lunedì 1 ottobre 2018

Recensione: "Stanza, letto, armadio, specchio" di Emma Donoghue

Titolo: Stanza, letto, armadio, specchio
Titolo originale: Room
Autore: Emma Donoghue
Editore: Mondadori
Data di pubblicazione: 2 novembre 2010
Pagine: 339
Prezzo: 19,50 € 


Trama:
Jack ha cinque anni e la Stanza è l'unico mondo che conosce. È il posto dove è nato, cresciuto, e dove vive con Ma': con lei impara, legge, mangia, dorme e gioca. 
La Stanza è la casa di Jack, ma per Ma' è la prigione dove il suo aguzzino, il misterioso Old Nick, la tiene rinchiusa da sette anni, da quando l'ha rapita. 
Grazie alla determinazione, all'ingegnosità, e al suo intenso amore, Ma' ha creato per Jack una possibilità di vita. Però sa che questo non è abbastanza, né per lei né per lui. Escogita un piano per fuggire, contando sul coraggio di Jack e su una buona dose di fortuna, ma non sa quanto potrà essere difficile il passaggio da quell'universo chiuso a tutto quello che c'è fuori.

Recensione:
Chi di voi non ha sentito parlare di questo libro?
Considerando il grande successo editoriale di qualche anno fa, e l'impatto ancora maggiore dovuto all'uscita nelle sale del film "Room" - pellicola che si è aggiudicata ben quattro candidature Oscar - era quasi impossibile sfuggire al suo richiamo.
Ecco perché, dopo essermi imbattuta in numerose recensioni che la dipingevano come "una lettura emozionante, struggente e straziante", ho deciso di smetterla di procrastinare (era in reading-list da troppo tempo, in effetti) e testare io stessa il romanzo in questione.
Solitamente, devo ammetterlo, mi approccio ai libri rinomati con una certa diffidenza, in quanto raramente mi trovo concorde con l'opinione generale. Eppure stavolta, forse anche grazie alla conoscenza pregressa della scrittura dell'autrice (che avevo avuto modo di apprezzare ne "Il prodigio") sono partita fiduciosa. 
Inutile dire che non avrei dovuto, in quanto, mi duole dirlo, questo libro si è dimostrato deludente e decisamente al di sotto delle mie aspettative.
Vi spiego il perché.
La storia è narrata dal punto di vista di Jack, il bambino di cinque anni, nato e cresciuto in Stanza, con la sua mamma. Jack ci racconta la sua quotidianità fatta di pasti preconfezionati, giochi, esercizio fisico, tv e libri illustrati. 
Ogni cosa si ripete, ogni giorno quasi allo stesso modo. Gli stessi cartoni animati, i soliti racconti, i consueti passatempi. Le uniche novità sono rappresentate dai Premi della Domenica, le modiche ricompense che il rapitore, un certo Old Nick, recapita ai due ostaggi a fine settimana, per ricompensarli per la loro obbedienza.
Il bambino, nonostante la situazione non proprio ottimale in cui vive, non sembra rendersi conto di come stiano realmente le cose. Per lui il mondo intero è racchiuso in quelle quattro pareti e tutto ciò che è visibile in tv non è altro che finzione. Niente esiste al di fuori della Stanza, quindi non può desiderare nulla di più di ciò che ha (e di ciò che offre Old Nick).

Le montagne sono troppo grandi per essere vere, io ne ho vista una in Tv con una donna attaccata alla sua parete con le corde. 
Le donne non sono vere com’è vera Ma’, e nemmeno le ragazze e i ragazzi. Gli uomini non sono veri, tranne Old Nick, anche se non sono proprio sicuro che lui è vero verissimo. 
Forse è vero solo a metà? È lui che ci porta le cose da mangiare e il Premio della Domenica e fa scomparire Spazzatura, ma non è un umano come noi. 
Arriva solo di notte, come i pipistrelli. Forse è Porta che lo fa apparire quando fa bip bip, e l’aria diventa diversa. 
Secondo me a Ma’ non piace parlare di lui perché ha paura che se ne parliamo diventa più vero.

E non sembra neppure comprendere fino in fondo la frustrazione della madre la quale pare non rassegnarsi allo stato di prigionia, ben consapevole della vita, e degli affetti, che la stanno aspettando a casa.
Inizialmente quindi la lettura, come avrete intuito, non prevede grandi emozioni, in quanto ci aiuta essenzialmente a capire la routine in quelle mura, e ad entrare in sintonia con il protagonista e la sua Ma'. 
Ad un certo punto però accade qualcosa di preoccupante che mette in discussione la loro sopravvivenza. Il punto di svolta della vicenda, direte... e invece no, perché subito dopo il ritmo riprende con la stessa monotonia delle pagine precedenti.
Fino a quando un piano, alquanto bizzarro e inverosimile a dire il vero, pone fine una volta per tutte alla permanenza dei due protagonisti nella Stanza.
C'è da dire che tutto ciò avviene quando non si è neppure a metà romanzo (se vi state chiedendo perché il libro si chiami "Stanza", sappiate che l'ho fatto anch'io), tutto il resto non è altro che la descrizione del processo di adattamento al mondo, per Jack, e del reinserimento nella società, per sua madre.
Interessante, certo, ma ben diverso da ciò che ci si aspetterebbe da un libro che teoricamente dovrebbe ritrarre una vita di prigionia e privazioni.
Tutta l'angoscia, la disperazione, il pericolo costante e crescente, la crudeltà dell'aguzzino sono, non dico assenti, ma quasi. Le uniche emozioni descritte consistono nell'insofferenza di Ma' di fronte alla mancanza di libertà e nella nostalgia per la sua vecchia vita. 
Naturalmente buona parte del romanzo è incentrato sul rapporto madre-figlio, basato su un forte affetto reciproco, ma anche su una preoccupante, ma comprensibile, interdipendenza. Le scene tra i due sono tenere e coinvolgenti, tuttavia, soprattutto nella seconda parte, non si può non notare la morbosità eccessiva che rende la relazione parentale necessariamente da riformulare.

Non gliel’ho ancora detto che c’è la ragnatela. È strano avere un segreto che è mio-e-non-di-Ma’. Tutto il resto è di tutti e due. 
Suppongo che il mio corpo è mio, e anche le idee che mi passano per la testa. Ma le mie cellule vengono dalle sue cellule, così in un certo senso io sono suo. 
E anche quando le dico cosa penso e lei mi dice a cosa pensa e ogni nostra idea salta dentro la testa dell’altro, le nostre idee si mischiano, come quando si passa il pastello blu sopra quello giallo e viene fuori il verde.

In linea di massima il romanzo non è malaccio, è scorrevole (nonostante il linguaggio infantile e leggermente sgrammaticato di Jack), i personaggi sono abbastanza delineati (anche se non spiccano per simpatia, ad esclusione del tenero Nonnito) e anche l'analisi del passaggio Stanza-Fuori è ben approfondita.  
Tuttavia c'è sempre la sensazione che manchi qualcosa, dei sentimenti forti confacenti alla situazione estrema descritta, ma anche una certa credibilità.
Se avete letto qualcuna delle mie recensioni in passato, saprete di certo che, eccezion fatta per i libri fantasy o quelli per bambini, per me è essenziale che i fatti o le emozioni raccontate nei romanzi siano realistici.
Purtroppo in questo caso così non avviene. Partendo dal piano di fuga, sconsiderato, avventato e poco applicabile, per arrivare ai ripetuti comportamenti di Jack, nulla o quasi di ciò che l'autrice ha delineato, sembra veritiero.
Per fare uno degli esempi più lampanti.
Jack ha vissuto nella Stanza per cinque anni, desiderando tante delle cose viste alla tv. Continuava a chiedere alla mamma qualcosa di nuovo e appetibile come Premio della Domenica, eppure, una volta giunto nel Fuori, si mostra disinteressato per tutto ciò che non ha già sperimentato in precedenza.
Capisco la paura per tutto ciò che ho sconosciuto, ma qui non si parla di timore, ma di vero e proprio disinteresse. 
Quale bambino, messo nella condizione di assaggiare nuove pietanze, avere nuovi giochi, leggere nuovi libri, esplorare nuovi posti, e conoscere nuove persone, risponderebbe "no, grazie"?
Nessuno. 
Devo ammettere che, per buona parte della lettura, e soprattutto nella seconda parte della storia, ho trovato estremamente frustante l'atteggiamento perentorio e ottuso di Jack, che rifiuta dapprima anche solo l'idea di un mondo al di là della Stanza e che, una volta verificatene l'esistenza, continua a volere esclusivamente ed insistentemente ciò che apparteneva al bunker.

I pastelli a cera del dottor Clay vivono in una scatola speciale su cui c’è il numero 120, infatti sono centoventi e tutti diversi. 
Hanno dei nomi strani scritti per il lungo, tipo Arancione Atomico, Rosso Agrifoglio, Verde Smeraldo, Azzurro Cosmo – chi lo sapeva che Cosmo aveva un colore – Viola Petunia, Rosa Antico, Giallo Zabaione e Grigio Pianeta. Alcuni sono scritti sbagliati apposta, per divertimento, come Malvariglioso, ma non fa tanto ridere. 
Il dottor Clay dice che li posso usare tutti ma io scelgo solo i cinque colori che conosco per colorare come facevo nella Stanza: il blu, il verde, l’arancione, il rosso e il marrone.

Ci sarebbe poi da aprire un altro capitolo su Ma', in un primo momento disposta a mettere in pericolo la vita di suo figlio - elaborando tra l'altro un piano improbabile - pur di non starsene con le mani in mano, e successivamente capace di lasciare solo il suo bambino, una volta raggiunta la libertà. Ma è meglio soprassedere.
In generale quindi, non solo la storia presenta delle falle, ma anche i personaggi, che risultano in questo modo contraddittori, poco attendibili e distaccati.
In considerazione di questi grandi difetti, perché personalmente li reputo tali, non si riesce ad apprezzare appieno le vicende narrate, ci si ritrova a storcere il naso per questa o quell'altra cosa, a desiderare qualcosa di diverso, di toccante e di vero.

Considerazioni:
Ma quanto sono sopravvalutati certi libri? 
Se solo ripercorro mentalmente tutte le recensioni esageratamente positive che ho letto in questi anni, non mi sembra vero di trovarmi di fronte allo stesso libro che ho appena terminato.
Il "New York Times" l'ha addirittura definito "magistralmente empatico"... ma davvero? Ma se l'empatia è proprio la grande assente in questa storia: nessun personaggio ha un comportamento naturale, pare tutto artefatto e lontano dalla realtà. E riconoscersi in qualcosa di evidentemente adulterato è a dir poco impossibile.
Basti pensare a Jack. Inizialmente accetta la versione della mamma, ovvero non esiste nulla se non la Stanza, e tutti i posti visti alla tv non sono reali. 
Una volta saputa la verità la rigetta, non vuole conoscere cosa c'è al di là delle pareti, finge di non crederci. E non ci sarebbe nulla di strano se il suo atteggiamento fosse dettato dal ragionamento "se non posso uscire e vedere il mondo, allora il mondo non esiste".
Ma per il piccolo protagonista non è così che funziona: desidera che nulla nella sua vita cambi, perciò rifiuta una diversa opportunità.
Non vuole uscire e non vuole rinunciare a Stanza. Respinge il piano di fuga, non per paura di non riuscire a portarlo a termine, ma proprio per paura di farcela.
Una volta nel Fuori dice no ad ogni novità, e continua insistentemente a chiedere di riavere le sue vecchie cose e, cosa peggiore, di tornare a vivere in quella prigione.
Inutile dire quanto sia stato frustrante per me leggere ininterrottamente: "Quando torniamo in Stanza?  Dormiamo in Letto? ecc."  ╯°□°)╯︵ ┻━┻

«È il Primo Maggio solo nel mondo?» chiedo. 
Siamo sul divano e stiamo mangiando una ciotola di cereali e frutta secca, senza rovesciarli. 
«Cosa vuoi dire?» chiede Ma’. 
«È il Primo Maggio anche nella Stanza?» 
«Penso di sì, ma lì non c’è nessuno a festeggiarlo.» 
«Possiamo andarci noi.» 
Lei lascia cadere il cucchiaio nella ciotola. «Jack…!»

Parliamoci chiaro, per quanto un posto ermeticamente chiuso possa sembrarti rassicurante, è pur sempre una prigione.
E credo che, nella vita reale, nessuno rinuncerebbe alla possibilità di scegliere e sperimentare, a maggior ragione un bambino, vissuto in trappola sin dalla nascita.
Ma non è solo l'empatia a mancare, in tutto il libro non c'è nessun colpo di scena, nessun escalation di emozioni, ma uno scorrere di pagine più o meno omogeneo, più o meno monotono.
Più andavo avanti con la lettura, più mi sorgeva spontaneo il paragone con "Bunker Diary", un libro intenso e crudele, capace di dosare in modo perfetto ogni accadimento e ogni turbamento. Per non parlare poi il rapporto tra Jack e Ma', per nulla paragonabile al legame affettivo, profondo e commovente, instauratasi invece tra Linus e Jenny, i protagonisti dell'opera di Kevin Brooks. Due mondi opposti!
Inoltre mentre leggevo non riuscivo a capacitarmi che l'autrice di "Stanza, letto, armadio, specchio" fosse davvero la stessa de "Il prodigio", un romanzo assolutamente originale che ha come maggior pregio proprio il forte impatto emotivo. 
La storia di Anna O'Donnell è di tutt'altro livello, sconvolgente, agghiacciante e commovente allo stesso tempo... assolutamente da leggere.
Al confronto questo libro non può che risultare mediocre, senza infamia e senza lode, uno che non annoia ma che neanche ti appassiona, che sicuramente non lascia un ricordo indelebile una volta terminato.

il mio voto per questo libro

5 commenti:

  1. Ciao :-)
    Devo dire che anch'io solitamente rifuggo da libri con una certa nomea, i grandi best-sellers, quei romanzi super pubblicizzati, soprattutto da cui traggono film... quindi seguirò il tuo consiglio e anche questa volta me ne starò lontana da questo libro osannato.

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    1. Beh, se il libro mi ispira molto, lo leggo, indipendentemente dalle opinioni altrui, cosa che ho in effetti fatto in questo caso.
      Non voglio influenzarti, io ho trovato poco coinvolgente questo libro, ma non escludo che ad altri possa fare un effetto diverso.

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  2. Ciao, sinceramente non conoscevo il romanzo, ma concordo sul fatto che spesso sono i libri più osannati a rivelarsi delle delusioni!

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  3. Mi ha sempre incuriosito parecchio questo romanzo, e dalla trama pare si tratti di una storia alquanto profonda. Eppure la tua valutazione mi ha dato da pensare, e a questo punto penso dovrà attendere ancora un po ☺

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