lunedì 6 maggio 2019

Chi ben comincia... #41

Poche e semplici le regole:
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"L'evoluzione di Calpurnia" di Jacqueline Kelly

Salve avventori!
Oggi vi propongo l'incipit del romanzo che sto leggendo attualmente, ovvero "L'evoluzione di Calpurnia" di Jacqueline Kelly.
Ho letto solo i primi capitoli ma mi ha già conquistato con la sua semplicità, l'atmosfera estiva e l'elogio del mondo naturale. In attesa di comunicarvi il mio parere definitivo, spero presto, vi lascio con l'incipit. Fatemi sapere se vi incuriosisce oppure no.
A presto!

Nel 1899 avevamo imparato a vincere l'oscurità, ma non il calore del Texas. Ci alzavamo al buio, ore prima dell'alba, quando in cielo, verso oriente, c'era solo una sbavatura di indaco e il resto dell'orizzonte era ancora pece allo stato pure. Accese le nostre lampade a cherosene, le reggevamo davanti a noi oscillanti nell'oscurità, come piccoli soli personali. Dovevamo fare il lavoro di un'intera giornata prima dell'alba, quando il calore mortale ci riportava tutti nella nostra grande casa con le imposte chiuse e, sudati, ci sdraiavamo come vittime sotto gli alti soffitte delle stanze oscure. Il rimedio usato d'estate da Mamma di aspergere le lenzuola con acqua di colonia rinfrescante aveva effetto solo per un minuto.
Alle tre del pomeriggio, quando giungeva di nuovo l'ora di alzarsi, la temperatura era di nuovo micidiale.
Da noi a Fentress il caldo era un patimento per tutti, ma a soffrire di più erano le donne, con i loro corsetti e le sottogonne (io ero ancora troppo giovane di qualche anno per quella forma di tortura femminile). Allentavano i busti e passavano le ore a sospirare, maledicendo la calura e anche i mariti, che le avevano trascinate nella contea di Caldwell a piantare il cotone e i pecan, e ad allevare il bestiame. 
Mamma aveva rinunciato temporaneamente ai capelli posticci, una finta frangia arricciata e una coda di crine arrotolata, basi che usava ogni giorno per acconciarvi sopra le sue chiome in complicate montagne. Nei giorni in cui non avevamo compagnia aveva persino preso l'abitudine di ficcare la testa sotto la pompa della cucina e farsi spruzzare da Viola, la nostra cuoca africana per un quarto, finché non era completamente fradicia.
Ordini precisi ci impedivano di ridere per quello spettacolo strabiliante. Scoprimmo (anche Babbo) che quando Mamma rinunciava a poco a poco alla propria dignità per il caldo era meglio stare alla larga da lei.

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