giovedì 19 settembre 2013

Recensione: "Lettera a un bambino mai nato" di Oriana Fallaci

Titolo: Lettera a un bambino mai nato
Autore: Oriana Fallaci
Editore: BUR Biblioteca Universale Rizzoli
Data di pubblicazione: 1 gennaio 1997
Pagine: 104
Prezzo: 6,00 €

Trama: 
Il libro racconta, tramite un lungo monologo, quello che è il travaglio di una donna di fronte ad una gravidanza inaspettata.
Il racconto si snoda attraverso il dialogo della donna con il bimbo che porta in grembo, al quale confida paure, dubbi, timori, speranze e gioie. 
Lei chiede al bambino, e quindi a se stessa "Ha senso metterti al mondo, obbligandoti così a vivere una vita in cui esiste la violenza, l'umiliazione e non esiste la libertà?"
Decide che si, è giusto, perché vivere è pur sempre esistere, ed esistere anche se soffrendo è comunque preferibile al nulla.
Quindi, la scelta di portare avanti la gravidanza, di cui se pur con paura ne segue con affetto le fasi. 
Una dolce complicità si instaura tra madre e figlio, riguardi affettuosi ai quali però si alternano momenti d'insofferenza verso quell'essere che la sta privando della sua stessa vita. 
Ed sarà proprio l'egoismo, il desiderio di non sacrificare la propria libertà d'individuo esistente in favore di uno ancora non esistente, che la porterà a quello che è l'epilogo del libro già anticipato dal titolo.

Recensione:
Un libro in cui già dal titolo è anticipato l'epilogo, questo perché lo scopo non è quello di scoprire se la protagonista deciderà di portare o meno a termine la gravidanza, bensì scoprire "il perché" il bambino non verrà mai al mondo.
La protagonista non ha una precisa identità, di lei non conosciamo né il nome né le fattezze fisiche, non ha un volto, qualsiasi donna può riconoscersi in lei, nelle paure, nei dubbi e nelle gioie di un momento così particolare della vita.
Il libro è scritto nel 1975, un periodo in cui la donna non è ancora davvero indipendente.
Se non sposata e in dolce attesa (come in questo caso) è malvista, e in questo libro il disagio è davvero ben descritto, il dottore e l'infermiera ad esempio cambiano subito atteggiamento con la paziente quando scoprono che non è sposata. La guardano con scherno, giudicandola e disprezzandola.
L'interruzione della gravidanza, vista inizialmente come un'opzione, è ancora illegale, (i dottori non la praticano e per questo spesso le donne usavano procurarsela da sole), ma il tema del libro non è l'aborto, come si può forse erroneamente dedurre dal titolo, questo viene trattato si, ma solo marginalmente.
La protagonista decide subito di tenere il bambino, non indugia a riguardo. 
Il vero tema del libro è il significato dell'esistenza, ha davvero senso nascere? 
Ha davvero senso mettere al mondo un figlio se l'unico fine della vita è quello di finire? Dal nulla tornare al nulla, e nel mentre soffrire, lottare subire.
Nella parte conclusiva del libro, la protagonista, dopo aver perso il bambino, vive un sogno febbrile in cui lei è imputata in un processo. 
La scrittrice si serve di questa circostanza per metterci di fronte a diversi punti di vista sulla storia, il medico previdente che l'accusa, la dottoressa new age che l'assolve, il padre del bambino, vigliacco, che discolpa se stesso, l'amica che ne difende i diritti, il datore di lavoro che se ne infischia della tragedia e ne è altresì sollevato, e i genitori che si astengono dal giudicare.
Diverse voci, diverse coscienze che rappresentano in realtà le diverse coscienze della protagonista.
Mi sento di giudicare questo libro, più che per la sua storia e per le scelte che fa la protagonista, per l'analisi dei dubbi e delle paure dell'animo umano, il bisogno costante che ognuno di noi ha di chiedere e ricercare il senso della vita.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Come ho detto a conclusione della recensione, preferisco giudicare questo libro per i suoi dilemmi esistenziali che per la storia in sé.
Giudicando la protagonista invece, devo dire che inizialmente le sue paure erano ammissibili e le comprendevo, mi sono affezionata e intenerita nel leggere i dialoghi tra lei e il bambino, il suo essere premurosa nei suoi riguardi. 
Successivamente quindi, non ho compreso e ne ho detestato l'assoluto egoismo.
I discorsi insensati, dare la precedenza ai suoi piaceri (bere e fumare), nonostante le fosse stato raccomandato di non farlo, e infine abbandonare l'ospedale, oltretutto dopo aver sentito il bambino scalciare, e sapendo che sarebbe equivalso ad una condanna a morte per il feto.
Tutto questo è stato inammissibile per me.
La parte del processo poi, (che non dimentichiamocelo) era un suo sogno! Dove lei dà voce al bambino e attraverso il suo discorso (immaginario) si scagiona, facendogli addirittura confessare un assurdo suicidio.
Eh no cara! 
Quello non è stato un suicidio, la tua sporca coscienza te lo vuol far passare come tale, ma non lo è stato!
Non un rimpianto da parte sua, non un senso di colpa, solo un "doveva andare così".
E invece no, è andata così perché tu volevi inconsciamente che andasse così, ed hai fatto di tutto per assicurarti questo epilogo.
Il mio responso, senza ripensamenti è... Colpevole vostro onore!


il mio voto per questo libro

3 commenti:

  1. Assolutamente un libro che voglio leggere (da tempo immemore)...ho letto da poco un altro libro sull'argomento "Nessuno sa di noi" e mi ha colpito parecchio.

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  2. ValeJordy: Grazie per la dritta, lo cercherò ^_^

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  3. sono d'accordo con la tua recensione. La protagonista di questo libro non mi sta simpatica affatto, ed il lungo monologo finale, in cui ha messo in bocca al bambino 'ucciso' dal suo egoismo ciò che voleva sentirsi dire da sè stessa di auto-assolutorio, me l'ha resa ancora più antipatica. Non è un tipo di donna in cui ci si possa riconoscere, sotto nessun aspetto. Non so con questo libro cosa volesse dirci di fatto l'autrice.

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