Titolo: Fiabe in Rosso
Autore: Lorenzo Naia
Illustrazioni: Roberta Rossetti
Editore: VerbaVolant
Data di pubblicazione: 2015
Data di pubblicazione: 2015
Pagine: 64
Prezzo: 12,00 €
Trama:
"Fiabe in rosso" è una breve raccolta di fiabe della tradizione, tutte con protagoniste femminili, ma con finali rivisitati.
Mignolina, Cappucetto Rosso, Biancaneve, Rosaspina e Raperonzolo, sono le cinque figure femminili che abitano le pagine di questo libro illustrato.
Mignolina, Cappucetto Rosso, Biancaneve, Rosaspina e Raperonzolo, sono le cinque figure femminili che abitano le pagine di questo libro illustrato.
Recensione:
Lorenzo Naia, in questa raccolta di fiabe, prende fra le mani alcune delle favole tradizionali di Andersen e dei fratelli Grimm e ne modifica il finale, regalando alle cinque figure femminili un destino diverso da quello assegnatogli dai loro "padri".
Lo scopo della raccolta sarebbe quello di creare un progetto contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere.
Ad impreziosire il libro le bellissime e originali illustrazioni di Roberta Rossetti, il vero punto forte di questo lavoro.
Realizzate sostituendo, in alcuni punti, la campitura a colori dell'immagine con inserti di articoli di giornale. Le avrei trovate più adatte allo scopo solo se, anziché riprendere stralci di annunci e notizie varie, avessero ripreso frammenti di notizie di cronaca nera riguardanti, il tema della violenza sulle donne.
Per quanto riguarda le fiabe e la loro rivisitazione, in segno di protesta, si tratta di poche modifiche che, a dir la verità, non danno alle loro storie il valore aggiunto che il libro si è prefissato.
I cattivi restano gli stessi e si comportano in maniera spregevole per gli stessi futili motivi, le protagoniste fanno gli stessi stupidi sbagli e si innamorano, come sempre, del primo venuto.
I finali mutano leggermente, è vero, ma in queste storie non c'è alcun vero cambiamento né nelle personalità delle protagoniste né nel mondo che ruota loro attorno.
Ciò che il libro si propone di fare, ovvero lanciare un messaggio contro i fenomeni di violenza sulle donne, non è quindi mantenuto nei fatti.
Nei racconti non traspare affatto questo intento, e non basta, ahimè, una copertina per dare un segnale diverso.
Le scarpe rosse illustrate in copertina e il colore rosso, ricorrente all'interno delle storie, vogliono, difatti, essere una citazione e un tributo dell'opera Zapatos Rojos dell'artista messicana Elina Chauvet.
L'installazione, per chi non la conoscesse, è composta da decine e decine di paia di scarpe da donna rosse, lasciate sull'asfalto in memoria di quelle donne che c'erano e che, a causa di chi ha usato loro violenza, non ci sono più.
Parla di donne la cui esistenza è stata spezzata da mani conosciute, mani amiche, mani amate.
Le scarpe indicano all'un tempo la loro presenza e assenza. L'ingombrante vuoto che esse si sono lasciate dietro.
Questo, lo potete capire voi stessi, è un messaggio forte e chiaro che arriva al cuore anche per la forte storia e il vissuto che gli sta alle spalle.
Purtroppo del libro di Naia non si può dire altrettanto, poiché dalle storie che racconta e dal modo pacato in cui le ha rivisitate, non si percepisce alcun elemento di distinzione e protesta.
Avrei voluto leggere storie in cui le donne cambiano davvero il loro destino anziché perder tempo a farsi la guerra a colpi di pettini e mele avvelenate, o imprigionandosi, per anni, in altissime torri o in sortilegi che inducono al sonno eterno.
Perché lasciare sempre alle donne la parte del cattivo quando, nel tema della violenza, il cattivo è quasi sempre l'uomo?
Oltre al contenuto deludente, devo ammettere che anche la scrittura e la narrazione non mi hanno coinvolta, né rapita.
Tutto è scritto velocemente, come se il racconto servisse solo a dare informazioni fredde e affettate, senza alcuno spazio per il coinvolgimento emotivo, la poesia delle descrizioni e la bellezza del racconto. La sensazione generale, che ho avuto leggendolo, è che lo scrittore avesse una gran voglia di arrivare al punto e togliersi il pensiero.
Un vero peccato, perché questo libriccino fa innamorare solo a guardarlo... ma purtroppo per me l'innamoramento si è fermato lì, alle meravigliose illustrazioni e alla promessa, non mantenuta, di un messaggio diverso ed importante.
Considerazioni:
Ero molto curiosa di leggere questo libriccino che mi ha conquistato al primo sguardo.
Non sono mai stata una patita delle favole tradizionali, anzi, più volte sono state qui sul blog argomento di dibattito.
Delle storie riprese in questa raccolta avevo, tempo fa, letto le versioni originali (mi mancava solo quella di Mignolina) e pochi sono i casi in cui posso dire di aver apprezzato gli insegnamenti che queste si vantavano di elargire.
Troppo cruente nelle immagini, troppo ambigue le metafore, e decisamente poco chiari i messaggi e la "morale della favola", soprattutto se si pensa al pubblico a cui dovrebbero essere rivolte.
Perciò quando ho scoperto "Fiabe in rosso" ero davvero ansiosa di scoprire delle nuove versioni di quelle storie che, in cuor mio, ho sempre pensato potessero essere scritte in maniera più efficace e, perché no, dando vita a vicende con più valore.
Quando ho visto le stupende illustrazioni di Rossella Rossetti mi sono innamorata e quando ho letto lo scopo del libro "un progetto nato a quattro mani contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere" ero a dir poco entusiasta.
Finalmente avrei detto basta ai lupi che mangiano nonne e bambine, basta alle storie in cui le donne si fanno la guerra solo per l'invidia della bellezza, basta alle storie in cui principi e principesse si innamorano senza nemmeno conoscersi.
Basta, perché questo libro punta a qualcosa di molto più profondo e importante!
E invece...
E invece niente!
Mi sono ritrovata a leggere le stesse identiche fiabe originali di Andersen e dei fratelli Grimm, in cui l'unica cosa che muta, rispetto alle versioni tradizionali, è qualche dettaglio nel finale.
In Mignolina ad esempio la bambina, alta poco meno di un pollice, non fugge via con il principe delle fate, ma diventa colei che si prende cura degli uccellini del bosco.
In Cappucetto Rosso, non è il cacciatore ad ammazzare il lupo, ma la stessa ragazzina, che dal lupo non viene mai mangiata.
Lette le prime due favole ho pensato che lo scopo di Lorenzo Naia fosse quello di mostrare delle figure femminili forti, che non hanno bisogno di uomini, principi o cacciatori che siano, per cavarsela nelle brutte situazioni, ma che sanno farcela da sole.
E se il senso fosse stato questo, mi sarebbe anche potuto andar bene, seppur avrei sempre preferito leggere delle fiabe maggiormente rivisitate.
Però la mia buona fede è stata subito smentita dalla lettura della terza favola: Biancaneve.
La storia della ragazza dalla pelle candida e i capelli color ebano procede pari pari alla versione originale solo che qui è il principe a mordere la mela avvelenata.
Quindi la regina è sempre la stessa donna crudele le cui perfide azioni sono spinte dalla gelosia, Biancaneve è sempre la solita idiota che si fa ingannare più volte da una vecchia portatrice di doni, e che infine si innamora di un perfetto sconosciuto.
Solo che questa volta la necrofila è lei, non lui! >__<
Dove sta dunque tutta questa diversità del messaggio che il libro millantava? Io francamente non la vedo.
Nell'epilogo di Rosaspina, alias "La Bella Addormentata", Naia sembra ispirarsi a quello del film Maleficent.
E qui apro una parentesi: quella sì che è una vera rivisitazione! Quella si che è una versione che dà spessore ad una storia che nell'originale non ne ha alcuno!
Ma, mentre in Maleficent vediamo crescere man mano l'affezione tra la fata e Aurora, qui non accade nulla di tutto ciò.
La fata cattiva si rende conto che, dopo cent'anni di sonno a cui ha costretto l'innocente ragazza, si è vendicata abbastanza e tutto finisce così, alla tarallucci e vino.
In Raperonzolo poi, la storia è praticamente identica se non che alla fine dell'originale il principe porta la ragazza dalle lunghe trecce nel suo regno, qui, invece, partono insieme verso nuovi orizzonti.
Dov'è quindi lo stravolgimento che porta il messaggio di dissenso contro la violenza?
Dov'è il messaggio che ci dice che la felicità non sta solo nel trovare il principe azzurro quando, molte delle protagoniste in questione, fanno esattamente quello?
Mi spiace, mi spiace davvero essere così dura, ma ancor di più mi è dispiaciuto restare delusa da questa lettura.
L'installazione, per chi non la conoscesse, è composta da decine e decine di paia di scarpe da donna rosse, lasciate sull'asfalto in memoria di quelle donne che c'erano e che, a causa di chi ha usato loro violenza, non ci sono più.
Parla di donne la cui esistenza è stata spezzata da mani conosciute, mani amiche, mani amate.
Le scarpe indicano all'un tempo la loro presenza e assenza. L'ingombrante vuoto che esse si sono lasciate dietro.
Questo, lo potete capire voi stessi, è un messaggio forte e chiaro che arriva al cuore anche per la forte storia e il vissuto che gli sta alle spalle.
Purtroppo del libro di Naia non si può dire altrettanto, poiché dalle storie che racconta e dal modo pacato in cui le ha rivisitate, non si percepisce alcun elemento di distinzione e protesta.
Avrei voluto leggere storie in cui le donne cambiano davvero il loro destino anziché perder tempo a farsi la guerra a colpi di pettini e mele avvelenate, o imprigionandosi, per anni, in altissime torri o in sortilegi che inducono al sonno eterno.
Perché lasciare sempre alle donne la parte del cattivo quando, nel tema della violenza, il cattivo è quasi sempre l'uomo?
Oltre al contenuto deludente, devo ammettere che anche la scrittura e la narrazione non mi hanno coinvolta, né rapita.
Tutto è scritto velocemente, come se il racconto servisse solo a dare informazioni fredde e affettate, senza alcuno spazio per il coinvolgimento emotivo, la poesia delle descrizioni e la bellezza del racconto. La sensazione generale, che ho avuto leggendolo, è che lo scrittore avesse una gran voglia di arrivare al punto e togliersi il pensiero.
Un vero peccato, perché questo libriccino fa innamorare solo a guardarlo... ma purtroppo per me l'innamoramento si è fermato lì, alle meravigliose illustrazioni e alla promessa, non mantenuta, di un messaggio diverso ed importante.
Considerazioni:
Ero molto curiosa di leggere questo libriccino che mi ha conquistato al primo sguardo.
Non sono mai stata una patita delle favole tradizionali, anzi, più volte sono state qui sul blog argomento di dibattito.
Delle storie riprese in questa raccolta avevo, tempo fa, letto le versioni originali (mi mancava solo quella di Mignolina) e pochi sono i casi in cui posso dire di aver apprezzato gli insegnamenti che queste si vantavano di elargire.
Troppo cruente nelle immagini, troppo ambigue le metafore, e decisamente poco chiari i messaggi e la "morale della favola", soprattutto se si pensa al pubblico a cui dovrebbero essere rivolte.
Perciò quando ho scoperto "Fiabe in rosso" ero davvero ansiosa di scoprire delle nuove versioni di quelle storie che, in cuor mio, ho sempre pensato potessero essere scritte in maniera più efficace e, perché no, dando vita a vicende con più valore.
Quando ho visto le stupende illustrazioni di Rossella Rossetti mi sono innamorata e quando ho letto lo scopo del libro "un progetto nato a quattro mani contro la violenza sulle donne e gli stereotipi di genere" ero a dir poco entusiasta.
Finalmente avrei detto basta ai lupi che mangiano nonne e bambine, basta alle storie in cui le donne si fanno la guerra solo per l'invidia della bellezza, basta alle storie in cui principi e principesse si innamorano senza nemmeno conoscersi.
Basta, perché questo libro punta a qualcosa di molto più profondo e importante!
E invece...
E invece niente!
Mi sono ritrovata a leggere le stesse identiche fiabe originali di Andersen e dei fratelli Grimm, in cui l'unica cosa che muta, rispetto alle versioni tradizionali, è qualche dettaglio nel finale.
In Mignolina ad esempio la bambina, alta poco meno di un pollice, non fugge via con il principe delle fate, ma diventa colei che si prende cura degli uccellini del bosco.
In Cappucetto Rosso, non è il cacciatore ad ammazzare il lupo, ma la stessa ragazzina, che dal lupo non viene mai mangiata.
Lette le prime due favole ho pensato che lo scopo di Lorenzo Naia fosse quello di mostrare delle figure femminili forti, che non hanno bisogno di uomini, principi o cacciatori che siano, per cavarsela nelle brutte situazioni, ma che sanno farcela da sole.
E se il senso fosse stato questo, mi sarebbe anche potuto andar bene, seppur avrei sempre preferito leggere delle fiabe maggiormente rivisitate.
Però la mia buona fede è stata subito smentita dalla lettura della terza favola: Biancaneve.
La storia della ragazza dalla pelle candida e i capelli color ebano procede pari pari alla versione originale solo che qui è il principe a mordere la mela avvelenata.
Quindi la regina è sempre la stessa donna crudele le cui perfide azioni sono spinte dalla gelosia, Biancaneve è sempre la solita idiota che si fa ingannare più volte da una vecchia portatrice di doni, e che infine si innamora di un perfetto sconosciuto.
Solo che questa volta la necrofila è lei, non lui! >__<
Dove sta dunque tutta questa diversità del messaggio che il libro millantava? Io francamente non la vedo.
Nell'epilogo di Rosaspina, alias "La Bella Addormentata", Naia sembra ispirarsi a quello del film Maleficent.
E qui apro una parentesi: quella sì che è una vera rivisitazione! Quella si che è una versione che dà spessore ad una storia che nell'originale non ne ha alcuno!
Ma, mentre in Maleficent vediamo crescere man mano l'affezione tra la fata e Aurora, qui non accade nulla di tutto ciò.
La fata cattiva si rende conto che, dopo cent'anni di sonno a cui ha costretto l'innocente ragazza, si è vendicata abbastanza e tutto finisce così, alla tarallucci e vino.
In Raperonzolo poi, la storia è praticamente identica se non che alla fine dell'originale il principe porta la ragazza dalle lunghe trecce nel suo regno, qui, invece, partono insieme verso nuovi orizzonti.
Dov'è quindi lo stravolgimento che porta il messaggio di dissenso contro la violenza?
Dov'è il messaggio che ci dice che la felicità non sta solo nel trovare il principe azzurro quando, molte delle protagoniste in questione, fanno esattamente quello?
Mi spiace, mi spiace davvero essere così dura, ma ancor di più mi è dispiaciuto restare delusa da questa lettura.
Ringrazio la casa editrice Verbavolant per avermi fornito una copia cartacea di questo libro.
il mio voto per questo libro
Quando ho iniziato a leggere la recensione stavo per comprare impulsivamente il libro... per fortuna ho finito di leggere il post, prima! Sono una persona profondamente femminista e allo stesso tempo mi piacciono le fiabe (anche se, come hai detto tu, a volte lanciano messaggi molto ambigui), però sono anche una lettrice compulsiva e mi piace leggere libri di qualità.
RispondiEliminaSe ami le fiabe tradizionali potrebbe anche piacerti. A me non è andata giù la mancata promessa del messaggio diverso. E poi per "fiabe rivisitate" mi aspettavo uno stravolgimento che non riguardasse esclusivamente l'epilogo. Peccato perché il libro, a vederlo, è davvero adorabile.
RispondiEliminaCiao, mi piacciono molto le tue recensioni perchè sono sempre molto precise e dettagliate. Il titolo di questo libro mi ha incuriosita e così come le prime righe della tua recensione ma poi, leggendo quello che hai scritto, ho capito che lo scopo non è stato pienamente raggiunto e questo credo sia un peccato perchè avrebbe potuto rivelarsi un'opera molto particolare e importante!
RispondiEliminaGrazie Ariel! Hai ragione, avrebbe potuto essere un libro importante, e dare un messaggio diverso. Far apprendere ai bambini l'importanza che ha rispettare le donne o dare un'immagine forte e differente delle stesse. Un vero peccato :(
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