera ai quattro venti di aver perso il marito, senza farsi troppi problemi), e per di più si dà da fare per tentare di aiutarla ad identificare i benefattori.
Ma io dico, se l'autrice ha davvero vissuto questa tragedia sulla sua pelle, e non ho motivo di non crederlo, perché renderla così frivola e priva di autenticità?
Perché non raccontare davvero il dolore, la caduta e la lenta e ancor più sofferente risalita?
Perché nascondere le cicatrici, fingendo che basti un po' di pomata per far guarire le ferite?
Non ci sono sentimenti in questo romanzo, non trovano spazio, troppo stretti nelle logiche del lieto fine commerciale e dei siparietti divertenti.
Tutto risulta fasullo e distorto, e perciò nulla è capace di emozionare o coinvolgere.
Unica cosa che ho davvero apprezzato, oltre all'atmosfera natalizia e alle prelibatezze culinarie, è l'idea che sta alla base di quest'opera.
La storia dei dodici doni, raccontata nel finale, è l'unica cosa che salverei. Un gesto di generosità incondizionata e disinteressata, il far bene agli altri come modo di curare se stessi, un piccolo gesto d'amore per chi non riesce più ad amare.

«Lo scopo era sempre quello di lenire il dolore. Speravamo che il mistero desse un po’ di sollievo, soprattutto quando c’erano di mezzo dei bambini», ha risposto Susan. 
«Non volevamo che la gente sapesse che eravamo noi. Al centro dell’attenzione non dovevamo essere noi, ma quelle famiglie e la perdita devastante che avevano subito.»

Un dono che spinge a donare, come una catena che unisce chi soffre e li aiuta a ritrovare una seppur minima speranza. Non un cambiamento epocale, ma una piccola scintilla, una candela che fa appena un po' di luce.  

martedì 20 dicembre 2016

Books, Chocolate and friends: prima tappa GDL “Il tredicesimo dono” di Joanne Huist Smith



Salve avventori!
Eccoci qui per commentare insieme i primi sette capitoli de "Il tredicesimo dono", libro che abbiamo scelto per il nostro gruppo di lettura a tema natalizio.
In realtà avremmo dovuto pubblicare la tappa ieri, ma abbiamo avuto una giornata folle e neanche un momento libero. Ci scusiamo per il ritardo.




Venendo a noi, in generale posso dirvi che come inizio questo libro non mi sembra male, anche se non sono ancora riuscita a farmi un'idea precisa. Forse perché già nelle prime pagine ho trovato alcune cose che mi hanno fatto storcere il naso, e la cosa peggiore è che più andavo avanti e più questa sensazione di fastidio e irritazione si faceva intensa.
In particolare ciò che non riesco davvero a concepire è la fissazione che tutti hanno per il Natale, considerando la recente scomparsa di una persona cara.
Si perché, come sapete, il romanzo ruota tutto attorno al dramma che consegue alla morte. 
A quella delicata fase in cui tutto sembra continuare a girare come nulla fosse, e tu ti ritrovi sdraiata a letto, incapace di fare il minimo passo.
Quando amici e parenti non sono più lì a consolarti, quando è il momento di fare i conti con il tuo dolore da sola, quando è il momento di andare avanti come meglio puoi.
Ebbene, questa è la storia di Joanne, che improvvisamente deve affrontare la vita senza Rick, suo marito, il padre dei suoi figli, il suo migliore amico.
Il Natale si avvicina, il primo senza di lui, che Rick sperava di trascorrere a casa con la sua famiglia. Con questa intenzione aveva rimandato l'operazione al cuore, fino a quando non è stato troppo tardi.
Ed ecco la nota dolente del libro, almeno per ora.
Sia i cognati di Joanne, Tom e Char, che i figli Nick e Megan manifestano un po' troppo entusiasmo per la festa e i regali (sia quelli da ricevere che quelli misteriosi), e poca sofferenza per la tragedia che hanno dovuto affrontare.
D'altra parte anche la protagonista, per quanto mi abbia coinvolto nelle parti in cui ricorda la vita con suo marito e il senso di vuoto e di ingiustizia che adesso la pervade, risulta poco credibile quando fa delle festività il nemico da combattere.
Riesce a pensare al lavoro, a trangugiare cibo di nascosto, ma non a scegliere una semplice bicicletta per il figlio. Si irrita alla sola idea di un albero di Natale o di una carta da regalo, come se la mancanza fosse una cosa legata esclusivamente alle vacanze e non una cosa che l'accompagnerebbe in ogni caso, qualunque cosa faccia.
Quindi non so, mi sembra un po' tutto estremizzato, da entrambe le parti. 
Da una parte l'eccessiva trepidazione per un evento che non dovrebbe interessare più di tanto, e dall'altra l'eccessivo astio per quella che potrebbe essere un'occasione per riunire la famiglia.
Mi è piaciuta invece l'idea dei doni recapitati davanti alla porta e l'atmosfera invernale fatta di luminarie, dolci appena sfornati e cioccolate calde.
Più si prosegue con la lettura, più si accentua il contrasto tra madre e figlia, tra l'insofferenza di una e la speranza dell'altra. Il comportamento di Joanne mi convince sempre meno per la mancanza di empatia verso Megan. La bimba sceglie i fiocchi regalo e la "dolce" mamma li butta via. Poi lava i piatti e si addormenta sfinita sul pavimento e mamma Joanne come l'accoglie al risveglio? Ricordandole che deve rassettare la sua stanza, se vuole avere l'albero. La bimba insiste nel volere l'albero? Beh, allora distruggiamo il sostegno dell'abete, investendolo due o tre volte con l'auto, in modo da darle un chiaro segnale, senza proferire parola.
Sembra quasi un giochino infantile, un tira e molla, una sfida a chi la dura, la vince.

«Domani lavori fino a tardi?» mi chiede. 
«Uff.» 
Il mio gemito somiglia più a uno sbuffo e sono sicura che Megan debba sentirsi come uno dei tre porcellini davanti al lupo cattivo. La sua casetta è fatta di paglia. 
«Scusa, mamma. Adesso faccio silenzio.»

Avrei capito di più se Joanne avesse rifiutato tutto ciò che può significare andare avanti, quindi lavoro, amici, parenti, uscite. Se si fosse rinchiusa in casa, occupandosi solo dei figli. 
Ma se trascura loro, le loro esigenze (per quanto riguarda Megan e Nick) e i segnali d'allarme (per Ben invece), per fomentare un odio inspiegabile che ha come unico referente il Natale, allora no, non lo capisco.
Si rende conto di ferire Megan, di aver sottovalutato il dolore di Nick, di non comunicare con il maggiore Ben, eppure persevera nell'errore, trascorrendo più tempo possibile a lavoro, e non scendendo mai a compromessi.
Questo almeno fino agli ultimi due capitoli, il sesto e il settimo, in cui finalmente Joanne comprende la necessità di riprendere il ruolo genitoriale che le compete.
Permette alla piccola Megan di avere il suo tanto agognato Natale, a Nick di cambiare stanza e dare un taglio al passato e all'insistenza dei ricordi, e a Ben di condividere il suo dolore con lei.
Vorrei soffermarmi un attimo sui figli.
La più piccola, Megan, a prima vista potrebbe sembrare poco sensibile e persino egoista.
Capisce che la madre non ha nessuna voglia di festeggiare, ma persevera nel suo intento di avere decorazioni, statuine e lucine luccicanti.
Tuttavia alcuni piccoli indizi, come la frase seguente, ci fanno capire, come lei stia facendo di tutto per mantenere sua madre a galla, per tenere unita la famiglia.

«Divertiti, oggi», le auguro. «Non ci pensare, a quelle due.» 
Con mia sorpresa ride. 
«Quelle donne non immaginano neanche che cosa stiamo passando, non come i nostri benefattori», risponde. «Non stiamo andando in pezzi, siamo solo un po’ scheggiati. Tu fai del tuo meglio, mamma. Tutti noi facciamo del nostro meglio.» 
Megan si sporge oltre il blocco del cambio e mi dà un bacio sulla guancia prima di scendere.

Per quanto riguarda Nick invece, lui si rivela poco a poco. Inizialmente di lui sappiamo solo che si rifugia nei videogiochi per non vivere la realtà. Come la sua sorellina, sembra interessato ai doni misteriosi che ogni giorno appaiono alla porta, per poi palesare quanto il pensiero del Natale lo faccia soffrire. Il senso di colpa nel sapere che suo padre ha rimandato l'operazione per passare le feste assieme, e che a causa di questo desiderio non è più con loro, non lo lascia in pace.
In più lui ha assistito alla tragica fine, ha visto tutto dalla sua stanza, ha visto il padre spegnersi tra le braccia del suo grande amore. Lui più di tutti ha bisogno di un nuovo inizio, non per dimenticare, ma per smettere di ricordare ciò che fa male, almeno per un po'.

«Mi sento in trappola, mamma. Bloccato nel giro della morte delle montagne russe. Continuo a girare, ma mi fermo sempre nello stesso punto: la mattina in cui è morto papà»

E poi c'è Ben. È il più defilato, sempre fuori da qualche parte, sempre arrabbiato con il mondo.
Non parla con nessuno, piange di nascosto, corre sulla strada con la musica a palla per annullare i pensieri.
Nell'ultimo capitolo dice di aver sentito la presenza di suo padre ancora lì con loro, ancora lì a proteggerli.
È il personaggio che più ho compreso, la cui reazione mi sembra più credibile.
Inoltre nelle ultime scene dimostra di tenere ai suoi cari e di sacrificarsi per il loro bene.

Meno di ventiquattr'ore fa Ben rinnegava qualsiasi cosa fosse legata alle feste. Oggi ha acceso l’albero. Dovrei essere sconvolta, ma non lo sono. Gli eventi inattesi stanno diventando la norma in questa casa, soprattutto quando riguardano il Natale. 
«Sei stato tu?» chiedo a Ben. Voglio che sia lui a dirmelo. 
Ben esce un attimo dalla stanza e torna con uno dei sei bicchieri che abbiamo ricevuto dai nostri benefattori, pieno di succo d’arancia. 
«Qualcuno ha cercato di aiutarci ad affrontare il Natale. Io invece ho tenuto un atteggiamento... piuttosto... disfattista», dice. «L’anno prossimo mettiamo le luci sull’albero tutti insieme. Quest’anno avevo bisogno di farlo da solo con papà.»

Attorno a loro uno scenario desolato, con parenti che, animati di buone intenzioni, continuano a rimarcare i passi falsi di una donna incapace di uscire dal ruolo di moglie in lutto (e dopo due soli mesi direi che ci sta) per tornare ad essere solo una madre, e conoscenti carichi solo di giudizi e amare sentenze.
L'unica luce che rischiara quest'atmosfera gelida e invernale sono i ricordi, i piccoli quadri familiari che vedono come protagonista Rick che, nel passato, non faceva che prodigarsi per i suoi cari.
Le piccole tradizioni natalizie e i gesti d'amore sono le scene che più mi hanno emozionato, e quelle che mi fanno sperare in una luce in fondo al tunnel.
E voi che ci dite? Quali sono le vostre impressioni su questi primi sette capitoli?

mercoledì 14 dicembre 2016

Se fosse un film... #6


Salve avventori!
Domani nelle sale cinematografiche italiane uscirà il film "Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali", che, come ormai saprete, vede alla regia l'imprevedibile Tim Burton.
Il cast, pur prevedendo anche alcuni volti noti, non rispecchia del tutto il mio immaginario.
Leggendo i primi due capitoli della trilogia di Ransom Riggs, avevo pensato a ben altre scelte, che non posso esimermi dal condividere con voi XD

Asa Butterfield nel ruolo di Jacob Portman

Pur essendo il protagonista, è l'unico personaggio che non riuscivo proprio a figurarmi mentre leggevo.
Ragion per cui è anche l'unico attore che non ha deluso le mie aspettative.
L'ho visto in più di un film e ho apprezzato le sue doti recitative.
Diciamo che per il momento è promosso. 



Chloë Grace Moretz nel ruolo di Emma Bloom 

Per me Emma può avere un solo volto, quello di Chloë Grace Moretz.
Come avrete notato negli scorsi appuntamenti di questa rubrica, noi del Café Littéraire stimiamo molto questa attrice.
È sicuramente talentuosa e capace di interpretare al meglio qualsiasi ruolo.
Quello della ragazzina tutto pepe, pronta a tutto pur di proteggere il suo mondo, sarebbe stato di certo nelle sue corde.
Peccato non poterla vedere in queste vesti. 

Helena Bonham Carter nel ruolo di Alma LeFay Peregrine

Che dire di Miss Peregrine?
Non so dirvi il perché, ma per me la perfetta interprete di questo ruolo sarebbe stata la ormai ex moglie di Tim Burton.
Il suo stile estroso e l'aria stravagante e severa avrebbero dato un tocco in più a tutto il film.
Che occasione persa! 




Freddie Highmore nel ruolo di Hugh Apiston

Tutti ricordiamo Freddie Highmore per "La fabbrica di cioccolato" e "Neverland". Oggi lo ritroviamo cresciuto e con l'aria da nerd.
Quanto a Hugh, nel primo libro non è un personaggio di rilievo, difatti viene descritto solo per pochi tratti. Nel secondo invece tira fuori il suo lato spavaldo e determinato. 


Kristina Pimenova nel ruolo di Olive Abroholos Elephanta

La Pimenova è una giovanissima e bellissima modella russa.
A me non sarebbe dispiaciuto vederla anche nel ruolo di attrice e nello specifico nei panni della leggera e eterea Olive, la ragazzina fluttuante. 
E parlando invece del film in uscita, nella trasposizione cinematografica Olive è rappresentata come un'adulta, tra l'altro dotata del potere di creare sfere di fuoco (abilità che nel libro appartiene ad Emma).
Vi state chiedendo il perché? Beh, anch'io!

Alyvia Alyn Lind nel ruolo di Claire Densmore 

Ho conosciuto questa attrice quando era ancora piccina, nella serie tv "Revenge", in cui interpretava il passato di Emily Thorne.
Capelli biondi e ricci, pelle chiara e apparenza angelica. È Claire dalla testa ai piedi. 

Johnny Depp nel ruolo del Dr. Golan  

Il dottor Golan non si sa per quale strano motivo è diventato nel film una donna.
Non so voi ma a me le distorsioni, tra l'altro inutili, fanno proprio storcere il naso.
In ogni caso per me il dottor Golan è un uomo ed è Johnny Depp.
Discorso chiuso U_U
Ed ecco ricomposto il magico trio Burton - Bonham Carter - Depp XD
Successo assicurato! 



Christoph Waltz nel ruolo di Mr. White 

Ogni film che si rispecchi deve avere un cattivo nella storia. In particolare quello di cui vi parlo è solo uno dei nemici che i nostri bambini speciali incontreranno nel secondo libro, "Hollow City".
E chi potrebbe mai essere più cattivo (ed odioso aggiungerei) di Christoph Waltz?
Beh per me nessuno, quindi il ruolo è suo U_U 


E con questo il mio fantastico cast è terminato.
Cosa ne pensate?
E cosa pensate di quello, ahimè, ufficiale?

martedì 13 dicembre 2016

Books, Chocolate and friends: Let's start “Il tredicesimo dono” di Joanne Huist Smith.


Salve avventori!
Il 13 dicembre è arrivato e, come annunciato nello scorso post, ha oggi inizio il gruppo di lettura che come lo scorso anno ci accompagna, a mo' di calendario dell'avvento, fino a Natale.
Oggi il nostro calendario prevede la lettura del primo capitolo del libro “Il tredicesimo dono”di Joanne Huirst Smith, le cui vicende cominciano il 13 dicembre del 1999.

Commentiamo qui insieme la prima tappa, per i prossimi giorni invece ci ritroviamo qui

Giorno 1

È il 1999 mancano pochi mesi a Natale quando la vita della famiglia Smith viene devastata da una perdita terribile.
Rick, il capofamiglia, la roccia di Joanne, il suo migliore amico, suo marito, il padre dei suoi tre figli, muore, mandando il progetto di una vita in frantumi.
Da allora nulla è più come prima.
Joanne, da sempre amante della vita, delle feste e del Natale, ha perso la gioia di vivere, la voglia di sognare e di sperare, di credere negli altri e nella felicità.
La sua felicità è sparita e ora tutto le appare incerto, sospeso su un filo troppo sottile.

“Lo cerco nelle ombre della casa, nelle ore tra i baci della buonanotte e la sveglia, pur sapendo che non c’è. Ho un continuo dolore alla schiena per le stilettate di una molla rotta del divano, ma non riesco a dormire di sopra, nel letto che dividevamo. Non mi sposto nemmeno dalla sua parte del divano. 
Lo spazio che Rick occupava... è vuoto.”

È il 13 dicembre, mancano tredici giorni al Natale, e la piccola Megan, di dieci anni, inizia a richiedere, come ogni bambino della sua età, che anche in casa Smith si torni a respirare l'aria di Natale.
Ma le feste sono l'ultimo pensiero di Joanne, troppi ricordi riaffiorano a galla, ricordi che non è ancora pronta per rimpiazzare.
Ed è in quella caotica mattina che, alla porta, i componenti superstiti della famiglia trovano il primo dono misterioso proveniente da altrettanti misteriosi mittenti: una poinsettia, una stella di Natale.


Ciò che più mi ha colpito di questa storia è che, almeno da quanto mi è parso di capire, l'autrice ci stia raccontando la sua vera storia, quella della sua famiglia.
I suoi dolori e i suoi ricordi.
Così, tutto quello che, in altre circostanze avrebbe potuto rendere questo libro il frutto di un'idea carina, per un racconto adatto alle feste, assume invece tutt'altra valenza.
A partire dalla dedica iniziale, ai deliziosi aneddoti familiari, fino ai misteriosi doni, ora tutto è avvolto da un'aura di tristezza, dolore e malinconia.

“A Rick, il mio primo vero amico,
e ai nostri tre doni più preziosi,
Benjamin, Nicholas e Megan.”

Allo stesso modo suppongo che la rinascita scaturita dai tredici doni, acquisirà, via via, un valore aggiunto.
La forza vera che può dare una speranza. L'aiuto vero che può dare l'amicizia.

giovedì 8 dicembre 2016

Terza edizione del GDL "Books, Chocolate and friends"...


Salve avventori!
Eccoci pronte per la terza edizione del gruppo di lettura "Books, Chocolate and friends".
Lo scorso anno, sempre in questo periodo, ci siamo dedicate alla lettura di "Miracolo in una notte d'inverno" di Marko Leino, leggendolo un capitolo al giorno (una finestra al giorno), come un calendario dell'avvento.
L'esperienza, a detta di tutti quelli che vi hanno partecipato (e noi stesse lo pensiamo e sottoscriviamo), è stata bellissima e da ripetere... quindi eccoci qui!
Leggeremo insieme "Il tredicesimo dono" di Joanne Huist Smith.
Anche questa volta, abbiamo scelto un libro la cui struttura fosse suddivisa in giorni, cosicché la lettura possa farci compagnia fino a Natale.
La storia ha inizio il 13 dicembre, ed è proprio in questo giorno che daremo inizio al nostro calendario dell'avvento. 


Come procederemo?
Come detto, la lettura inizierà il 13 dicembre e andremo avanti un capitolo al giorno.
Ci ritroveremo qui lunedì 19 per commentare i primi sei capitoli.
Continueremo poi ad andare avanti con la lettura fino al 25 dicembre, data in cui leggeremo l'ultimo capitolo del libro.
Martedì 27 dicembre ci ritroveremo nuovamente qui per commentare il libro e scambiarci i nostri pareri finali.
Come lo scorso anno, ho creato una pagina FB per ospitare l'evento, dove potremo commentare quotidianamente i vari capitoli.
Siete pronti? Chi vuole unirsi a noi?

Speriamo vivamente che sarete in tanti come lo scorso anno.
Più siamo, meglio è.
Confermate la vostra partecipazione scrivendo sotto questo post.
Per ulteriori informazioni non esitate a contattarmi all'indirizzo contattomuriomu@gmail.com


venerdì 2 dicembre 2016

Recensione: "La famiglia Fang" di Kevin Wilson

Titolo: La famiglia Fang
Titolo originale: The Family Fang
Autore: Kevin Wilson
Editore: Fazi Editore
Data di pubblicazione: 25 agosto 2016
Pagine: 397
Prezzo: 18,00 € (cartaceo) 11,99 (ebook)


Trama:
Maestri della performance, Caleb e Camille Fang hanno dedicato la propria vita all'arte. Ma quando ogni loro azione consiste nel sistematico capovolgimento della normalità, può diventare difficile crescere dei figli equilibrati.
Basterà chiedere ad Annie e Buster Fang. A e B come li chiamano i genitori. 
Sin da piccolissimi hanno preso parte a quelle folli esibizioni più o meno consapevolmente. Una volta cresciuti però quell'infanzia caotica e irreale incombe sul loro presente e al di fuori del bizzarro mondo familiare dei Fang.
Quando le regole della vita adulta, cui vanno incontro, fatalmente si disfano, fratello e sorella, l'uno scrittore alla prova del secondo romanzo, l'altra attrice di B movies, non sanno dove rifugiarsi se non tra le mura, stravaganti ma familiari, dove sono cresciuti.
Lì Caleb e Camille sono pronti a mettere in scena l'ultima performance, l'opera più estrema mai realizzata, con o senza la partecipazione dei figli. La più audace delle ambizioni che obbligherà i coniugi Fang a scegliere, una volta per tutte, tra la famiglia e l'arte.

Recensione:
"La famiglia Fang" è un libro bizzarro ed eccentrico, esattamente come lo sono i suoi protagonisti.
Caleb e Camille Fang, sono due artisti specializzati in performance che hanno come scopo quello di spiazzare il pubblico lasciandolo allibito e incredulo.
Creare situazioni grottesche, raccapriccianti e inconcepibili, portare il caos nei luoghi più disparati, causare lo scompiglio in una normale giornata tranquilla. Questa è la loro arte. Un'arte che iniziano da giovani fidanzati, che seguitano da adulti sposati, anche quando da coppia diventano una famiglia, arrivando poi a coinvolgere anche i loro figli.
Annie e Buster diventano parte integrante degli happening Fang, intorno a loro, alle loro azioni sapientemente programmate dai genitori, ruoterà, per anni, la tanto nota fama dei coniugi.
Ma i figli crescono e, forse, proprio a causa della finzione costante in cui sono stati abituati a barcamenarsi e vivere, che desiderano entrambi prendere la propria strada, diversa da quella che Caleb e Camille hanno sempre desiderato per loro.
E questo è il primo grande errore genitoriale che i due commettono (uno dei tanti), perché parliamo di due persone che probabilmente non sono mai state pronte a diventare genitori, né lo hanno mai desiderato.
Annie per prima, stanca dell'ossessione artistica dei genitori, che proprio in nome dell'arte hanno mancato nel dargli un'infanzia e un'adolescenza normale, sceglie di smettere una volta per tutte di farne parte.
Va via per studiare recitazione e inseguire il proprio sogno anziché continuare a coltivare quello di Caleb e Camille.
Anche il fratello Buster, più tardi, farà la medesima cosa.
Ma i Fang non sono due genitori normali o meglio, non sono quel tipo di genitore che mette i figli al primo posto. No, al primo posto per loro c'è sempre stata la loro arte e l'emozione che essa provoca in chi vi assiste.
Annie e Buster, o A e B come loro li chiamano (già questo dice tutto), non sono che degli aiutanti, dei supporti, quattro mani in più da utilizzare al servizio dell'arte.
L'ultima performance che i due coniugi mettono insieme non è che la prova della loro insana ossessione. 
La storia nel suo complesso è grottesca.
Il racconto è scandito in capitoli che danzano tra passato e presente, tra i resoconti delle vecchie performance artistiche e quelli che descrivono la vita attuale di Annie e Buster, le difficoltà che i due hanno avuto, le insicurezze che li hanno segnati, tutto dovuto al mondo fasullo che i genitori gli hanno costruito attorno.
L'insensibilità dei due genitori è svilente, disarmante, nauseante.
Fa rabbia, e in questo Kevin Wilson è stato indubbiamente bravissimo, tuttavia nel complesso ho trovato sia la trama, che il suo svolgimento deludenti, tristi e aridi, un po' come i personaggi di cui ci ha raccontato.

Considerazioni:
Purtroppo, lo dico subito, mi aspettavo molto di più da questa lettura. 
Ho iniziato questo libro così, come si inizia un nuovo libro per vedere se ti prende, quando ancora non sai se lo continuerai e diventerà quello la tua nuova lettura.
I primi capitoli mi avevano presa e incuriosita così, senza nemmeno pensarci troppo, sono andata avanti. Ma l'entusiasmo iniziale è andato via via spegnandosi man mano che procedevo con i capitoli.
Una storia con tante potenzialità non sviluppate a dovere.
La pecca più grande a parer mio sta nelle emozioni.
Non che il libro non ne dia alcuna, ma data l'entità della storia mi aspettavo di leggere di personaggi emotivamente più coinvolti. Nel caso dei figli, ad esempio, avrei voluto leggerli molto più arrabbiati, esasperati e soffrenti. Molto meno apatici e rassegnati.
Buster mi ha fatto una grande tenerezza, è un adulto ma sembra ancora un bambino alla continua ricerca di affetto e conferme. Pur se deluso dai genitori, ha sempre cercato in loro, e in ogni loro azione, la prova che gli volessero davvero bene, e che lui e la sorella non fossero solo un mezzo per dar vita ai loro spettacoli.
Il suo voler assecondare allo strenuo i desideri dei genitori, come se gli fosse debitore di qualcosa, mi ha fatto pena e rabbia allo stesso tempo.
Un genitore non può sentirsi tale solo in quanto reo di aver dato alla luce un figlio. E in questo mi sono trovata molto più concorde con l'atteggiamento di Annie, ormai delusa e inaridita, privata di qualsiasi ingenua speranza, o desiderio di scorgere un barlume di semplice amore da parte di Caleb e Camille.
La spiegazione finale che i due danno ai figli nell'ultimo confronto è agghiacciate.
Non starò qui a elencare tutti i motivi per cui i Fang non si siano mostrati all'altezza del ruolo più importante che un uomo e una donna possano ricoprire. 
Non starò qui a dire quanto mi ha disgustata leggere di due genitori che hanno utilizzato i figli alla stregua di insulsi oggetti di scena. 
Ma non posso non sottolineare l'idiozia di un uomo e una donna tanto ossessionati dall'idea di creare qualcosa di grandioso e potente, da non rendersi conto che i capolavori più importanti della loro vita li avevano già dati alla luce.
Tutto questo però non vuole essere una critica al libro perché, mi rendo conto, era probabilmente proprio questo il senso che lo scrittore voleva dare alla storia.
Presumibilmente lo stesso Wilson, con il suo romanzo, ha voluto scioccarci, sconvolgerci e lasciarci perplessi, così come i Fang lasciavano i loro spettatori. 
In virtù di questo, forse dovrei dirvi che il libro è riuscito nell'intento e che quindi l'ho spezzato molto, e invece no...
Per farla breve, a parer mio, il tutto avrebbe dovuto essere più divertente nelle parti divertenti e più drammatico in quelle drammatiche.
Dalla lettura delle performance mi sarei aspettata divertimento, avrei voluto leggere di happening più esilaranti, o stupefacenti, o più assurdi. Invece nulla di così trascendentale.
Per la serie: nella realtà succede molto peggio, se questi pensavano di sconvolgere le folle per così poco hanno fatto male i loro calcoli.
E per quanto riguarda i confronti genitori/figli mi sarei aspettata scene più forti, rimproveri e parole più taglienti, accuse più velenose, toni più accesi.
Due figli non possono sentirsi dire di non contare poi così tanto e far scena muta. Io non lo accetto, io al loro posto avrei vomitato veleno!
E io avevo bisogno di leggere rabbia, rancore, disperazione, sofferenza.
E invece niente. Nemmeno la forte e caparbia Annie mi ha dato soddisfazione.
Mi sarebbe piaciuto, lo ammetto candidamente, se Annie e Buster avessero mandato all'aria tutta la sciocca messinscena dei genitori. Sarebbe stata una stupenda e meritata vendetta.
Invece, con mio gran rammarico, gliel'hanno data vinta! 
Anche se, due pazzi megalomani del genere, non riesco proprio a vederli come vincitori, bensì come patetici prigionieri delle loro ossessioni.
In definitiva un dramma familiare estremamente triste, dal quale vincitore non esce nessuno, nemmeno il lettore che, a fine lettura non ha il minimo appagamento.

Ringrazio la Fazi Editore per avermi fornito una copia di questo libro

il mio voto per questo libro