Salve avventori!
Il passo che vi propongo oggi è tratto da "La ragazza delle arance", libro di Jostein Gaarder incentrato su una lunga lettera d'addio di un padre a suo figlio.
A causa di una terribile malattia Jan Olav non ha potuto veder crescere suo figlio, ed il quindicenne Georg non ha potuto sapere quanto suo padre lo amasse.
L'estratto che ho scelto narra dell'ultima serata che i due trascorrono insieme, prima del ricovero in ospedale, prima del triste epilogo.
Non voglio rivelarvi altro, per cui vi lascio alla lettura!
Ma una notte ti sei svegliato, era questo che ti volevo dire. Ero fuori in veranda, e improvvisamente ti ho visto uscire dalla tua stanza, strascicando i piedi sul pavimento del soggiorno. Ti stropicciavi gli occhi e ti guardavi intorno. Normalmente avresti salito le scale per andare in camera nostra, ma questa volta ti sei fermato in soggiorno, forse perché hai visto che tutte le luci erano accese. Sono entrato in soggiorno dalla veranda e ti ho preso in braccio. Hai detto che non riuscivi a dormire. Forse l'hai detto perché avevi sentito che mamma e io a volte dicevamo che papà non riusciva a dormire.
Devo ammettere che mi ha reso subito indescrivibilmente felice il fatto che ti fossi svegliato, che fossi venuto da papà quando lui aveva più bisogno di te. Per questo non ho fatto niente per farti dormire di nuovo.
Volevo tanto parlare con te di tutto, ma sapevo anche che non lo potevo fare, eri troppo piccolo per poterlo fare. Comunque eri grande abbastanza per darmi conforto. Se fossi rimasto sveglio, sarei così volentieri rimasto con te per qualche ora quella notte. Era una notte in cui probabilmente avrei svegliato Veronika. In questo modo lei poteva continuare a dormire.
Sapevo che fuori era una serata meravigliosamente limpida, si vedevano benissimo le stelle, l'avevo visto dalla veranda. Eravamo nella seconda metà di agosto, e probabilmente non avevi mai visto la volta stellata prima, almeno non nel corso della chiara estate che era passata, e l'anno prima eri troppo piccolo. Ti misi un maglione caldo e una calzamaglia, indossai una giacca anch'io, e poi ci sedemmo sul terrazzo, tu e io. Avevo spento le luci dentro, e ora spensi anche quelle fuori.
Prima indicai una luna sottilissima. Era bassa nel cielo, a est. La falce era rivolta a destra, quindi la luna era calante, ti dissi.
Eri seduto in braccio a me e assorbivi tutta la sicurezza di cui eri circondato. Anch'io attingevo da quella sicurezza che scorreva a gocce da te. Poi mi misi a indicare tutte le stelle e i pianeti lassù nella volta celeste. Avrei voluto tanto raccontarti tutto, della grande favola di cui eravamo parte, di questo enorme puzzle di cui tu e io eravamo due minuscole tessere. Anche quella favola aveva delle leggi e delle regole che non potevamo capire, che ci potevano piacere o non piacere, ma di fronte alle quali ugualmente ci dovevamo piegare.
Sapevo che forse presto avrei dovuto separarmi da te, ma non potevo dirtelo. Sapevo che con tutta probabilità ero sulla strada che conduceva fuori da quell'enorme favola in cui tu e io stavamo scrutando proprio in quel momento, ma non potevo confidartelo. Cominciai invece a raccontarti delle stelle, prima in modo tale che tu potessi comprendere, ma pian piano mi lasciai prendere la mano e cominciai a parlare liberamente dello spazio come se tu fossi stato adulto.
E tu mi lasciavi parlare, Georg. Ti piaceva sentire come raccontavo, anche se non eri in grado di comprendere tutti i misteri ai quali accennavo. Forse hai anche capito più cose di quante io stesso non credessi. Comunque non mi hai mai interrotto, e non ti sei neanche addormentato. Era come se avessi capito che quella notte non mi potevi abbandonare. Forse hai sentito che in realtà non ero io che facevo compagnia a te. Eri tu che facevi compagnia a me. Eri tu a fare il papà-sitter.
Bellissimo questo stralcio :)
RispondiEliminaQuanto ho amato questo libro... Jostein Gaarder rimane uno dei miei autori preferiti....
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