lunedì 9 dicembre 2019

Recensione: "L'amico immaginario" di Stephen Chbosky

Titolo: L'amico immaginario
Autore: Stephen Chbosky
Editore: Sperling & Kupfer
Data di pubblicazione: 1 ottobre 2019 
Pagine: 640
Prezzo: 19,90 € 

Trama:
Mill Grove è una tranquilla e isolata cittadina della Pennsylvania: solo una strada per arrivare, solo una per andarsene. A Kate Reese sembra il luogo ideale per ricominciare una nuova vita. Lo deve al suo bambino, Christopher, che ha solo sette anni ma sa già quanto il mondo dei grandi possa far male. 
In quella nuova casa, tutto sembra andare a meraviglia, ma poi, all’improvviso, Christopher scompare. Per sei lunghissimi giorni, nessuna traccia di lui. 
Finché, una notte, il bambino riemerge dal bosco di Mission Street, al limitare della piccola città. È illeso, ma profondamente cambiato. Nessuno sembra accorgersene, eccetto sua madre. Ma nemmeno lei può immaginare tutta la verità. 
Christopher ora sente una voce nella testa, e vede cose che per gli altri sono impercettibili. Conosce i segreti del passato, inghiottiti dal bosco; quelli del presente, celati dietro le facciate rispettabili della città. Conosce il futuro tragico che sta per abbattersi su tutti loro. Non può parlarne a nessuno, ma può e deve compiere la missione che quella voce amica gli detta, prima che arrivi Natale. Altrimenti, per sua madre, i suoi amici e l’intera città, sarà la fine.

Recensione:
Stephen Chbosky ha creato per noi una lettura da brivido, degna dei grandi maestri del genere horror. Il suo libro, grazie ad un'atmosfera inquietante, dei nemici terrificanti, un intreccio in continua evoluzione ed una tensione crescente, è uno di quelli che tiene il lettore perennemente incollato alle pagine, col fiato sospeso, in attesa dell'ennesimo colpo di scena.
E di svolte sorprendenti "L'amico immaginario" ne contiene parecchie, sin dalle prime pagine. Se infatti inizialmente ci viene narrata per sommi capi una delle notti più spaventose vissute dal coraggioso David Olson, alla fine del prologo, ci troviamo a fare un balzo di quasi sessant'anni per arrivare alle vicende, più o meno similari, del nostro effettivo protagonista: Christopher.
Il piccolo ometto, dopo aver perso il papà in modo molto drammatico, desidera un'unica cosa: rendere la mamma orgogliosa di lui. Tenterà in ogni modo di farlo, scontrandosi con la dislessia che, purtroppo non gli permetterà di eccellere come vorrebbe. 
Un giorno però, all'uscita da scuola, il tenero bimbo di sette anni viene misteriosamente attirato nel bosco adiacente, da cui non riesce a venir fuori se non sei giorni dopo.
Il primo incontro con gli alberi nodosi di Mission Street sarà per lui così traumatico che, una volta in salvo, non sarà in grado di ricordare nulla di cosa sia successo là dentro.
Naturale, direte voi, cosa ci può essere di più spaventoso e sconvolgente per un bimbo che ritrovarsi solo, di notte, in mezzo al nulla?
Beh, tutto quello che il povero Christopher porterà con sé una volta tornato a casa.
Sì perché da quel momento la vita in casa Reese cambierà radicalmente, e non sempre in modo positivo. È vero, grazie alle straordinarie ed inspiegabili capacità affinate nel bosco, l'amorevole ragazzino collezionerà ottimi voti e aiuterà la mamma a far fronte alle spese, ma ciò non toglie che lui porterà anche un fardello non indifferente sulle spalle.

Lei rimase seduta a lungo ad osservarlo dormire. Le tornò in mente quando avevano guardato Dracula e lui aveva finto di non avere paura, anche se poi aveva indossato maglioni a collo alto per un mese. 
C'è un momento in cui l'infanzia finisce, pensò. E lei voleva che per lui arrivasse molto, molto più avanti. Voleva che fosse abbastanza sveglio da uscire da quell'incubo, ma non così tanto da rendersi conto di viverne uno. 
Lo prese in braccio e lo adagiò nel suo sacco a pelo. Gli diede un bacio sulla fronte, e d'istinto controllò che non avesse la febbre. Poi, quando ebbe finito la sua birra on the rocks, se ne preparò un'altra uguale. 
Perché comprese che quella era una serata che non avrebbe dimenticato.

Non voglio dirvi molto, proprio perché il romanzo è un continuo susseguirsi di colpi di scena e cambi di scenari, che è bene gustarsi volta per volta.
Voglio però spiegarvi come "L'amico immaginario" sia un romanzo così originale che pare impossibile incasellarlo solo nel genere horror. La storia di Chbosky è molto di più, grazie alla sua capacità di unire il vero terrore al puro sentimento.
I motori dell'azione sono essenzialmente le emozioni ed i diversi stati d'animo, ed in particolare due di questi: la paura e l'amore.
I vari personaggi - perché se il punto di vista principale rimane quello di Christopher, molti altri si uniranno a lui - nel corso della storia si mostrano animati dal desiderio di rendere felici le persone amate, o di ricevere dagli stessi le dovute attenzioni, e per farlo finiscono per imbattersi nell'insicurezza, che li spinge a credere di non essere all'altezza delle aspettative.
Questo conflitto interiore condurrà i diretti interessati verso strade sbagliate e perniciose, con inevitabili conseguenze per se stessi e per gli altri.
La perenne sensazione di pericolo è poi la forza trainante della storia. Leggendola si ha sempre la percezione che qualcosa di terribile stia per accadere. Sia al piccolo protagonista che vivrà nel corso della pagina una vera e propria agonia, a livello fisico e mentale, che a tutti gli abitanti di Mill Grove.
Proprio per questo la lettura prende molto dal punto di vista emotivo, risultando particolarmente angosciante. Non è difficile calarsi nei panni degli attori in scena, non è difficile immedesimarsi nel povero Christopher costretto a subire torture inenarrabili pur di proteggere la mamma e i suoi amici.
Inoltre l'autore è stato bravo nel mescolare introspezione psicologica e dimensione onirica, facendo leva sulle fragilità di ognuno di noi. 
In questo libro infatti si ritrae la paura, nelle sue forme più disparate, e più veritiere. Quella degli incubi che avevamo da bambini e che ci impedivano di dormire sereni, e quella ben peggiore che attanaglia gli adulti, facendoli sentire sempre inadeguati, incapaci o del tutto fuori posto.
Chbosky dipinge l'umanità così com'è, con i suoi errori, le sue colpe ma anche con i pregi che rendono uomini e donne così speciali. E lo fa con un racconto corale che ci permette di identificarci nelle piccole tragedie del vicino della porta accanto.
Che sia la giovane ed inesperta Mary Katherine, divisa tra la fede in Dio, il rispetto per i genitori ed il bisogno di scoprire se stessa; oppure l'anziano Ambrose Olsen incapace di perdonare gli errori commessi in passato; o ancora i piccoli Brady Collins e Jenny Hertzog, feriti, abusati ed ingiustamente puniti, proprio da chi avrebbe dovuto difenderli. Indipendentemente dall'età, ognuna delle voci narranti si fa portavoce di un dolore che, se non opportunamente elaborato, può trovare sfogo solo in autocommiserazione o in altra violenza.
Per di più, cosa da non sottovalutare, è proprio la pluralità di punti di vista a permettere allo scrittore di affrontare tematiche molto importanti che, raramente, troverebbero spazio in libri di questo genere, come la violenza domestica e sessuale, il bullismo, i disturbi dell'apprendimento e quelli psichiatrici, sino ad arrivare persino all'estremismo religioso. Ognuno di questi viene esposto con estrema delicatezza e rispetto, senza cadere in banali luoghi comuni e patetismi.
Parlando invece della scrittura, essa si presenta semplice ma efficace, non esageratamente carica di descrizioni, ma densa di pathos e attese funzionali. Ed è grazie a queste che il romanzo, pur essendo formato da più di seicento pagine, fila liscio come l'olio. Almeno fino ad un certo punto perché, ahimè, le fasi finali del libro paiono essere poco convincenti, e alcune interpretazioni conclusive alquanto superflue.
Senza scendere nei dettagli, vi basti sapere che verso gli ultimi capitoli sembra di essere giunti alla quadra del cerchio, eppure il caro Stephen cambia di nuovo le carte in tavola, allungando inutilmente ciò che era a tutti gli effetti concluso.
Si apre quindi una battaglia infinita, eccessivamente torbida, macabra e violenta, ed anche eccessivamente lunga!
Ed è vero, ciò rende possibile all'autore conferire alla narrazione un'ottica nuova, originale e difficilmente ipotizzabile, apprezzabile dal punto di vista letterario, ma anche decisamente fuorviante. Per dirla in altri termini, una trovata geniale che ha però il deficit di allontanare il lettore dal mood principale, dall'atmosfera orrifica e tenebrosa, per trasportarlo in una dimensione ancora più trascendentale ed ultraterrena. Interessante certo, ma meno affascinante dello scenario precedente.

Infilò le mani congelate nelle tasche, mentre attraversava il bosco. 
Il freddo gli mordeva le orecchie. Si insinuava nel suo cervello. Se il vicino avesse sentito l'odore che proveniva dall'appartamento un giorno prima, forse ce l'avrebbe fatta. Perché Dio non gliel'aveva fatto sapere un giorno prima? Gli venivano in mente almeno un centinaio di persone che avrebbero meritato di morire più della bambina. Un migliaio. Un milione. Sette miliardi. Perché Dio aveva ammazzato lei, anziché qualcun altro? 
E poi la risposta arrivò. Fredda e silenziosa. Dio non aveva ucciso lei al posto di altre persone. Alla fine, uccide tutti. 
Perché Dio è un assassino, papà.

In conclusione, "L'amico immaginario" scombina tutti gli standard comuni, per fornirci una storia straordinaria che coniuga le forti emozioni dell'horror con l'incertezza del mystery e dei thriller, non tralasciando l'introspezione psicologica e l'importanza dei sentimenti e dell'amore, tra madre e figli, tra fratelli, tra veri amici, e tra essere umani.

Considerazioni:
Dicono che la prima pagina di un libro sia come l'inizio di una storia d'amore, e io condivido pienamente questo pensiero. Credo sia necessario per un autore creare sin dalle prime pagine una stretta connessione con i lettori, la cosiddetta sintonia, facendo attenzione a non mollare mai la presa e a tenerli sempre interessati a ciò che sta avvenendo, o che avverrà di lì a breve.
In questo caso, a mio parere, Chbosky ha centrato in pieno l'obiettivo, costruendo immediatamente un mistero da dipanare e soprattutto regalandoci uno dei personaggi più teneri della letteratura: il piccolo Christopher.
Impossibile non essere toccati dalla tragedia di quel bimbo coraggioso e ostinato, che sopporta l'indicibile, solo per proteggere la sua mamma.

«Che cosa succede, amore?» gli chiese. «Perdi sangue dal naso?» 
«Starò bene, mamma. Guarda.» 
D'istinto, lei sollevò una mano e gli pulì il viso. Lui la prese nella sua e sorrise. Il suo calore si diffuse alla pelle di lei, e Kate vide la sua vita passarle davanti agli occhi. Vide tutte le volte che aveva nascosto le lacrime perché non voleva insegnare a suo figlio ad avere paura. Tutte le volte che aveva sorriso per farlo sentire al sicuro, e poi era andata nell'altra stanza e aveva contato i dollari che erano rimasti loro. Tutte le botte che si era presa per lui. Tutte le cose a cui aveva rinunciato per lui. Tutte le volte che gli aveva rimboccato le coperte, la sera. Tutte le volte che si era trascinata giù dal letto perché non avrebbe mai rinunciato a lui, come tutte le persone della sua vita avevano fatto con lei. Rivide ogni momento che aveva trascorso con il suo bambino. 
Ma non come l'aveva vissuto lei. 
Bensì come l'aveva vissuto lui. 
All'inizio non capì, ma, quando comprese che cosa fosse quella sensazione, le lacrime cominciarono a rigarle il viso.

Ho amato questo libro per più di un motivo - il clima concitato, la verità man mano sempre più lontana, i personaggi controversi - ma soprattutto per il suo protagonista tutto da amare.
Ammetto che questo aspetto è stato un'arma a doppio taglio perché, è bene dirlo, la lettura è disseminata di particolari crudeli, macabri e raccapriccianti che hanno, ahimè, al centro di tutto proprio il figlio di Kate Reese.
Ho mal sopportato l'eccessiva violenza ed il continuo infierire proprio sulla sanità fisica e mentale del piccoletto, ad un certo punto l'assistere al suo progressivo deperimento è diventato, per me, insopportabile.
Di contro ho adorato il forte rapporto madre e figlio, il loro modo di tutelarsi reciprocamente, sperando di non far notare all'altro i propri sacrifici. Un legame d'amore inscindibile che fa riflettere, commuovere e tribolare, dalla prima all'ultima pagina.
A ciò poi si sommano le diverse tematiche forti accennate da me prima, di cui, in alcuni casi si parla apertamente, e a cui, in altrettante occasioni, forse le più delicate, si allude in maniera velata.
Per fare un esempio, la situazione della povera Jenny, costretta a subire in silenzio le attenzioni perverse del fratellastro Scott. Non si dice mai esplicitamente cosa avveniva in quella camera da letto, ma non credo servano parole per descrivere lo squallore di chi abusa della fiducia, e della ovvia posizione di inferiorità, dei minori.
Insomma, una lettura non per cuori deboli!
Un'altra cosa che mi ha colpito, oltre alla fantasia dell'autore nel costruire un puzzle con ogni pezzo al posto giusto, è stata proprio la capacità di Chbosky di attingere all'immaginario comune, sia per ciò che riguarda gli incubi notturni che la paura in generale. In più di un'occasione ho riconosciuto alcuni particolari dei miei terrori infantili ("signora che sibila" compresa), come anche alcune sfumature delle mie angosce da adulta.
Purtroppo verso le battute finali, come vi dicevo, quella connessione viene progressivamente a mancare, proprio perché negli ultimi capitoli sembra perdere importanza l'umanità ed il reale, per puntare invece su un messaggio più universale e trascendentale.
Se prima venivano raccontati gli errori degli uomini, poi la storia diviene una nuova ed originale interpretazione della religione e della divinità. Una storia sempre di rancori, colpe, vendette e sentimenti feriti, ma che non vede più noi come protagonisti, ma solo come umili spettatori.

Ringrazio la casa editrice Sperling & Kupfer per avermi fornito una copia cartacea di questo romanzo

il mio voto per questo libro

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