mercoledì 8 novembre 2017

Recensione: "Tartarughe all'infinito" di John Green

Titolo: Tartarughe all'infinito
Titolo originale: Turtles all the way down
Autore: John Green
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 11 ottobre 2017
Pagine: 352
Prezzo: 17,50 € 

Trama:
Indagare sulla misteriosa scomparsa del miliardario Russell Pickett non rientrava certo tra i piani della sedicenne Aza, ma in gioco c’è una ricompensa di centomila dollari e Daisy,  miglior amica da sempre, è decisa a non farsela scappare. 
Punto di partenza delle indagini diventa il figlio di Pickett, Davis, che Aza un tempo conosceva ma che, pur abitando a una manciata di chilometri, è incastrato in una vita lontana anni luce dalla sua. E incastrata, in fondo, si sente anche Aza, che cerca con tutte le forze di essere una buona figlia, una buona amica, una buona studentessa e di venire a patti con le spire ogni giorno più strette dei suoi pensieri. 

Recensione:
Aza Holmes è una ragazza di sedici anni, ma il suo mondo è molto diverso da quello delle sue coetanee, o meglio ad essere molto diversi sono i suoi pensieri.
Se una comune ragazza della sua età ha la testa presa dai compiti, amici, ragazzi, vestiti, quella di Aza lavora incessantemente in un costante turbinio di domande e paure. 
Aza soffre di disturbi ossessivo compulsivi che limitano, da che ne ha memoria, la sua vita e il suo stesso essere. Ad esempio, mentre compie azioni quotidiane, come può essere consumare un pasto in mensa con i suoi compagni di classe, la sua mente viaggia, perdendosi in spirali di pensiero e partorendo terrori esagerati e infondati.
Così, mentre mastica il suo panino, la testa corre ai batteri che, nel frattempo, stanno attaccando il cibo che si deposita nel suo stomaco, e ai milioni di microbi che fanno parte del suo stesso organismo, e quindi del suo corpo e di se stessa. 
E se il suo stesso essere è costituito in grande parte da batteri e in altrettanta parte da pensieri intrusivi che la aggrediscono e tengono prigioniera, come può lei definirsi una singola persona, vera e senziente? 
Sono questi i tormenti che divorano la sua esistenza, e per far fronte al principale grande quesito che la dilania: "sono vera? Esisto davvero?" Aza si infligge da anni una piccola ferita al dito indice, sempre lo stesso, sempre nello stesso punto.
Come la mamma le diceva da bambina "per sapere se sei sveglia o se stai sognando datti un pizzicotto, se fa male significa che non stai dormendo", così Aza per sapere di essere vera si imprime l'unghia del pollice nel polpastrello dell'indice, fino a procurarsi una ferita, che in realtà non risolve mai il suo dubbio. Ma ne apre mille altri.
"La ferita avrà fatto infezione?" Meglio riaprirla, fare uscire il pus, disinfettarla e poi metterci un cerotto. "Ma sei sicura di averla disinfettata? Sei sicura di aver davvero cambiato il cerotto? Forse è meglio ricontrollare. Forse è meglio riaprire la ferita, ed essere certa di aver fatto uscire tutto il pus..."
Aza è a tutti gli effetti prigioniera della sua patologia. Prigioniera dei suoi pensieri. Incapace di dire basta, incapace di reagire.
Lo scenario della sua vita, che procede tra alti e bassi, continui miglioramenti e peggioramenti, viene destabilizzato quando Daisy, la sua amica di sempre, irrompe nel solito flusso dei suoi pensieri dandole una notizia inaspettata: il vicino di casa - indubbiamente l'uomo più influente della città - il miliardario Russell Pickett, è improvvisamente scomparso.
L'uomo, indagato per vari reati, è ricercato dalla polizia e per chiunque dovesse contribuire al suo ritrovamento c'è una bella ricompensa! 
Daisy non vuole assolutamente farsi scappare l'occasione di diventare ricca, mentre per Aza l'indagine rappresenta sia l'occasione per distrarsi, ma anche quella per riallacciare i rapporti con Davis Pickett, figlio del ricercato e suo grande amico d'infanzia.
È da queste premesse che ha inizio il nuovo romanzo di Green, dove assistiamo ad un'indagine che, più che sul caso dell'uomo scomparso, vuole concentrarsi sulla mente e sui pensieri di chi, come Aza, soffre di disturbi mentali limitanti, disturbi così considerevoli da condizionare qualsiasi azione della vita quotidiana.
Aza è consapevole di avere una malattia, e sa anche perfettamente quanto infondati siano i suoi attacchi e le sue paranoie, eppure non sa come disfarsene o sconfiggerle. È questa la cosa più disarmante della patologia di cui soffre, un ciclo di tortura auto-inflitta e senza fine. È lei stessa il suo nemico, prigioniera del suo stesso corpo e della sua malattia. 
Green affronta il tema con grande realismo, non mirando a creare (come aveva invece fatto in "Colpa delle stelle") la storia romantica a tutti i costi. La sua protagonista si innamora, sì, ma la malattia le impedisce di vivere liberamente quell'amore.
Ho apprezzato questo, ho apprezzato il non voler a tutti i costi creare una storia che piacesse al pubblico, ma semplicemente una storia veritiera. 
Proprio per questo il libro può apparire anche monotono, ripetitivo, incompiuto, poiché la protagonista non arriva mai ad una vera svolta, non supera i suoi problemi, non guarisce, non schiaccia mai, una volta per tutte, la sé che la domina.
Certe volte vince Aza, certe volte perde. Il ciclo si ripete, non vi è mai una vera fine.
Ma quello che può sembrare il punto debole è invece il punto di forza del romanzo, poiché in una storia fatta di fantasia e finzione Aza è vera, e rappresenta la verità della sua malattia. Con essa cresce e convive. Per qualche tempo la lascia libera, per qualche tempo la stringe più forte a sé, in un continuo ciclo che si ripete, così come ci si aspetterebbe dalla vita. 

Considerazioni:
Questo è il secondo romanzo di John Green che leggo (se non considero "Let it Snow").
Come forse sapete rientro tra i pochi (ma buoni) lettori che non ha affatto apprezzato "Colpa delle stelle". 
I motivi sono vari e se vi interessa approfondire potete leggere la mia recensione, ma in poche parole il tutto si può riassumere dicendo che ho visto in quelle pagine poco rispetto per la malattia che raccontava, e per chiunque l'abbia davvero vissuta. 
Green in quel caso aveva, a mio parere, strumentalizzato il dramma dei malati di cancro per mettere in scena la sua storia d'amore strappalacrime totalmente inverosimile, e io avevo trovato il tutto di cattivo gusto e raccapricciante.
Non dico quindi che parto prevenuta a prescindere quando sento il nome "John Green", ma sicuramente l'autore, da allora, non mi ispira particolare simpatia.
Tuttavia alcune cose in "Colpa delle stelle" ero comunque riuscita ad apprezzarle, come la presenza, nei dialoghi e nei pensieri dei protagonisti, di una certa cultura generale e di tematiche interessati e insolite. 
Ero dunque curiosa di vedere come, questa volta, avrebbe affrontato il suo nuovo romanzo che ha nuovamente come protagonista una patologia.
Be', come avrete già capito dalla mia recensione, ho trovato il racconto della malattia molto più realistico, sebbene inserito in un contesto di fantasia.
Se in "Colpa delle stelle" i comportamenti dei due protagonisti mi erano parsi così assurdi e romanzati da farmi affermare che pareva che Green non avesse, in vita sua, mai conosciuto qualcuno malato di cancro, questa volta non posso dire lo stesso. 
Qui, non solo la descrizione del disturbo, ma anche il modo in cui leggere i soliloqui di Aza fa sentire il lettore, appare vero, sconvolgente e toccante. Ho percepito l'angoscia della protagonista e il suo sentirsi senza via d'uscita. 
Solo a fine lettura ho compreso il perché di questa differenza. Green ha sofferto egli stesso, di disturbi ossessivi compulsivi, li ha vissuti sulla sua pelle, sa perfettamente cosa significhi essere nella testa di Aza, perché lui era Aza. 
Ha descritto qualcosa che conosceva perfettamente, e questa volta non l'ha abbellito, romanzato o infiocchettato. Ha raccontato la realtà di un malato semplicemente per quella che è. (E facendo questa riflessione non posso evitare di pensare che avrebbe dovuto avere lo stesso rispetto anche per i malati di cancro. Ma vabe'.)
La storia in se per sé non è eccezionale, però ha il pregio di raccontare e far conoscere con realismo un disturbo. Aiuta a mettersi nei panni di chi soffre di malattie invisibili ad occhio nudo, ma che possono essere anche più distruttive delle altre poiché minimizzate e ostracizzate da chi non le vive e comprende. Malattie che, purtroppo, oltre alla sofferenza interiore portano all'isolamento.
A parte questo non ci sono colpi di scena, non ci sono grandi cambiamenti, non ci sono svolte. 
Il libro comunque resta interessante. Nei dialoghi tra i personaggi vengono quasi sempre affrontati temi di spessore, i protagonisti seppur adolescenti parlano di tematiche stimolanti (spazio, vita, arte, condizioni economiche, filosofia) e seppur questo non può essere considerato particolarmente realistico data l'età dei protagonisti, preferisco di gran lunga un libro che ha da insegnare qualcosa rispetto a quelli infarciti di dialoghi sciocchi e superficiali.
In generale ne consiglio la lettura. Probabilmente se siete fan di "Colpa delle stelle", delle storie in cui sono narrati improbabili e romantici viaggi ad Amsterdam, cene costose offerte nientepopodimeno che dal vostro scrittore preferito, primi baci sottolineati da festanti cori di applausi, e via dicendo... questo libro non incontrerà il vostro gusto, ma io mi auguro, e vi auguro, non siate così.

Ringrazio la casa editrice Rizzoli per avermi fornito una copia di questo libro 

il mio voto per questo libro

7 commenti:

  1. A me Colpa delle stelle (che ho letto in inglese e che, quindi, per me si chiamerà sempre The fault in our stars) non era affatto dispiaciuto, anzi... Però sono d'accordo con te sulla questione del tema malattia: di certo quel romanzo non è realistico da questo punto di vista.
    Ho letto tutti i libri di John Green... e mi sembra che questo sarà molto più "pesante" (in senso positivo). Da come l'hai descritto mi ricorda molto A tragic kind of wonderful, nel quale la protagonista soffre di disturbo bipolare.

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    1. Ciao|! Avendoli tu letti tutti, e spendo che "Colpa delle stelle" per me è un grande NO, me ne consiglieresti qualcun altro suo, o suono tutti su quella linea "romantica a tutti i costi"?

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    2. Cercando Alaska non è romantico, diciamo che l'amore entra nel libro di sfuggita, ma non diventa mai un tema vero e proprio.
      Se vuoi, trovi qui la mia recensione: http://vuoiconoscereuncasino.blogspot.it/2016/08/recensione-cercando-alaska-di-john-green.html
      Comunque ho appena finito Tartarughe all'infinito... e mi è piaciuto molto :)

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  2. Ahahah sono prima corsa a vedere il responso in biscotti e solo dopo ho letto la recensione xD
    Come certamente ricorderai io sono una fan di Colpa delle stelle e, a sostegno della tua tesi, ti dico che Tartarughe all'infinito giace da una decina di giorni sul comodino in attesa di essere finito! Non so, forse sono cresciuta ma non riesce a prendermi. Lo stereotipo della persona che vuole ad ogni costo apparire simpatica (in questo caso l'amica del cuore di Aza) mi urta i nervi, prima invece non ci badavo più di tanto.
    Beh li ho letti tutti e di questo ho visto solo opinioni positive, faccio uno sforzo. Grazie come sempre

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    1. XDDDD
      Sinceramente mi sono rimasti più impressi i pochi che lo hanno stroncato, per il resto ricordo che era più o meno lodato dalla stragrande maggioranza delle blogger. Poi questo sei riuscita a finirlo?

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  3. Ho lasciato John Green dopo Colpa delle stelle e Cercando Alaska, con un bel ricordo ma pochi rimpianti.
    Nonostante le recensioni lette per questo siano positive ma non entusiaste, è la prima volta dopo moltissimo tempo che sono davvero incuriosita da un suo lavoro.
    Quasi quasi, appena smaltisco un po' la pila di libri da leggere, ci faccio un pensierino :)

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    1. Io nonostante la cocente delusione di "Colpa delle stelle" ho deciso di dare allo scrittore una seconda possibilità. Questo non è sicuramente un capolavoro, ma è decisamente migliore dell'altro per come ha affrontato la tematica.

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