Titolo: L'inganno
Titolo originale: The Beguiled
Autore: Thomas Cullinan
Editore: DeA Planeta
Data di pubblicazione: 5 settembre 2017
Pagine: 512
Prezzo: 17,00 €
Trama:
Cinque allieve appena, le uniche rimaste e un nome che “ci metti di più a pronunciarlo che a fare l’appello”: il Collegio per signorine di Miss Martha Farnsworth.
Nella Virginia insanguinata dalla Guerra civile, tra l’eco dei cannoni e la paura che come un’ombra si addensa contro i muri del giardino, la vita della scuola diretta dall’austera Miss Martha scorre lenta e sempre uguale.
Lezioni di cucito, musica e francese. Le incombenze domestiche, i pasti, le preghiere.
È in questo mondo angusto e tutto al femminile che irrompe il caporale John McBurney, disertore dell’esercito nordista gravemente ferito. Nella fuga dall’inferno dei campi di battaglia, McBurney ha perso il fucile e forse l’orgoglio, ma non l’astuzia che è da sempre la sua arma più affilata.
Assediate dalla guerra e dalla noia, soffocate dal morso dei corsetti e dei loro stessi desideri, le donne della scuola accolgono il soldato nemico e se ne prendono cura.
Un po’ alla volta, inevitabilmente, intrecciano con lui una danza sottile fatta di sfida, di potere e seduzione. Diffidenti, audaci, tenere, gelose, spaventate e possessive, le ragazze di Miss Farnsworth svelano una dopo l’altra la propria vera natura.
E intanto, come falene attratte dalla fiamma, soccombono al fascino di un gioco dall’esito imprevedibile e fatale.
Recensione:
1864, Virginia. Sono gli anni della guerra di secessione in cui nordisti e sudisti si contendono la lotta al potere.
È proprio durante questo violento scontro tra gli Stati Confederati e quelli dell'Unione che Thomas Cullinan ambienta il suo inquietante romanzo a otto voci, tutte femminili.
Il collegio femminile delle sorelle Farnsworth, popolato fino a poco prima della guerra da un grande numero di ragazze di buona famiglia, pronte ad essere istruite, è ora abitato da sole cinque allieve, di età compresa tra i dieci e i diciassette anni: la schietta, sarcastica e cattolica Marie Deveraux, l'amante della natura Amelia Debney, la smaliziata di origini assai modeste Alicia Simms, la patriottica e irreprensibile Emily Stevenson, e la schiva e scontrosa Edwina Morrow.
Loro, per motivi disparati, dati dalle condizioni precarie in cui versano le loro famiglie (chi ha casa in territori di guerra, chi ha i familiari nell'esercito) sono le uniche ad essere rimaste.
Cinque ragazzine, due istruttrici e la serva di colore Mattie, sono queste le sole presenze che da anni vivono nel collegio.
Isolate dal fitto bosco che le circonda, a circa un'ora di viaggio dalla cittadina più vicina, e ora assediate dal fuoco nemico, le donne vivono a tutti gli effetti una vita appartata. Estranee al resto del mondo, con pochissimi contatti umani se non quelli strettamente necessari.
È il 5 maggio 1864 quando la tredicenne Amelia - la prima voce di questo romanzo corale - in un giorno come un altro, durante la sua solita e furtiva passeggiata nei boschi alla ricerca di funghi, trova e soccorre uno yankee ferito.
Il soldato risponde al nome del corporale John McBurney, un irlandese appartenente all'esercito nemico, e mai il destino, in quelle circostanze, avrebbe potuto essere più clemente con lui, mettendogli sulla strada proprio Amelia Dabney, colei che, fra tutte le ospiti dell'istituto, è nota per la sua anima da crocerossina, e il cui hobby preferito è, da sempre, quello di prendersi cura di qualsiasi bestiolina ferita si trovi sul suo cammino.
Ed è proprio così che Amelia vede e vedrà sempre il caporale, come un animaletto da salvare e proteggere dai pericoli futuri.
Amelia ci racconta per prima la sua versione dei fatti, il ritrovamento e la scelta di introdurre "il nemico" all'interno della scuola, all'interno del loro mondo, sino ad allora poco avvezzo alle novità.
"Il nemico" viene soccorso e curato, e man mano, da un'iniziale diffidenza, l'uomo con un misto di galanteria, furbizia e piaggeria riesce a conquistare la fiducia delle otto donne.
Ha inizio una staffetta di voci e punti di vista. Ogni protagonista ci mette al corrente di una parte della storia, come se la stesse confidando a qualcuno, quasi per pulirsi la coscienza, giustificarsi o defilarsi da ogni responsabilità.
Non conosceremo mai la realtà oggettiva delle cose. Esiste poi una verità assoluta che metta tutti d'accordo? Probabilmente no. In ogni storia esistono più versioni, in base agli umori, ai sentimenti, e ai propositi di chi la racconta.
Così, pagina dopo pagina, assistiamo ad una danza di provocazioni, seduzioni, menzogne, bugie e intrighi, in cui le allieve, animate dalla vanità, e anche per sfuggire alla noia a cui la vita le ha costrette, cercheranno di ammaliare il soldato restando a loro volta ammaliate.
Spogliate da freni inibitori, e sentendosi straordinariamente comprese, sveleranno al nemico le proprie fragilità e i punti deboli, offendo un'arma che presto si rivolterà loro contro.
Ma una preda, in alcuni casi, può anche trasformarsi in predatore e persino gli animi più insospettabili, se provocati, possono rivelarsi oscuri.
È proprio questo il messaggio che Thomas Cullinan lascia attraverso le sue pagine, in un romanzo che non vuole assolutamente terrorizzare, o incutere timore, ma indagare le debolezze, le passioni e le incoerenze dell'animo umano.
Mette in luce le ombre, evidenzia gli errori, e sottolinea, con sottile ironia, tutte le contraddizioni insite nell'uomo, quelle che creano una profonda distinzione tra ciò che ciascuno di noi è (o crede di essere) nei propositi, e ciò che è nei fatti.
Ci fa notare quanto l'agnello ci metta poco a trasformarsi in lupo, e viceversa. Del resto, tutti sono innocenti fino a che non diventano colpevoli.
All’epoca non avevo idea di quanto male avessimo dentro, tutte noi.
È strano come non ti fermi mai a pensare al male che, giorno dopo giorno, si accumula nel tuo cuore. A come i cattivi pensieri si ammucchiano l’uno sull’altro, finché ti ritrovi con il petto che scoppia di malvagità. E a quel punto basta una parola di troppo per accendere la miccia… una sciocchezza, qualcosa che in qualunque altro momento avresti liquidato con un’alzata di spalle. Allora perdiamo la testa. Facciamo cose che, Dio mi è testimone, mai e poi mai saremmo state capaci di fare.
Considerazioni:
Un giorno come un altro alla TV stavano dando lo spazio dedicato ai film "prossimamente al cinema" e la mia attenzione è caduta sul trailer de "L'inganno" di Sofia Coppola.
A dire il vero la prima cosa che ho notato è stata Nicole Kidman, la mia attrice preferita in assoluto, mi sono perciò soffermata per cercare di capire di che genere di film si trattasse, e se potesse interessarmi. Ho visto molti volti noti dall'adorabile Elle Fanning a Kirsten Dunst, e vari frammenti di scene caratterizzate da un senso di inquietudine che culminavano con un Colin Farrell che urlava un disperato "Che cosa mi avete fatto?"
Ovviamente mi aveva molto incuriosita, e la prima cosa che ho detto è stata "dev'essere bello, voglio vederlo!"
Poi, informandomi, ho appreso che il film era stato tratto dall'omonimo romanzo di Thomas Cullinan.
Allora il desiderio di vedere il film è stato immediatamente rimpiazzato da quello di leggere il libro.
Della storia continuavo a sapere poco o nulla (fatta eccezione di ciò che avevo intuito dal trailer) e, come sempre, non volevo sapere molto di più per non rovinarmi la bellezza della scoperta, ma le scene misteriose del trailer e quella frase colma di angoscia, urlata in modo disperato "Che cosa mi avete fatto?", continuavano ad incrementare la mia curiosità, promettendomi un libro ricco di pathos, inquietudine e follia.
Poi, la frase con cui Stephen King - il re dell'horror - presenta il romanzo di Cullinan non ha fatto che incrementare le mie speranze e confermare quelle promesse.
“Un racconto gotico dal fascino oscuro e febbrile. Resterete ammaliati dalle spaventose vicende che prendono forma in questa scuola per signorine dimenticata dal mondo”.
"Fascino oscuro", "spaventose vicende"... sì, quella, ne ero certa, sarebbe stata sicuramente una lettura indimenticabile! Ricca di suspense e orrore.
Ora, sia chiaro, non mi aspettavo una lettura horror o splatter (nemmeno la desideravo), ma credevo che il racconto, iniziato con un vago sentore di sospetto e sfiducia nei confronti dell'ospite straniero, si evolvesse sempre di più fino ad arrivare ad un culmine, ad un apice emotivo.
Un intenso horror psicologico, questo era ciò che mi aspettavo.
Un nemico furbo che giocasse con le debolezze e le fragilità delle signorine, per raggiungere uno specifico scopo.
Mi aspettavo che il caporale McBurney giocasse d'astuzia conquistando la fiducia di tutte le signorine del collegio, ma mettendole in sordina le une contro le altre, rivelando segreti nascosti, raccontando bugie, alimentando sospetti, agendo con maggior convinzione e crudeltà.
E che solo alla fine, le donne, scoperto l'inganno e stanche delle angherie tessute alle loro spalle, si alleassero e vendicassero in modo ugualmente crudele e spietato.
Questo in parte accade, ma in modo non abbastanza convincente e, per quanto mi riguarda, per nulla soddisfacente.
Il caporale McBurney si dimostra tanto astuto e determinato in alcuni frangenti quanto sciocco e smidollato in altri.
Per buona parte della lettura l'ho odiato e ammirato al tempo stesso.
Odiavo la sua natura bieca e il modo in cui si divertiva a prendersi gioco delle ragazze del collegio, ma ammiravo la sua intelligenza arguta e l'innata furbizia.
Il modo in cui da poche battute scambiate con alcune di loro e da frammenti di conversazioni origliate di nascosto, come il più abile degli psicologi, riuscisse decifrare la personalità di ognuna e, di conseguenza, a trasformarsi diventando una persona diversa in base a chi si trovava di fronte. Diventare ciò di cui le signorine avevano bisogno.
Un amante della natura per Amalia Dabney; un appassionato lettore di Shakespeare per Miss Harriet, un amico premuroso per la scontrosa e solitaria Edwina Morrow; un appassionato difensore dei diritti dei neri per la serva Mattie, e così via...
Aveva saputo carpire la personalità e i timori di ognuna e con grande abilità era riuscito a servirsi di alcune di quelle informazioni per il proprio tornaconto.
Mi aspettavo che tanta meschinità avesse uno scopo preciso, un piano ben prefissato, e invece no.
La grande astuzia che avevo ammirato in lui, quella che mi faceva temere il suo personaggio - era essa a rendere la lettura ansiogena, il motore che mi spingeva a proseguire con il fiato sospeso, con il pensiero fisso a ciò che avrebbe mai potuto combinare, a cosa sarebbe arrivato a concepire, a che punto si sarebbe potuto spingere, tanto da costringere le sorelle Farnsworth e le sue allieve a fare qualcosa di irrimediabile - è andata via via scemando, rivelando una personalità sciocca e debole. Un uomo che agisce senza pensare, che mette zizzania, ma poi chiede scusa, che fa di tutto per essere cacciato e poi ancora tutto per rimanere. Non un uomo malvagio, ma un uomo perso, disperato e stupido. Un uomo il cui comportamento non mi faceva più paura.
Non lo trovavo più astuto, ma semplicemente patetico. E una cosa patetica non incute paura.
Per quanto riguarda le figure femminili che abitano le pagine di questo romanzo le ho trovate tutte interessanti poiché eterogenee. Le loro personalità sono diverse e variegate ed è stato affascinante scoprirle e assistere ai loro incontri e scontri, alle gelosie e alle scaramucce, e vederle alla continua ricerca di quello che tutte, in fondo, andavano cercando: attenzioni.
È stato comprensibile vederle interessate tutte all'unico uomo, estraneo, trovatosi catapultato all'improvviso nella loro monotona quotidianità. Vederle attratte dallo straniero come le falene sono attratte dalla luce delle lanterne, e scottarsi con quella luce con la stessa ingenua stupidità e, nonostante questo, incaponirsi ad avvicinarla. Ad un certo punto, però, leggerle combattersi briciole di attenzioni, anche quando queste erano evidentemente fasulle, mi è parso troppo anche per loro.
Soprattutto per alcune di loro.
È il caso di Amelia Dabney che essendo stata colei che ha trovato, soccorso, e portato in casa il caporale McBurney se ne sente responsabile. Il ragazzo diventa per lei come quegli uccellini caduti dal nido che è solita salvare. Niente di diverso da uno dei suoi animaletti feriti di cui può prendersi cura. Ed è proprio questo proposito che l'acceca portandola a non vedere mai i fatti con lucidità. È stata, fra le ragazze, quella che ho meno sopportato.
Il ruolo opposto, ovvero quello del mio personaggio preferito, se lo aggiudica invece la più piccola,
Marie Deveraux. Simpatica, sardonica, irriverente e provocatoria. La più furba, quella meno suscettibile alle false lusinghe. In poche parole la più sveglia e quella che mi ha regalato più di un sorriso. L'ho adorata e, per certi versi mi ha ricordato la mia altrettanto amata
Mary Katherine, protagonista del romanzo
"Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson.
Altre personalità complesse sono senza dubbio le sorelle, Miss Martha e Miss Harriet Farnsworth. Mi sono parse una la controparte dell'altra. La forza contrapposta alla debolezza, la fermezza contrapposta alla suscettibilità.
Sebbene molte volte mi sia parso estremamente ingiusto il trattamento che la maggiore riservava alla sorella minore, ho ancor meno apprezzato la lingua lunga e biforcuta della signorina Harriet.
Il suo raccontare fatti estremante personali e privati, i punti deboli, le fragilità e i peccati della sorella ad un perfetto sconosciuto (dal comportamento, per giunta, assai discutibile), me l'ha fatta scadere tantissimo. È stata imperdonabile.
Per quanto riguarda l'epilogo l'ho trovato al di sotto delle mie aspettative.
Il libro nel complesso non mi è dispiaciuto, l'ho letto con curiosità sempre crescente, e con quello che si potrebbe definire "il fiato sospeso" ma, come ho già detto, mi aspettavo un exploit che invece non c'è stato.
Anzi, quando il dramma avrebbe dovuto incendiarsi e trovare il suo apice, si spegne.
Il cattivo si pente - anche se non possiamo essere sicuri si tratti di un pentimento sincero o di una recita, come le tante a cui ci ha reso partecipi nel corso della lettura - le donne si fanno giustizia, ma senza convinzione, quasi sperando che il loro piano alla fine non vada in porto. E tutto si conclude così, con un senso di incompiutezza e di insoddisfazione per il lettore.
Cullinan sembra architettare un bel romanzo psicologico senza, però, avere il coraggio di chiuderlo con l'intensità che avrebbe meritato. Dico sembra perché sono convinta che in realtà questa era proprio la storia che Cullinan aveva intenzione di scrivere, solo che non era quella che io avrei voluto leggere!
Mi spiego meglio: penso di aver compreso il perché delle scelte dello scrittore, egli vuole farci capire che non tutto è bianco o nero, non tutto è per forza totalmente buono o totalmente cattivo, e che chiunque può trovarsi a fare qualcosa di malvagio e spietato anche se fino ad allora era convinto del contrario, e anche se la sua natura non è malvagia.
Il senso l'ho compreso, del resto è tutto racchiuso lì, nella citazione che ho riportato sopra. Purtroppo però (da lettrice che si era fatta ben altre aspettative) mi avrebbe soddisfatto di più una conclusione diversa...
Quindi, alla fine delle fiera, Cullinan non ha sbagliato nulla, la colpa è tutta tua mio caro Stephen King XD
Ringrazio la DeA Planeta Libri per avevi fornito una copia di questo libro
il mio voto per questo libro