martedì 26 maggio 2020

Recensione: "La città senza cioccolato" di Lavie Tidhar

Titolo: La città senza cioccolato
Titolo originale: Candy
Autore: Lavie Tidhar
Editore: Mondadori Ragazzi
Data di pubblicazione: gennaio 2019
Pagine: 232
Prezzo: 17,00 € (cartaceo)


Trama:
Come si può vivere in una città in cui i dolci sono proibiti?
Questo è il mistero che aleggia sulla vita di Nelle Faulkner, abile investigatrice privata, dodicenne, costretta a rispettare la legge del rampante sindaco Thornton, amico delle carote e nemico delle carie. Ma ci sono segreti ben più oscuri di cui Nelle deve occuparsi: un pomeriggio nel suo sgangherato ufficio arriva Eddie De Menthe, dodici anni e mezzo e fama da trafficante di dolci, per chiederle di indagare su un furto.
Dopo poco però anche Eddie scompare nel nulla, proprio mentre i suoi rivali, Frittella Ratchet e Wafer McKenzie, si contendono il controllo del contrabbando di dolci.
Intanto un nemico ben più pericoloso e potente incombe sulla città, pronto a addentare Nelle e i suoi amici come la più squisita tavoletta di cioccolato. 
Quanta astuzia servirà per non farsi inghiottire in un solo boccone?

Recensione:
Una città senza cioccolato!
Una città in cui la vendita e l’assunzione di qualsiasi dolciume e leccornia è vietata per legge.
Ve la immaginate?
Un’ingiustizia, una follia, una punizione amara, una norma assurda che risulta ancora più strana se ad attuarla è una città famosa proprio per la sua grandiosa fabbrica di cioccolato.
La Farnsworth, storico edificio della città, azienda rinomata a livello mondiale che per anni ha rifornito i negozi di tutto il mondo, ha sfamato e deliziato la gente di ogni colore e nazione, e soprattutto ha profumato l’aria della ridente cittadina dove è ambientata la nostra storia.
L’aria in città ha sempre profumato di cioccolato, questa era la sua straordinaria caratteristica. Un profumo da favola che faceva sognare, e nella sua delizia accompagnava i suoi abitanti dalla mattina, al risveglio, alla notte quando poggiavano la testa sui cuscini.

“All'epoca l’intera città profumava di cioccolato. Era un profumo che l’avvolgeva tutta, lo sentivano i ricchi e i poveri allo stesso modo, e proveniva, giorno e notte dalla fabbrica Farnsworth. L’odore del cioccolato. Era ovunque. Sui nostri vestiti e nei capelli e nel tepore dei nostri cuscini quando andavamo a dormire la sera. Lo ricordavo ancora. Era l’odore di mio padre. 
Lui aveva lavorato nella fabbrica e il cioccolato ce l’aveva dentro la pelle, sotto le unghie e fra i capelli. L’odore gli rimaneva attaccato, non importa quanto spesso si lavasse o quanta acqua di colonia si spruzzasse. 
Faceva parte di lui. 
Ora la città profumava solo di fiori e alberi, di pane appena sfornato e caffè e gas di scarico delle auto e sudore, come ogni altra città. 
Ma prima profumava di favola. 
Profumava in modo meraviglioso.”

Ma tutte le cose belle hanno una fine, e la fine della fabbrica e dei sogni che essa regalava, arriva quando viene eletto sindaco il salutista Thornton, uomo rigoroso, dal sorriso bianchissimo, che sembra non abbia mai toccato un solo cristallo di zucchero in vita sua.
Il suo motto è “mangiate la verdura”.
Se gli adulti si sono fatti convincere dalla sua campagna elettorale votata ad uno stile di vita sano e salutare, i bambini hanno invece dovuto subire, inermi, questa direttiva scellerata che gli è piombata tra capo e collo, vietando una delle cose più piacevoli e innocue che la vita può offrire.
“Subire inermi” dicevamo? Decisamente no!
Perché i bambini proprio non ci stanno a vivere senza cioccolata. Così tra i ragazzini iniziano a crearsi piccole bande che si fanno concorrenza contrabbandando cioccolata e dolci.
Tutto inizia come un gioco - gruppi di ragazzini che a scuola si scambiano e rivendono dolciumi acquistati nelle città vicine (quelle in cui la loro vendita è ancora legale) - per poi diventare qualcosa di ben più complesso e serio.
Fino a scatenare una vera lotta tra bande per aggiudicarsi il potere della città.
Tre i fronti principali:
La banda della terribile Frittella Ratchet e delle sue Tenerone
Quella del ricco e solitario bambino viziato Wafer McKenzie e del suo fedele assistente Bobby
E quella, più famosa in città, di Eddie De Menthe.
Ed è proprio quest’ultimo che si rivolge alla dodicenne Nelle Faulkner, una ragazzina che gioca seriamente a fare l’investigatrice privata della sua città, per risolvere il caso che lo ha visto coinvolto... il furto di un orsacchiotto.
Un caso apparentemente innocuo e di facile soluzione che si rivelerà per Nelle più aspro e complicato del previsto.
Senza volerlo, e senza averne idea, anche la nostra piccola detective si ritroverà coinvolta nella lotta tra bande, e anche questa si rivelerà ben più grande e pericolosa di quanto Nelle si aspettasse.
Lavie Tidhar, in queste pagine, dà vita ad un giallo per ragazzi senza esclusione di colpi.
Quella che parte essendo un’indagine investigativa portata avanti da una ragazzina e un contrabbando di dolciumi gestito da suoi coetanei - quindi come se fosse tutto un grande gioco in cui i ragazzini si divertono ad interpretare ruoli da adulti - si trasforma via via, con il proseguire delle indagini, in un affare ben più grosso e pericoloso, dove i primi ad essere coinvolti sono proprio gli adulti.
Quindi ecco che quella che era partita come una storia per ragazzi, con ragazzi come protagonisti, diviene qualcosa di più serio e spietato.
Giochi di potere, inganni, minacce, corruzione... un’avventura davvero più seria e pericolosa del previsto per la nostra Nelle, che comunque si rivelerà all'altezza della situazione, pronta a scoprire il mistero che si cela dietro l’apparentemente innocuo furto di un orsacchiotto.
Un’avventura appassionante, in cui, tra una svolta e l’altra nasceranno anche alleanze e amicizie insospettabili.
Una protagonista forte e decisa, con una grande sete di giustizia, sempre pronta, non solo ad inseguire nuovi casi e nuove piste, ma anche a ristabilire l’ordine e lottare per dare voce alla verità.
Un libro avvincente, forse anche un pochino spietato, che rivela quanto il mondo sia marcio e meschino, e poco o nulla può dimostrarlo meglio, se non una città in cui il denaro e il crimine riescono a insinuarsi anche in ciò che c’è di più semplice e dolce: i bambini e il loro amore per il cioccolato.
E se il mondo per la sete di soldi e potere arriva a vietare anche questo, che mondo è?

Considerazioni:
“La città senza cioccolato” è un ottimo e appassionante libro per ragazzi, un giallo ricco di misteri, segreti, sospetti e sospettati.
Dietro ad un caso che inizia come un gioco, un modo come un altro per passare il tempo, per giocare a fare gli adulti, scopriamo celarsi un mondo fatto di macchinazioni e corruzione che non hanno niente a che vedere con giochi di ragazzini.
Non sono ancora convinta se la svolta criminale che ha preso la storia mi abbia convinta del tutto, forse avrei preferito che questa storia per ragazzi fosse rimasta circoscritta al loro mondo, ad un grande gioco piuttosto innocuo, senza mettere in mezzo tutto il marciume che gli adulti portano nelle cose quando ci sono di mezzo il denaro e il potere.
Perché è questo che Nelle scopre alla fine delle sue indagini.
Gli adulti lo hanno fatto ancora, hanno preso ciò che di più bello e buono c’era nella loro città e nelle loro vite e lo hanno negato, reso illegale, proibito.
Hanno preso il cioccolato, i dolci e tutte le bontà che la fabbrica Farnsworth produceva e gli hanno messo su un marchio rosso, facendole passare per dannose e nocive, quando l’unica verità era che la fabbrica, nella sua assoluta eccellenza, non conosceva rivali.
E si sa, quando una cosa fa invidia, si cerca di imitarla, ma se non ci si riesce, si tenta di distruggerla.
Questo svolta seria nella faccenda ha portato nel libro questi aspetti che esistono, da che mondo e mondo, non lo possiamo negare, ma che fa un po’ strano leggere in un libro per bambini. Adulti che arrivano a spiarli, ricattarli, minacciarli, persino a ingaggiare con loro una dura e pericolosa lotta.
Ma questo è, ovviamente, un mio parere personale.
L’autore ha probabilmente voluto rendere più realistica la sua storia non regalando un finale alla “e vissero tutti felici e contenti”, dove la giustizia trionfa sempre e i criminali vengono severamente puniti.
L’avventura della nostra piccola investigatrice e della fabbrica Farnsworth sembra, infatti, solo apparentemente terminare con un lieto fine, ma il male lo sappiamo, è duro a morire, i cattivi trovano sempre un modo per passarla liscia.
Tuttavia se nel finale l’autore ci ha tenuto a ricordarci quanto la realtà sia differente dai sogni, è nello svolgimento della storia che ho trovato lacune, se così si possono definire.
Ancora non mi spiego, né lo scrittore si è premurato di spiegarlo nel suo romanzo, perché una città famosa in tutto il mondo per la sua fabbrica e la sua cioccolata avrebbe dovuto eleggere un sindaco che ne vietasse la vendita.
Perché i suoi cittadini avrebbero votato per il signor Thornton, pur sapendo che avrebbe, come prima cosa, chiuso la fabbrica, impoverendo la città sia della sua fama che della sua gloria e togliendo lavoro a tutti i suoi numerosi dipendenti?
E’ abbastanza folle se ci pensate, e pensavo che prima o poi l’autore avrebbe giustificato la cosa in qualche modo e invece no, non ci spiega mai cosa ha convinto la cittadina a prendere questa decisione così radicale e insensata.
Tuttavia, basta vedere il mondo reale come va, per rendersi conto che neanche gli adulti sono esenti dai comportamenti irragionevoli e insensati, penso a Donald Trump presidente degli Stati Uniti o qui in Italia alle orde di meridionali smemorati fan di Salvini... chi siamo noi per giudicare?
Ciò che ho apprezzato maggiormente in questo giallo sono stati i ragazzini, il loro saper mettere i rancori da parte e far fronte comune, e soprattutto la sete di giustizia e la maturità della piccola protagonista.
Nelle, come tutti, adora la cioccolata, ogni tanto se ne concede un po’ anche se sa che è vietata, ma ha una profonda consapevolezza di ciò che è giusto e ingiusto, un grande senso di equità, e soprattutto si mostra sempre matura, corretta, astuta e coraggiosa.
Il suo amaro in bocca sul finale, quando con rabbia scopre che non sempre le cose vanno come è giusto che vadano e non sempre i criminali - soprattutto se potenti - vengono punti, è un po’ quello che tutti ci ritroviamo a provare di fronte alle ingiustizie.
Nelle è entrata a far parte del mondo dei grandi, dove non tutto si risolve stringendosi la mano e facendo la pace, quel mondo in cui, tristemente scopri, che quando ti dicevano “chi rompe, paga”, non vale poi per tutti.

Ringrazio Mondadori ragazzi per avermi omaggiato di una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

lunedì 18 maggio 2020

Recensione: "Dark Hall” di Lois Duncan

Titolo: Dark Hall
Autore: Lois Duncan
Editore: Mondadori Ragazzi
Data di pubblicazione: 10 luglio 2018
Pagine: 204
Prezzo: 17,00 € (cartaceo) 9,99 € (e-book)

Trama:
Come sentinelle schierate a protezione di quello che c'è oltre, alberi scuri, strani e selvaggi circondano Blackwood, un esclusivo collegio femminile, e lo separano dal resto del mondo.
Non appena la giovane studentessa Kit Gordy ne oltrepassa l'alto cancello d'ingresso, la sensazione di essere sferzata da un vento gelido la fa rabbrividire. Ad accrescere il disagio è lo sguardo duro e perforante della preside, Madame Duret, e l'esiguo numero delle altre studentesse. 
Perché sono state selezionate così poche ragazze, tra loro molto diverse? Che cosa le accomuna? 
E cosa significano le notti turbate da strani sogni e il talento tanto straordinario, quanto inspiegabile, che ciascuna di loro inizia a mostrare? Indizi riguardanti il passato che avvolge la residenza gettano una luce inquietante sui diversi avvenimenti, e ben presto la scuola così esclusiva diventerà un'orribile prigione.

Recensione:
È un giorno assolato di settembre quello in cui, la sedicenne Katryn Gordy, assieme a sua madre e al suo neo patrigno Dan Rolland, viaggia verso quella che sarà la sua casa per il prossimo semestre: Blackwood, l’esclusivo collegio femminile al quale è stata ammessa.
Kit, così la chiamano tutti, ha presentato domanda e si è sottoposta ai vari test di ammissione, mesi prima, quando sua madre le ha annunciato la data di matrimonio e il conseguente viaggio di nozze in Europa.
Con i suoi in viaggio per un periodo così lungo, il collegio si prospetta come soluzione ideale, ancor di più se, assieme a lei, ci sarebbe stata Tracy, la sua migliore amica.
Ma le cose, purtroppo, non si evolvono come le ragazze hanno tanto desiderato e, mesi di sogni a occhi aperti e progetti, vanno in fumo. 
Tracy non è stata ammessa alla scuola, nonostante sia una studentessa ben più brillante di Kit, e da questa notizia anche la prospettiva di un intero semestre chiusa in un collegio immerso nel nulla, da sola, perde ogni attrattiva.
Nonostante le rimostranze, ora Kit è in viaggio verso Blackwood, che l’accoglie con tutta la sua maestosa grandezza.
Un enorme palazzo a tre piani, sormontato da un altissimo tetto in ardesia nero, circondato da un giardino delineato da fitti alberi scuri e da un alto cancello che separa l'intera proprietà dal resto del mondo.
Una visione che lascia Kit sin da subito sbalordita, togliendole le parole di bocca e lasciandola solo con la strana, angosciante sensazione, che dietro quelle mura si celi qualcosa di malvagio.
A fare gli onori di casa, Madame Duret, la direttrice della struttura, una donna dallo sguardo severo e dai modi impostati che subito ci tiene a mostrare le bellezze degli ambienti appena ristrutturati.
Gli interni lasciano i tre senza parole quasi quanto l’esterno, ma ciò che più di tutto desta meraviglia in Kit è la straordinaria magnificenza della sua stanza, che non potrebbe essere più diversa da quelle dei comuni collegi.
Mobili in legno intarsiato, un elegante letto a baldacchino, tessuti costosi come rivestimenti... forse il collegio non è poi così malvagio come Kit aveva pensato all'inizio, eppure quella strana sensazione fatica ancora ad abbandonarla del tutto.
La situazione sembra migliorare il giorno seguente, alla luminosa luce del mattino e con l’arrivo delle prime ragazze che, come lei, sono state ammesse alla scuola.
La prima, dopo Kit, a varcare i cancelli di Blackwood, è Sandra Mason, una simpatica ragazza dai capelli rossi e il viso pallido e lentigginoso, dopo poco si affacciano assieme due ragazze che non potrebbero essere più diverse fra loro, eppure, sembrano essere grandi amiche. Lynda Hannah, bionda con il viso da bambola di porcellana e Ruth Crowder, una ragazzina con i capelli scuri a caschetto, bassa e robusta.
E poi... poi i cancelli vengono chiusi. Nessun altra studentessa oltre loro varcherà le mura che circondano il palazzo.
Anche i professori non sono più numerosi: oltre a Madame Duret che insegnerà letteratura e arte, c’è suo figlio Jules Duret che terrà le lezioni di musica, e il signor Farley, insegnante di matematica e scienze.
Blackwood sembra sin da subito aver isolato le ragazze in un piccolo microcosmo fatto di lezioni, studio e sogni strani.
Anche i contatti con l’esterno sono preclusi. I cellulari non funzionano per mancanza di campo, internet è assente, e le studentesse si ritrovano a poter scrivere ai loro cari solo tramite carta e penna.
Pian piano si conoscono, fanno amicizia, in particolare Kit lega con Sandy e, attraverso le loro chiacchierate, si rendono conto di non riuscire a comprendere il criterio con il quale sono state ammesse alla scuola.
Sono quattro ragazze estremamente diverse, Lynda poco portata allo studio, Ruth molto intelligente, e loro non particolarmente brillanti... eppure a Blackwood qualcosa succede e qualcuna di loro inizia a mostrare talenti artistici mai manifestati fino a poco prima.
Lynda, di punto in bianco, scopre di avere straordinarie doti artistiche, e comincia a sfornare, uno dopo l’altro, una serie di piccoli capolavori.
Meravigliosi e incantevoli paesaggi rappresentanti luoghi mai visti prima. Una passione che la travolge totalmente, togliendole la voglia di fare qualsiasi altra cosa e persino l’appetito.
Anche Sandy, inizia a scrivere poesie, ma per lei la cosa è leggermente diversa. Ciò che mette su carta non sembra appartenerle, sono pensieri che la ragazza non riconosce, come se qualcuno glieli avesse dettati nella mente.
E forse qualcosa di strano in quei talenti improvvisi c’è davvero... forse le ragazze pur ritenendo di non avere nulla in comune, sono accomunate da qualcosa che Blackwood vuole fortemente, qualcosa che le rende estremamente essenziali per Madame Duret.
E più le ragazze si avvicineranno alla verità, più essa gli sarà negata.
Più cercheranno di fuggire dal terribile incubo di Blackwood, più si troveranno ad esserne prigioniere.
Intrappolate senza via di fuga...

Lois Duncan ha scritto questo libro nel 1974, pensando alla giusta atmosfera in cui ambientare la sua storia fatta di mistero e suggestione, tensione e paure, incubi e inquietudini.
Crea Blackwood, il luogo perfetto, isolato e misterioso come teatro della sua sceneggiatura.
Una sceneggiatura che parte con delle buonissime premesse e che vanta anche un guizzo di originalità.
Successivamente, nel 2011, l’autrice ha ripreso il romanzo e lo ha ammodernato, implementando nella storia elementi della tecnologia moderna, come telefoni cellulari, computer portatili, internet, messaggistica e comunicazione via email.
Francamente non mi è chiaro il motivo di questa scelta.
Sembra che l’autrice abbia voluto, con questa sorta di rifacimento, avvicinare il suo romanzo ai ragazzi di oggi... ma questa strada mi pare insensata per diverse ragioni.
A) Cosi facendo pare che i giovani lettori non possano leggere nulla che abbia una datazione antecedente alla loro nascita.
B) L’ammodernamento non ha fatto che rendere più incoerente la trama e i comportamenti dei suoi protagonisti che paiono, in virtù dei tempi e dei mezzi a loro disposizione, decisamente insensati.
Per fare alcuni esempi.
Tutte le alunne di Blackwood arrivano a destinazione munite, come è ovvio che sia, di telefoni cellulari con i quali, suppongono, resteranno in contatto per tutto il loro soggiorno con parenti e amici.
Ovviamente nessuna di loro ha messo in conto che i loro dispositivi si sarebbero rivelati inutilizzabili in assenza di campo.
Ma quale genitore resterebbe per mesi a casa (o in vacanza), senza avere notizie del proprio figlio, senza muoversi in qualche modo per averne, o senza fare un colpo di telefono, alla direttrice della struttura, facendosi passare il proprio caro?
Ma questa è solo una delle infinite incongruenze a cui, la rivisitazione della trama, è andata incontro.
Ne volete altre?
Ogni telefono in assenza di campo presenta l’opzione “solo emergenza” ma a nessuna delle allieve salta in mente di utilizzarla nel momento in cui necessitano di soccorso e aiuto.
O, ancora, nessuna ha l’idea di utilizzare la torcia del telefono (quella dovrebbe funzionare ancora) per farsi luce nel corridoio buio, sprovvisto di illuminazione, che tutte temono di attraversare durante le ore notturne.
Altra incoerenza che l’autrice non è riuscita a spiegare, è il motivo per cui le sue protagoniste scrivano lettere ai loro parenti servendosi del portatile, se poi non possono inviarle via mail, né stamparle... non avrebbe avuto più senso scrivere a mano?
Insomma questo rimaneggiamento della storia fa acqua da tutte le parti e non fa che rendere più debole una trama che, nonostante le buone premesse iniziali, e un buon potenziale, non funziona per tantissimi motivi.
Uno fra tanti, e probabilmente il più grave, lo attribuisco a ogni singola (non)reazione delle protagoniste.
Le ragazze sono tanto inermi da sembrare inumane. Automi privi di qualsiasi sentimento, acume o capacità di ragionamento. Quasi arrese al loro destino e all'ineluttabilità egli eventi.
Inoltre la caratterizzazione di tutti i personaggi è estremamente basica. Leggendo i loro dialoghi, le battute che si scambiano, pare quasi di assistere ad una recita scolastica di basso livello.
Una di quelle in cui in scena ci sono attori improvvisati, che recitano poche battute senza alcuna emozione o trasporto.
Attori non entrati nella parte, così paiono i personaggi che abitano queste pagine.
Un vero peccato perché, come vi dicevo poco fa, le premesse erano buone, una ambientazione suggestiva, e una trama che pareva strizzare l’occhio al famoso “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson.
Se devo salvare qualcosa del lavoro della Duncan salvo il suo saper tener incollato il lettore alle pagine, nonostante tutto, e l’originalità che cela dietro quel mistero che, non è tanto in Blackwood, ma nelle sue allieve. Mistero che purtroppo, a mio parere, non ha saputo sfruttare e, ahimè, si è rivelato un’affilatissima arma a doppio taglio.

Considerazioni:
Volevo leggere questo libro da molto tempo, ma non è certo l’unico titolo che fa parte della mia infinita lista dei desideri.
Pochi giorni fa ho visto che su Sky era disponibile alla visione la sua recente trasposizione cinematografica, e mi spiaceva vederla senza aver precedentemente letto il libro.
Come potevo fare? Data la situazione non potevo certo ordinarlo, così mi è venuta in soccorso MLOL (Media Library On Line), la grande biblioteca gratuita digitale a cui mi sono recentemente iscritta.
Ho verificato la disponibilità del titolo, ed eccolo lì! Pronto per essere scaricato e letto. E quella sera stessa ero già lì, immersa nelle pagine digitali, che sin da subito mi hanno appassionata, lo ammetto.
Se c’è una cosa positiva che Lois Duncan fa, con il suo romanzo, è quella di coinvolgere il lettore e tenerlo incollato fino alla fine.
Certo, il mio stato d’animo è molto mutato durante la lettura. Inizialmente ero entusiasta, curiosa e la storia mi ha sinceramente appassionata.
Con il procedere della lettura, però, il mio entusiasmo si è trasformato in esasperazione.
Proprio così, ero esasperata e irritata dai comportamenti sempre più sconclusionati dei protagonisti.
Avrei voluto lanciare il tablet dalla finestra, entrare dentro la storia e scuotere tutte le inermi protagoniste, prendere di petto la sfacciataggine dei loro oppressori.
Ora, non voglio dirvi troppo della storia, ma immaginatevi quattro ragazze che, senza aver dato il loro consenso, si ritrovano prigioniere in una struttura isolata dal mondo, che, sotto le sembianze di istituto scolastico, è stata invece creata per studiare e testare le loro peculiari doti extrasensoriali.
Le quattro ragazze, così diverse tra loro, non sono state selezionate a caso.
Ognuna di loro ha la capacità di sentire o vedere ciò che gli altri non sentono.
E ognuna ne è, fino a quel momento, quasi del tutto inconsapevole.
A Blackwood queste visioni si manifestano sempre in maniera più assidua, e quelli che inizialmente vengono scambiati per sogni, si tramuteranno in delle vere e proprie ossessioni.
Ogni ragazza inizia a manifestare un talento diverso, ognuna di loro viene utilizzata come strumento dall'anima di un’artista defunto secoli prima.
Fra i nomi citati nel romanzo troviamo quelli del pittore statunitense di origine inglese, Thomas Cole e della celeberrima scrittrice britannica Emily Brontë.
Questi sono solo due degli spiriti che, nelle terribili notti trascorse a Blackwood, prenderanno in prestito i corpi delle ragazze per tornare a esprimersi nel mezzo che è loro più congeniale.
Durante tutta la lettura mi sono domandata cosa avrei fatto io se mi fossi trovata al posto di una delle allieve.
Come mi sarei comportata? Che reazioni avrebbe avuto una persona reale trovandosi in quella situazione paradossale?
La cosa che più mi ha contrariata nel romanzo è stata proprio la mancanza di verità nelle reazioni di tutti personaggi, in specie in quelle delle quattro studentesse.
Una persona che si sente privata della sua libertà di agire, una persona che viene obbligata a fare qualcosa contro il suo consenso, fa qualcosa per sfuggire a queste dinamiche. Fa qualunque cosa, le tenta tutte, fino allo stremo.
Qui nessuna delle ragazze fa niente. Non progettano mai una fuga, un piano per scappare, un modo per voltare le carte a loro favore e trovarsi in una posizione di forza rispetto a chi le tiene prigioniere.
Eppure dalla loro le avrebbero tutte.
Sono numericamente di più, dovrebbero essere furiose e agguerrite, inoltre avrebbero anche un modo palese per minacciare i loro insegnanti.
Sono loro a fornire il materiale che questi cercano, sono loro a produrlo e decidere cosa farne, sono loro a consegnarlo nelle mani dei loro carnefici senza mostrare troppe rimostranze.
E se il tuo aguzzino ottiene da te, in modo volontario, quello che cerca, perché dovrebbe lasciarti andare via?
Kit, Sandy Ruth e Lynda non si dimostrano mai coese fra loro, mai disposte a far fronte comune, inoltre, altra cosa che mi ha fatto davvero innervosire durante la lettura, è stato vederle spesso arrivare a una giusta conclusione e poi dimenticarsene completamente al confronto successivo.
Tutte capiscono fin da subito (forse anche troppo precocemente), che c’è qualcosa di strano nel luogo che le ospita, ne discutono, arrivano ad intuire per sommi capi di cosa si possa trattare, e, il giorno immediatamente successivo, sembra che quel dialogo non ci sia mai stato.
E questo mi ha anche stupito poco perché, leggendo, ho scoperto che è proprio un vizio della scrittrice quello di dimenticare ciò che ha scritto solo poche pagine prima.
Il racconto inizia a settembre, con Kit che in macchina si reca a Blackwood, e dopo vari capitoli, le ragazze ci annunciano che sono passati ormai diversi mesi da quando sono nella struttura. Diversi mesi di notti insonni e incubi strani.
Be’, solo poche pagine dopo, l’autrice ci tiene a farci sapere che il mese di ottobre si è appena concluso per lasciare finalmente il posto a novembre...
Insomma, concludo dicendo che, a questo romanzo, più che un ammodernamento sarebbe stata utile una riscrittura con un po’ di coerenza, sia a livello di successione temporale che di caratterizzazione realistica dei personaggi.
Chissà se il film riuscirà nell'impresa di essere peggiore del libro. Vi farò sapere XD

AGGIORNAMENTO
Confronto con il film:
Capita di rado, ma ogni tanto succede, che la trasposizione cinematografica sia concepita meglio del romanzo da cui è stata tratta, e quello di “Dark Hall” è uno di quei sporadici casi.
Il film, diretto da Rodrigo Cortés, è sicuramente più realistico e logico rispetto al romanzo, in cui, come vi ho spiegato ampiamente nella recensione, vengono compiute scelte discutibili.
Ciò che resta invariato è l’ambientazione e il mistero che avvolge, sia la casa, che la figura di Madame Duret.
Blackwood è anche qui un imponente collegio per ragazze isolato dal mondo, ciò che lo rende diverso è il suo scopo.
Non vi vengono ammesse ragazze che hanno eseguito dei test di ammissione per ricevere un’istruzione elitaria, bensì la struttura funge come una sorta di riformatorio, l’ultima chance per rimettere in riga ragazze problematiche che hanno commesso più di una furfanteria.
Anche Kit, la protagonista, è li per quello. Dopo aver tentato un furto, picchiato una ragazza e dopo aver apparentemente tentato di appiccare un incendio, il preside della sua scuola richiama lei e i suoi genitori dando un’unica alternativa: Blackwood.
Kit, perciò, si ritroverà controvoglia costretta a frequentare la scuola assieme ad altre quattro coetanee, come lei caratterizzate da un vissuto travagliato.
La scuola, per svolgere la sua attività educatrice, proibisce ogni contatto con l’esterno. Quindi nella pellicola, a differenza del libro, sia genitori che ragazze sono informate in precedenza che qualsiasi contatto sarà loro precluso, fatta eccezione di un unica telefonata a metà percorso.
Altra differenza sostanziale, che muta di molto lo spirito della storia, è il modo con cui Kit e altre ragazze si rapportano all'esperienza.
Inizialmente ne sono tutte ovviamente contrariate, vedendola come una punizione ai loro comportamenti. In seguito, con il proseguire delle lezioni e con l’accentuarsi dei loro inaspettati talenti, il loro atteggiamento si volgerà in modo decisamente più positivo.
Successivamente un altro cambiamento avviene in loro quando capiscono che qualcosa di strano sta effettivamente accadendo, e come ci si può aspettare da qualunque essere umano senziente, cercano delle risposte. Non restano inermi e completamente succubi degli eventi e della follia di Madame Duret.
Queste differenze, apparentemente di poco conto, contribuiscono in realtà in modo non indifferente a conferire credibilità alla storia.
Come film, pur non potendolo definire un capolavoro, l’ho trovato carino e “originale”.

il mio voto per questo libro

domenica 17 maggio 2020

Recensione: “Sarò una stella. Perfetta... o quasi” di Elizabeth Barféty

Titolo: Sarò una stella. Perfetta... o quasi
Titolo originale: Allée de la Danse. Parfaite... ou presque
Autore: Elizabeth Barféty
Illustrazioni: Magalie Foutrier
Editore:  Gallucci Editore
Data di pubblicazione: 21 novembre 2019
Pagine: 160
Prezzo: 11,70 €

Trama:
Constance è considerata dai compagni la migliore del corso… e la più seria! Adora la danza ed è decisa a mettercela tutta per realizzare il proprio sogno. Durante una Dimostrazione della Scuola, però, un attacco di panico la costringe a lasciare il palcoscenico e il suo mondo va in frantumi. Riuscirà a rialzarsi e a ritrovare il piacere di danzare?

Recensione:
Continuano le avventure della Scuola di ballo, la serie di Elizabeth Barféty, in collaborazione con l'Opéra National de Paris, dedicata al mondo del balletto.
In questo secondo capitolo ritroviamo le allieve della sesta divisione (all’Opéra di Parigi corrisponde al primo anno di scuola) che abbiamo imparato a conoscere in “Amiche e rivali”.
La precisina Costance, la simpatica Zoe, la generosa Maina, e la timida Sofia e i loro due amici della sezione maschile Nicky e Jamal.
Questa volta, protagonista del racconto è Costance. La ragazza è da sempre considerata da tutti, insegnanti compresi, la più precisa e preparata, anche se nemmeno lei è esente da errori.
In particolare la “colpa” che le sue maestre le attribuiscono è quella di non lasciarsi andare mai del tutto, di essere troppo concentrata sui movimenti e sorridere poco mentre esegue i passi.
Costance continua imperterrita ad impegnarsi ma, man mano che le critiche, sempre le stesse, si ripetono, inizia a perdere fiducia in se stessa.
E se non riuscisse mai a migliorare?
E se non diventasse mai la ballerina straordinaria che spera di diventare (e che tutti si aspettano diventi), ma rimanesse solo una buona esecutrice?
La prova del nove non tarda ad arrivare, infatti all’Operà è giunta l’ora delle Dimostrazioni: tre fine settimana consecutivi, che si tengono annualmente, in cui gli allievi della scuola sono chiamati a dimostrare, ad un pubblico composto per lo più da parenti e amici, ciò che hanno appreso durante l’anno.
Ed è nel corso della prima di queste dimostrazioni che Costance, già in preda a mille dubbi e timori, si lascia travolgere dall'ansia e dalle emozioni e ha un attacco di panico.
Dopo questa terribile esperienza, che la ragazza non riesce a spiegarsi, Costance non riesce più a ballare. Ha paura che, la tremenda sensazione che l’ha travolta sul palco, possa tornare a ripresentarsi ogni qual volta inizi a danzare.
E se smettesse? Se danzare non la rendesse più felice?
Costance non sa darsi pace e non sa cosa fare per uscire da quel buco nero che l’ha travolta improvvisamente, l’unica cosa che sa con certezza è che non vuole mai più sentirsi così.
A poco a poco, grazie all'aiuto dei suoi amici, delle insegnanti, e della stessa danza, la ragazzina riuscirà a sentirsi più sciolta, spontanea e leggera, meno prigioniera di regole e precetti, e ritroverà finalmente il piacere di danzare.
Mi è piaciuto molto questo secondo libro della serie, più del primo.
Innanzitutto ho apprezzato il fatto che ogni capitolo sia dedicato ad un’allievo diverso, e che ogni protagonista abbia un’importanza e un percorso di crescita all'interno della serie.
Inoltre ho gradito il modo in cui vengono trattati argomenti delicati come l’ansia e gli attacchi di panico, senza ridurli a cose sciocche e di poco conto o archiviandoli banalmente.
Costance descrive benissimo il suo stato d’animo e il modo in cui si sente senza neanche riuscirne a capire il motivo. Quella sensazione di immotivata tristezza e l’incapacità di reagire.
Anche il modo in cui piano, piano riesce a risollevarsi e come gli altri (amici, famiglia e insegnanti) si rapportino a lei durante questo periodo delicato, l’ho trovato pertinente e molto educativo.
Sono molto curiosa di sapere a quale protagonista sarà dedicato il prossimo capitolo e su quale tematica verterà. Ciò di cui sono sicura è che il gruppo di amici della sesta divisione saprà insegnare ancora qualcosa di importante ai giovani lettori, non solo a non mollare ed inseguire i propri sogni, ma anche a sconfiggere le paure e contare sempre sull'aiuto di chi ci vuole bene.

Recensione capitoli precedenti:

Ringrazio Gallucci Editore per avermi omaggiato di una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

sabato 2 maggio 2020

Recensione: "Greta Grintosa" di Astrid Lindgren

Titolo: Greta Grintosa
Titolo originale: Brenda Brave Helps Grandmother
Autore: Astrid Lindgren
Illustrazioni: Ingrid Van Nyman e Eva Billow
Editore: Iperborea
Data di pubblicazione: 2 novembre 2017
Pagine: 188
Prezzo: 13,00 €


Trama:
Greta Grintosa, che con la sua travolgente energia organizza da sola la festa di Natale per la nonna malata; Bertil che scopre che sotto il suo letto, nella vecchia tana di un topolino, vive un bambino alto un pollice che ha bisogno del suo aiuto; la principessina Lise-Lotta che possiede un mondo di giocattoli bellissimi, ma desidera solo fuggire dal castello e poter conoscere altri bambini; il piccolo Kalle che è l’unico a non aver paura quando un grande toro scappa dal recinto, perché lui sì che sa come farselo amico.
Dieci storie che brillano di inventiva e vitalità, dieci piccoli irresistibili eroi che con il potere della fantasia, imparano a guardare il mondo con altri occhi, o forse a capirlo meglio degli adulti.
Dal genio di Astrid Lindgren una raccolta di racconti inediti in Italia, alcuni dei quali contengono le prime versioni dei suoi personaggi più famosi. 

Il libro comprende i seguenti titoli:

 Greta Grintosa
 Il cuculo burlone
 Il salto più alto
 Il torero dello Småland
 La principessa che non voleva giocare
 Nel Paese di Calasera
 Nils Karlsson Pirolino 
 Sammelagust
 Sorella mia adorata
 Stellina d’oro

Recensione:
La raccolta intitolata "Greta Grintosa" - dal nome del racconto che fa da apripista - riunisce alcune delle storie per l'infanzia più famose dell'autrice svedese, stranamente ancora inedite in Italia.
In queste pagine, dieci piccoli protagonisti, molto diversi l'uno dall'altro, danno prova della loro creatività, fantasia ma anche della loro testardaggine.
Bambini che non si piegano davanti alle avversità della vita e le tentano tutte per far valere le proprie idee, come nel caso della coraggiosa Greta la quale, dopo la caduta della nonna, non ne vuole davvero sapere di rinunciare a trascorrere le feste di Natale con lei; oppure i caparbi e incoscienti Stig e Albin, tutti intenti a dimostrare i loro più disparati e pericolosi talenti; o ancora l'impavido Kalle che fa capire agli adulti che anche la più feroce delle creature non desidera altro che un po' d'amore.
Questo libro è un inno alla spensieratezza, alla libertà e all'innocenza dell'infanzia, ma è anche un invito agli adulti a credere sempre nei sogni e nella saggezza dei più piccini.
Tuttavia, per quanto molte delle storie narrate siano ricche di particolari vivaci e bizzarri, al punto da far sorridere i lettori, quasi tutte contengono al loro interno anche una nota di fondo malinconica, la quale fa sì che gli aneddoti risultino allo stesso tempo briosi e nostalgici.
Basti pensare a Bertil, il protagonista di "Nils Karlsson Pirolino" che, dopo aver prematuramente perduto, a causa di una malattia, la sorellina, è costretto a passare ogni santo giorno da solo, in attesa che i genitori tornino a casa da lavoro. Dopo mesi di monotonia, finalmente fa il suo magico ingresso un bimbo piccolo come un topolino che, da lì in avanti, diverrà il nuovo compagno di giochi di Bertil. Oppure allo sfortunato Göran che "Nel Paese di Calasera" non sa sarà in grado di tornare a camminare ma, grazie al misterioso signor De Gigliis, ogni dì dopo il tramonto, può volare fuori dalla finestra e vivere tante avventure; o ancora ai cagionevoli Gunnar e Gunilla, i quali possono godere della compagnia di un cuculo burlone, nascosto in un orologio a parete, fuggendo così alla monotonia delle giornate in casa.

«Il mio nome è Asfodelo De Gigliis» si è presentato. 
«Giro un po' dappertutto tra i davanzali della città per vedere se ci sono bambini che hanno voglia di venire con me a Calasera. Tu per caso ne hai voglia?» 
«Io non posso venire da nessuna parte» ho risposto, «perché ho male a una gamba.» 
Allora mi si è avvicinato e mi ha preso per mano. 
«Non importa», mi ha detto «A Calasera non importa.»

In ognuno di questi racconti, i vari personaggi, chi più chi meno, trovano in creature fantastiche, non sappiamo se immaginarie o reali, una valvola di sfogo che permette loro di vivere meglio lo stato di solitudine o tristezza in cui versano.
Difatti coloro che ricevono queste visite inaspettate sono nella maggior parte dei casi bimbi malati o orfani costretti all'isolamento, che non vedono altra soluzione se non sognare ad occhi aperti una vita diversa dalla loro.
A tal proposito non posso evitare di citare la trama di "Mia sorella adorata" in cui una ragazzina afferma di avere una gemella segreta che gioca con lei tutto il tempo, traghettandola in divertenti scenari; o quella di "Stellina d'oro" che ci narra della sfortunata Eva la quale, a causa dei genitori lontani, è costretta a subire, al pari di una novella Harry Potter, le continue angherie delle zie e della viziata cuginetta
Insomma, gli argomenti, come avrete potuto vedere, possono essere i più disparati ma alla base di tutto c'è la continua ricerca di una compagnia, di un alleato e di qualche spassoso passatempo. Un semplice sorriso che ponga fine alla piatta quotidianità e porti gioia in quelle case prive di spensieratezza.
Astrid Lindgren, con questi particolari racconti, ritrae la realtà di molte famiglie in modo veritiero, dando voce alle più pure emozioni (sia che siano espressioni di gioia che di paura) di tutti gli attori in campo. Tuttavia se pensate che la raccolta sia deprimente e non adatta ai bambini, vi sbagliate di grosso. Anche perché la penna dell'autrice non manca mai di ironia, e sembra per giunta comunicare direttamente con i piccoli lettori, coinvolgendoli nel gioco. E come se non bastasse, il libro è impreziosito dalle illustrazioni in bianco e nero, semplici eppure efficaci, di Ingrid Van Nyman (disegnatrice già per "Peter e Petra" e "Pippi Calzelunghe") ed Eva Billow.
Un piacere per gli occhi e per il cuore, un breve avventuroso viaggio nelle vite dei villaggi nordici che finisce per riportarci a casa, un po' cambiati, un po' più sognatori e un po' più noi stessi.

Ringrazio la casa editrice Iperborea per avermi fornito una copia cartacea di questo libro


il mio voto per questo libro