Titolo: Piccole donne crescono
Titolo originale: Good Wives
Autore: Louisa May Alcott
Editore: Bur
Data di Pubblicazione: 2012
Pagine: 336
Prezzo: 8,90 €
Trama:
Continuano le vicende delle sorelle March.
Meg, la maggiore è alle prese con le gioie e i problemi della vita coniugale.
Jo, sempre indipendente e caparbia continua a perseguire il suo sogno di diventare una scrittrice.
Beth, indebolita dalla malattia, si gode i piaceri della vita familiare.
Amy, anche lei cresciuta, è diventata una vera signorina per bene, come lei stessa si auspicava, e ora cerca, con impegno e perseveranza la sua strada artistica.
Tra amori e dolori, incertezze e dubbi, scelte sbagliate e giuste le piccole donne sono cresciute.
Recensione:
Sono trascorsi tre anni da quando avevamo lasciato casa March e le sue quattro protagoniste.
Il racconto ha inizio con un piccolo riepilogo che spiega in breve ciò che è accaduto nel tempo trascorso e ci mette al corrente di ciò che sta per accadere nel presente.
Il matrimonio di Meg con John Brooke è alle porte e vediamo tutta la famiglia entusiasta ed intenta nei preparativi del lieto evento.
Una volta celebrate le nozze Meg abbandona la casa paterna e inizia finalmente la convivenza con il suo sposo.
Le premesse sono buone e la giovane sembra pronta ad affrontare le gioie e i sacrifici della vita matrimoniale.
Ovviamente però, l'intoppo è sempre dietro l'angolo! La Alcott si inventa sempre qualcosa per mettere alla prova le sue protagoniste e dare a loro (e a noi), qualche lezione di vita.
Meg ama suo marito e per perseguire un matrimonio di amore ha rinunciato per sempre ai sogni di benessere e ricchezza che tanto l'avevano animata in gioventù.
Il continuo sacrificarsi e la vita frugale, però, mettono a dura prova la sua volontà e la frequentazione con Sallie Moffat, la sua amica di infanzia che, a contrario suo, ha fatto un buon matrimonio, fa crescere in lei desideri e capricci che pensava aver dominato.
Girando con lei per negozi di vestiti, da sempre il suo debole, compie il misfatto.
Compra metri di seta, che non può permettersi, sperperando mesi di risparmi.
Questo darà luogo alla prima lite fra i due sposini, che avrà termine con la tenera scena (forse la più bella dell'intero libro) del cappotto conciliatore.
Jo, è rimasta quella di sempre, se non addirittura peggiorata nel carattere (sebbene ci venga più volte ribadito il contrario).
Testarda e impulsiva, capricciosa e infantile, tratta con sufficienza chiunque abbia visioni diverse dalle sue, e fra questi la zia March e la zia Carrol.
Jo si mostra con loro sgarbata e indisponente e per questo paga care le conseguenze dei suoi comportamenti.
Non scelta dalla zia Carrol, come accompagnatrice per il viaggio in europa, che le preferisce la più amabile e docile Amy, Jo mostra tutta la sua delusione e il suo essere amareggiata.
Crede davvero, in cuor suo, di aver subito un torto e di meritare più della sorella quell'occasione, non rendendosi conto però di aver fatto di tutto per rendersi antipatica e dispotica agli occhi di chiunque.
Rimasta a casa, e passato il rancore, deciderà di dare una svolta al suo destino e partire alla volta di New York per fare l'istitutrice.
Beth è la grande assente in questo romanzo.
Come era avvenuto anche nel precedente, la scrittrice snobba la terza sorella preservandogli solo qualche accenno qua e là.
Le regala una vita insignificante, una malattia dolorosa e una morte in solitudine.
Amy è cresciuta ed è diventata una perfetta dama.
Il desiderio di essere all'altezza dell'alta società, e di diventarne parte, le faranno commettere più di uno sbaglio, ma nulla di irreparabile.
Amy, al contrario di Jo, si è sempre comportata in maniera educata e docile con familiari e conoscenti e proprio grazie a questi suoi modi signorili viene giustamente premiata con una richiesta molto gradita. Un viaggio per l'Europa che la terrà lontana da casa per quasi tre anni e la vedrà tornare a casa con un marito in più e una sorella in meno.
Alla fine del romanzo un salto nel futuro ci dà il quadro familiare con le rispettive famiglie Meg e John, Jo e Friedrich, Amy e Laurie.
Ciò che è maggiormente evidente in questo romanzo è quanto esso sia eccessivamente incentrato sulla figura di Jo ed estremamente superficiale su tutto il resto.
La Alcott in queste pagine dà vita a tante, forse troppe, situazioni incoerenti in cui i suoi protagonisti si comportano in modo incomprensibile, in alcuni casi anche disumano (leggi le considerazioni).
La storia risente di tutto questo, e perde la spontaneità, la leggerezza e la genuinità che avevano caratterizzato il capitolo precedente e che ne erano il pezzo forte.
Nella vita si deve crescere e andare avanti, ma nei libri per fortuna non deve essere necessariamente così, lì il tempo si può fermare e tante volte, e questo ne è un esempio, sarebbe meglio farlo.
Considerazioni:
Nella recensione di "Piccole donne", avevo scritto che, pur essendomi piaciuto abbastanza, ero rimasta delusa dallo spazio eccessivo dedicato a Jo rispetto a quello riservato alle altre sorelle.
Qui è la stessa cosa, se non peggio.
Meg esiste solo nella parte iniziale e Beth è una presenza incorporea e impercettibile anche da viva.
Non capisco perché chiamare un romanzo "Piccole donne" se poi si ha intenzione d'incentrare la storia tutta attorno ad una di loro (la più antipatica per giunta!). A questo punto sarebbe stato meglio intitolare il primo libro: "Jo e le sue sorelle", e il secondo: "Jo è cresciuta, e di conseguenza anche le sorelle".
Altra cosa che proprio non capisco è perché creare quattro sorelle quando sai già che una non te la filerai per niente.
Beth per la Alcott è inutile e inesistente, sembra averla creata giusto per avere un personaggio da far ammalare e morire.
Non ce ne parla troppo, non ci dà nemmeno il tempo di conoscerla e non dà a lei il tempo di vivere e sperimentare le piccole gioie della vita, non sia mai il lettore si affezioni troppo a lei e poi soffra eccessivamente per la sua dipartita, maledicendone la creatrice. Fatto √
Al personaggio di Beth, la scrittrice, non dà alcuna dignità, è una bambina buona, messa là per impietosire e fare numero.
Ma questa ovviamente non è una colpa di Beth, ma della sua creatrice.
E io voglio vendicare quella povera bambina a cui non è stato dato il tempo di vivere, e che, quel poco tempo che ha avuto lo ha dovuto passare a soffrire.
Beth non doveva morire!
O almeno non doveva morire così!
La Alcott la fa ammalare nel primo libro, per farla in seguito riprendere (ma non totalmente), in modo da poterla lasciare parcheggiata in casa, a letto, senza doversi preoccupare di scrivere una storia anche per lei.
Jo, a cui le si può rimproverare tutto, ma non di non tenere a lei, le promette di strale sempre vicino e, inoltre, promette a se stessa e alla signora March di scoprire qual è la causa del dolore della sorella.
E cosa fa per scoprirlo? Parte per New York!
Gran bel modo di strale vicino!
Così, con Amy via, Laurie e il nonno partiti, e Jo in viaggio, la povera Beth è costretta a vivere gli ultimi mesi della sua vita, e della sua malattia che va via, via peggiorando, sola.
Ve la immaginate? Senza conforto, con un padre e una madre a cui non vuole confidare le sue paure per non causare loro un dolore prima del tempo.
Quando Jo torna, molti mesi dopo, la trova visibilmente peggiorata e capisce che la fine è ormai vicina.
E poco dopo la dolce e bistrattata Beth scompare, liberando la Alcott dal terribile peso di doversi ricordare di scrivere il suo nome di tanto in tanto.
Ma il bello deve ancora venire, come ultimo sfregio anche la sua morte è resa insignificante e trattata come un evento trascurabile.
La signora March e Jo, di comune accordo, pensano che sia inutile disturbare il viaggio di svago di Amy per una cosa tanto sciocca come la morte di una sorella. Che sarà mai!
La stessa Amy, pur sapendo che le condizioni di Beth andavano peggiorando, non ci pensa proprio ad interrompere il suo tour dell'Europa. Neanche stesse facendo un fondamentale viaggio di studi.
Quindi i divertimenti di una figlia vengono ritenuti più importanti della morte di un'altra.
Un comportamento che ho trovato assurdo e disumano!
E se, evidentemente, tutti sapevano che ad Amy, da brava egoista qual è, non poteva importare di meno di salutare per l'ultima volta Beth, nessuno però ha pensato (e quando mai!!!) al desiderio che aveva espresso, più volte, Beth di rivedere per l'ultima volta Amy.
Anche il signor Laurence, che dichiarava tanto affetto per "la sua bambina", era troppo impegnato per salutarla un'ultima volta e per partecipare al suo funerale.
Ignorata in vita e ignorata in morte.
Altra assente in questo libro è Meg, la sorella maggiore, che dopo essersi sposata e dopo averci raccontato qualche spassoso aneddoto coniugale, fa solo qualche altra sporadica apparizione.
E parlando di Meg e dei bisticci con il suo sposo non posso non pensare alla fastidiosa e ingombrante presenza della signora March.
Se nel primo libro i suoi predicozzi erano forzati, ma teneri, qui diventano esasperanti, noiosi finanche odiosi.
La mammina, nei consigli che elargisce alla figlia sposata, rivela un maschilismo che me l'hanno resa indigesta.
Inoltre, a lungo andare, ho provato insofferenza anche per il suo metodo educativo alla: "ti faccio sbagliare, così impari. Non ti dirò mai -te l'avevo detto- ma godrò come una pazza pensandolo".
Per Jo non voglio spendere troppe parole, l'autrice le ha già dato più importanza di quanta ne meritasse.
Dico solo che in questo libro mi è diventata molto antipatica.
L'ho trovata dispettosa, infantile, prepotente, presuntuosa ed invidiosa.
Amy parte e lei, che poco prima aveva deciso che sarebbe rimasta a prendersi cura di Beth, decide di partire a sua volta.
Amy si fidanza e lei, che non ne voleva neanche sentirne parlare, tutto un tratto si sente sola.
L'ho vista spesso paragonarsi alla sorella, criticarne i comportamenti, per poi finire, puntualmente, con l'imitarli.
A fine lettura mi sono resa conto di aver trovato, in tutti i personaggi, più difetti che pregi e di mal-sopportarli tutti, chi più chi meno.
Tutti tranne Beth ovviamente. Stai a vedere che, alla fine della fiera, la Alcott le ha fatto pure un favore.
il mio voto per questo libro