Salve avventori!
Come avete passato il Natale?
Noi abbiamo preparato un bel banchetto sia per la cena del 24 che per il pranzo del 25 (come si usa al sud) mettendoci ai fornelli, e quindi anche alla prova (superata si spera, ma ai posteri l'ardua sentenza).
Poi abbiamo scartato i regali che hanno visto, fortunatamente, anche delle new entry nella nostra libreria, ma di questo vi parleremo in un secondo momento.
Venendo invece all'argomento del post, ci ritroviamo oggi qui per commentare insieme gli ultimi sei capitoli (dal numero 8 al numero 13) del nostro gruppo di lettura natalizio, che ci ha fatto scoprire "Il tredicesimo dono" di Joanne Huist Smith.
Allo stesso modo avevo poco apprezzato la scarsa sensibilità dimostrata dalla stessa nei confronti della figlia minore Megan, colpevole di voler festeggiare le festività, nonostante la recente scomparsa del padre Rick.
Ora posso confessarvi che la nuova Joanne (quella che ha iniziato a palesarsi già negli ultimi due capitoli della scorsa tappa), fatta ormai per il cinquanta percento di spirito natalizio e per il restante cinquanta di entusiasmo per la vita in genere, mi ha fatto venire l'orticaria.
Sembra quasi che Babbo Natale in persona sia giunto direttamente dal Polo Nord alla sua porta, per nominarla elfo ufficiale e incaricarla di diffondere ovunque la magia del Natale.
Prima odiava i doni misteriosi, si rifiutava di comprare un albero da decorare e persino di comprare i regali per i suoi figli.
E adesso invece? Non solo canticchia canzoni natalizie, ma pensa addirittura che le stazioni radio le mandino in onda solo per lei. Come una buona samaritana pensa sempre ad aiutare il prossimo, non fa che sfornare manicaretti in previsione degli ospiti in arrivo, attende con trepidazione i doni dei "veri amici".
L’antivigilia di Natale mi sveglio già con in mente una lista di commissioni.
La sera prima siamo rimasti alzati fino a tardi a cucinare e preparare per la nostra festa, ma non sarà certo la mancanza di sonno a smorzare il mio entusiasmo.
Mentre mi districo nel traffico fitto come la neve, mi dico che la frenesia prenatalizia è il momento migliore per fare compere. L’ingorgo mi lascia più tempo per ascoltare canzoni a tema alla radio. Quando sento John Denver e i Muppets che cantano The Twelve Days of Christmas, mi sembra che sia solo per me.
Tutta la famiglia, in realtà, improvvisamente non fa che pensare a questi benefattori misteriosi. Elaborano ipotesi, stanno di guardia e sbirciano di continuo dalle finestre, cercano dettagli nei biglietti come dei provetti investigatori, aprono a più riprese la porta, sperando di trovare qualcosa sull'uscio.
La storia dei doni diventa la loro ossessione, addirittura, ogni volta che sono fuori casa, bramano il ritorno per poter scoprire la sorpresa del giorno.
E non ci avrei trovato nulla di strano se questo cambiamento fosse stato graduale o perlomeno giustificato in qualche modo, invece no.
Joanne il giorno prima dice no alle feste, e il giorno seguente si redime e abbraccia il Natale come fosse il suo più caro amico.
Lo stesso Nick: inizialmente pareva interessato ai doni misteriosi, poi confessa alla mamma di mal sopportare il pensiero di passare le feste senza il suo papà, ed infine... dà l'avvio all'indagine TrovAmici, chiede un regalone per Natale, tira fuori le decorazioni, si esalta ad ogni regalo giornaliero, e continua a stilare una lista desideri, perché una stanza nuova come regalo non è abbastanza.
Anche Ben, che avevo definito il più credibile, dopo la conversazione notturna con Joanne, cambia totalmente il suo atteggiamento. Da distaccato e silenzioso, diventa servizievole e attento, sempre pronto a prendersi cura della sua famiglia e a tendere la mano a chi ha bisogno di aiuto.
Tutto il nucleo familiare mostra a più riprese la munificenza verso il prossimo, quasi fossero i reali di Inghilterra o la famiglia della Casa Bianca. Se fosse tutto vero, penserei di candidarli al premio Nobel per la pace.
Ed eccoci al punto clou di tutta la vicenda: quasi tutto quello che è raccontato in queste pagine non risulta credibile. Prevedibile fin troppo, ma non credibile.
Sembra la tipica commedia da quattro soldi in cui la protagonista è a pezzi, la sua vita va a rotoli, e poi, per l'intervento del destino, ritrova la fiducia in se stessa e nel mondo.
La vita non va così, non quella vera. Una moglie non dimentica che il marito è morto solo due mesi prima, grazie a qualche bigliettino/regalino lasciato davanti alla porta. Non pensa che tutto tornerà alla normalità, solo perché è Natale e tutto appare gioioso e sfavillante.
E vogliamo parlare poi di tutte le scenette al limite del ridicolo?
Mamma Joanne da buona redenta si prodiga nell'esaudire tutti i desideri dei figli. Si reca in un negozio di mobili proprio il giorno prima di Natale e il commesso la informa, giustamente, che la consegna potrà essere effettuata solo dopo le feste.
La nostra protagonista ovviamente, non solo insiste nel suo proposito, ma è spalleggiata da orde di clienti che minacciano di non fare più acquisti in quel negozio, qualora la richiesta della cara mammina non fosse accolta.
La storia dei doni diventa la loro ossessione, addirittura, ogni volta che sono fuori casa, bramano il ritorno per poter scoprire la sorpresa del giorno.
E non ci avrei trovato nulla di strano se questo cambiamento fosse stato graduale o perlomeno giustificato in qualche modo, invece no.
Joanne il giorno prima dice no alle feste, e il giorno seguente si redime e abbraccia il Natale come fosse il suo più caro amico.
Lo stesso Nick: inizialmente pareva interessato ai doni misteriosi, poi confessa alla mamma di mal sopportare il pensiero di passare le feste senza il suo papà, ed infine... dà l'avvio all'indagine TrovAmici, chiede un regalone per Natale, tira fuori le decorazioni, si esalta ad ogni regalo giornaliero, e continua a stilare una lista desideri, perché una stanza nuova come regalo non è abbastanza.
Anche Ben, che avevo definito il più credibile, dopo la conversazione notturna con Joanne, cambia totalmente il suo atteggiamento. Da distaccato e silenzioso, diventa servizievole e attento, sempre pronto a prendersi cura della sua famiglia e a tendere la mano a chi ha bisogno di aiuto.
Tutto il nucleo familiare mostra a più riprese la munificenza verso il prossimo, quasi fossero i reali di Inghilterra o la famiglia della Casa Bianca. Se fosse tutto vero, penserei di candidarli al premio Nobel per la pace.
Ed eccoci al punto clou di tutta la vicenda: quasi tutto quello che è raccontato in queste pagine non risulta credibile. Prevedibile fin troppo, ma non credibile.
Sembra la tipica commedia da quattro soldi in cui la protagonista è a pezzi, la sua vita va a rotoli, e poi, per l'intervento del destino, ritrova la fiducia in se stessa e nel mondo.
La vita non va così, non quella vera. Una moglie non dimentica che il marito è morto solo due mesi prima, grazie a qualche bigliettino/regalino lasciato davanti alla porta. Non pensa che tutto tornerà alla normalità, solo perché è Natale e tutto appare gioioso e sfavillante.
E vogliamo parlare poi di tutte le scenette al limite del ridicolo?
Mamma Joanne da buona redenta si prodiga nell'esaudire tutti i desideri dei figli. Si reca in un negozio di mobili proprio il giorno prima di Natale e il commesso la informa, giustamente, che la consegna potrà essere effettuata solo dopo le feste.
La nostra protagonista ovviamente, non solo insiste nel suo proposito, ma è spalleggiata da orde di clienti che minacciano di non fare più acquisti in quel negozio, qualora la richiesta della cara mammina non fosse accolta.
Qualcuno si schiera dalla mia parte.
Una donna con una pelliccia di finto leopardo, che sta agitando una MasterCard, non apprezza quel commento.
«Il ragazzo ha perso suo padre. Deve aiutarla.»
«Dimostri un minimo di sensibilità», rincara un cliente maschio. «Non ce l’aveva un padre, lei?»
«Ma sì, certo», dice il commesso, ridendo della domanda.
«Lo sapevo», dice l’uomo dando manate sul bancone come se avesse scoperto la risposta a uno dei grandi misteri della vita. «E allora che cosa pensa di fare?»
La donna con la MasterCard non gli lascia il tempo di rispondere.
«Diciamo che io prendo e vado a comprarmi il letto al negozio di materassi che c’è più in su», dice, stracciando il suo ordine.
Indica il signore, che ha in mano anche lui un modulo di acquisto e gli chiede: «Ci sta?».
Lui esita un attimo e poi dice: «Certo. Perché no?».
Altri due clienti minacciano di disdire i loro ordini e ciò basta perché intervenga il direttore.
Una donna con una pelliccia di finto leopardo, che sta agitando una MasterCard, non apprezza quel commento.
«Il ragazzo ha perso suo padre. Deve aiutarla.»
«Dimostri un minimo di sensibilità», rincara un cliente maschio. «Non ce l’aveva un padre, lei?»
«Ma sì, certo», dice il commesso, ridendo della domanda.
«Lo sapevo», dice l’uomo dando manate sul bancone come se avesse scoperto la risposta a uno dei grandi misteri della vita. «E allora che cosa pensa di fare?»
La donna con la MasterCard non gli lascia il tempo di rispondere.
«Diciamo che io prendo e vado a comprarmi il letto al negozio di materassi che c’è più in su», dice, stracciando il suo ordine.
Indica il signore, che ha in mano anche lui un modulo di acquisto e gli chiede: «Ci sta?».
Lui esita un attimo e poi dice: «Certo. Perché no?».
Altri due clienti minacciano di disdire i loro ordini e ciò basta perché intervenga il direttore.
Tipica scena da film, non trovate?
E lo stesso poco prima, quando Joanne tenta di scassinare un auto solo per scoprire la provenienza di una poinsietta proprio uguale alla sua. E anche lì la folla crede senza esitazione alla sua storia strappalacrime (perché ormai Joanne sbandiera ai quattro venti di aver perso il marito, senza farsi troppi problemi), e per di più si dà da fare per tentare di aiutarla ad identificare i benefattori.
Ma io dico, se l'autrice ha davvero vissuto questa tragedia sulla sua pelle, e non ho motivo di non crederlo, perché renderla così frivola e priva di autenticità?
Perché non raccontare davvero il dolore, la caduta e la lenta e ancor più sofferente risalita?
Perché nascondere le cicatrici, fingendo che basti un po' di pomata per far guarire le ferite?
Non ci sono sentimenti in questo romanzo, non trovano spazio, troppo stretti nelle logiche del lieto fine commerciale e dei siparietti divertenti.
Tutto risulta fasullo e distorto, e perciò nulla è capace di emozionare o coinvolgere.
Unica cosa che ho davvero apprezzato, oltre all'atmosfera natalizia e alle prelibatezze culinarie, è l'idea che sta alla base di quest'opera.
La storia dei dodici doni, raccontata nel finale, è l'unica cosa che salverei. Un gesto di generosità incondizionata e disinteressata, il far bene agli altri come modo di curare se stessi, un piccolo gesto d'amore per chi non riesce più ad amare.
E lo stesso poco prima, quando Joanne tenta di scassinare un auto solo per scoprire la provenienza di una poinsietta proprio uguale alla sua. E anche lì la folla crede senza esitazione alla sua storia strappalacrime (perché ormai Joanne sbandiera ai quattro venti di aver perso il marito, senza farsi troppi problemi), e per di più si dà da fare per tentare di aiutarla ad identificare i benefattori.
Ma io dico, se l'autrice ha davvero vissuto questa tragedia sulla sua pelle, e non ho motivo di non crederlo, perché renderla così frivola e priva di autenticità?
Perché non raccontare davvero il dolore, la caduta e la lenta e ancor più sofferente risalita?
Perché nascondere le cicatrici, fingendo che basti un po' di pomata per far guarire le ferite?
Non ci sono sentimenti in questo romanzo, non trovano spazio, troppo stretti nelle logiche del lieto fine commerciale e dei siparietti divertenti.
Tutto risulta fasullo e distorto, e perciò nulla è capace di emozionare o coinvolgere.
Unica cosa che ho davvero apprezzato, oltre all'atmosfera natalizia e alle prelibatezze culinarie, è l'idea che sta alla base di quest'opera.
La storia dei dodici doni, raccontata nel finale, è l'unica cosa che salverei. Un gesto di generosità incondizionata e disinteressata, il far bene agli altri come modo di curare se stessi, un piccolo gesto d'amore per chi non riesce più ad amare.
«Lo scopo era sempre quello di lenire il dolore. Speravamo che il mistero desse un po’ di sollievo, soprattutto quando c’erano di mezzo dei bambini», ha risposto Susan.
«Non volevamo che la gente sapesse che eravamo noi. Al centro dell’attenzione non dovevamo essere noi, ma quelle famiglie e la perdita devastante che avevano subito.»
«Non volevamo che la gente sapesse che eravamo noi. Al centro dell’attenzione non dovevamo essere noi, ma quelle famiglie e la perdita devastante che avevano subito.»
Un dono che spinge a donare, come una catena che unisce chi soffre e li aiuta a ritrovare una seppur minima speranza. Non un cambiamento epocale, ma una piccola scintilla, una candela che fa appena un po' di luce.