lunedì 2 settembre 2019

Recensione: "Oceano mare" di Alessandro Baricco

Titolo: Oceano mare
Autore: Alessandro Baricco
Editore: Feltrinelli
Data di pubblicazione: 1 luglio 2013
Pagine: 224
Prezzo: 9,50 € 

Trama:
Molti anni fa, nel mezzo di qualche oceano, una fregata della marina francese fece naufragio. 147 uomini cercarono di salvarsi salendo su un'enorme zattera e affidandosi al mare. Un orrore che durò giorni e giorni. Un formidabile palcoscenico su cui si esibirono la peggior ferocia e la più dolce pietà. 
Molti anni fa, sulla riva di un qualche oceano, arrivò un uomo. L'aveva portato lì una promessa. La locanda in cui si fermò si chiamava Almayer. Sette stanze. Degli strani bambini, un pittore, una donna bellissima, un professore dal nome strano, un uomo misterioso, una ragazza che non voleva morire, un prete buffo. Tutti lì, a cercare qualcosa, in bilico sull'oceano. 
Molti anni fa, questi e altri destini incontrarono il mare e ne tornarono segnati. Questo libro li racconta perché, ad ascoltarli, si sente la voce del mare.

Recensione:
"Oceano mare" è un racconto onirico, una favola surreale, o meglio, una poesia in prosa che narra di sette persone in cerca di qualcosa, di una locanda a due passi dalla spiaggia, e del potere salvifico della natura e del silenzio.
Il romanzo, che teoricamente si articola in tre libri, distinti ma collegati tra loro - "La locanda Almayer", "Il ventre del mare", "I canti del ritorno" - ci trasporta istantaneamente in un'atmosfera magica al di là del tempo e dello spazio, in una terra di segreti appena sussurrati, di venti che soffiano perennemente da nord, di bambini consapevoli di cose, che nessuno gli ha mai rivelato.
I diversi personaggi arrivano uno per volta alla locanda Almayer - un luogo dimenticato dal mondo, quasi sconosciuto e deserto - con i loro bagagli, i loro segreti e le loro storie. Arrivano con delle colpe da espiare, dei compiti da portare a termine e, soprattutto, arrivano per guarire.
Quella sconfinata distesa d'acqua, che è in grado di sommergere tutto da un momento all'altro, di cancellare ogni orma e passaggio, di ferire brutalmente e persino uccidere, può, in effetti, con il solo rumore delle sue onde o l'immagine della sua quiete, salvare, se vuole e se glielo si permette, anche le anime più tormentate.
Ed è questo che offre la locanda Almayer ai suoi ospiti: una nuova possibilità per ricominciare da zero, dimenticare il passato, lasciar perdere il futuro, e vivere il presente, senza fretta, senza aspettative.
Ad Ann Deverià, eternamente divisa tra l'amore per il marito ed il desiderio dell'amante; a Bartlebloom che cerca la donna della vita e la fine dell'oceano; ad Adams, che medita vendetta e aspetta; al pittore Plasson che tenta di dipingere il mare con il mare; a Padre Pluche che non sa cosa vuole; e a Elisewin che invece sa di voler vivere, più di ogni altra cosa al mondo.
Le loro esistenze, così diverse eppure così profondamente simili, si intrecciano in quelle rustiche stanze, affacciate sulla spiaggia, e gestite da bambini curiosi e stranamente empatici. Come una matassa di fili annodati, i nostri nuovi amici si confrontano l'un l'altro, si raccontano e si aiutano, diventando, da un certo punto di vista, quasi una famiglia.
Un piccolo universo in cui regna la semplicità, in cui il tempo sembra scorrere eternamente o non scorrere affatto, scandito esclusivamente dalla marea, dal tramonto, dalla luna che si riflette nel buio.

Posata sulla cornice ultima del mondo, a un passo dalla fine del mare, la locanda Almayer lasciava che il buio, anche quella sera, ammutolisse a poco a poco i colori dei suoi muri: e della terra tutta e dell’oceano intero. 
Pareva - lì, così solitaria - come dimenticata. Quasi che una processione di locande, di ogni genere e età, fosse passata un giorno da lì, costeggiando il mare, e tra tutte se ne fosse staccata, una, per stanchezza, e lasciatasi sfilare accanto le compagne di viaggio avesse deciso di fermarsi su quell'accenno di collina, arrendendosi alla propria debolezza, chinando il capo e aspettando la fine. 
Così era la locanda Almayer. Aveva quella bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.

Ed un libro che, proprio come la marea, trascina il lettore, sempre più a largo, più lontano da casa e più vicino ai sogni. Questo grazie all'ambientazione, placida e rassicurante; ai protagonisti, così naïf, fuori dagli schemi e carismatici; e alla scrittura dell'autore, particolarissima, oserei dire unica nel suo genere.
Lo stile di Baricco, che avevo già avuto modo di sperimentare in "Novecento", o lo si ama o lo si odia. È magniloquente, al punto da sembrare, in alcuni tratti, persino lezioso, artificioso e manieristico.
Eppure una volta che si entra in confidenza con esso, se ci lascia guidare senza preconcetti, se si è capaci di andare al di là delle sovrastrutture e delle ridondanze, si scopre una semplicità nell'uso delle parole, e una capacità innata nel conferire ad ognuna di esse un preciso scopo e significato.
Ed è qui che si comprende la differenza tra una scrittura volutamente ricercata ed una inutilmente affettata. Baricco pare studiare in maniera dettagliata ogni frase da scrivere perché sa come modellare le lettere e renderle pura emozione. Solo grazie al suo lavoro certosino, il libro riesce a farci vedere sotto una nuova luce anche concetti ed immagini di vita quotidiana, quali possono essere un normalissimo bagnasciuga, un tramonto, una notte di luna piena.
E forse è questo il messaggio di "Oceano mare" in fondo, il riuscire a guardare lo stesso mondo di sempre con occhi diversi, il vivere il creato quasi fosse un miracolo, il presente come un eterno stato di pace e di possibilità.

Considerazioni:
Da anni rimando la lettura di questo libro. Ogni inverno mi riprometto di leggerlo in estate, e ogni autunno, puntualmente, rinnovo il mio buon proposito.
Quest'anno, complice anche una di voi che me l'ha nuovamente consigliato, ho deciso di fare il grande passo.
Inizialmente, devo dire la verità, sono rimasta un po' spaesata. Come accennavo prima, di primo acchito, il modo di scrivere di Baricco non mi aveva convinto. Eppure, già dopo poche pagine, forse anche grazie al tono surreale e sognante della storia, mi sono sentita letteralmente trascinare dalle parole, quasi fosse una musica.

Venivano dai due più lontani estremi della vita, questo è stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati, se non attraversando da capo a piedi l’universo, e invece nemmeno si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano, questo è il meraviglioso - questo continuerebbero a raccontare, per sempre, nelle terre di Carewall, perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi.

Ho amato questo libro, per l'atmosfera di pace che ha saputo regalarmi, per i singolari personaggi che mi hanno fatto compagnia e a cui, in qualche modo, ho voluto bene, per i consigli, le perle di saggezza, e le lezioni di vita, disseminati qua e là in ogni pagina.
Partendo dal primo punto, il mare, o meglio l'oceano mare, è indubbiamente il grande protagonista, la cornice, il filo conduttore di tutta la narrazione. Il mare benigno che, come una madre, culla i bei sogni, ma anche il mare crudele che, come ne "Il ventre del mare", mette alla prova e rivela la vera natura delle persone.
L'acqua quindi come specchio che ci costringe a guardarci dentro e a non mentire, ma anche l'acqua che lava via i nostri peccati e ci permette di ripartire da zero.
Ogni descrizione della spiaggia e della locanda è stata, per me, una folata di aria pura. Chi vive in una località marittima, può capirmi se dico che, nelle parole di Baricco, ho riconosciuto quel senso di appartenenza di chi il mare, non solo lo vede, ma lo respira.
Di chi lo vive come se fosse casa sua.
La locanda Almayer poi sarebbe il posto perfetto in cui fermarsi a riposare, per un paio di giorni, di settimane o per una vita intera.
Un luogo che custodisce emozioni e sentimenti, che fa vibrare le corde del cuore e che libera le colpe e i rimpianti quasi fossero aquiloni.
Ho adorato le scene ambientate lì, al punto da temere che, con il secondo libro, quello stato di pace sarebbe andato perduto per sempre.
Ed in effetti il tono dei due libri successivi è molto diverso e, in alcuni frangenti, diametralmente opposto, eppure ciò che non è mai mancato è stato il coinvolgimento, la percezione di essere lì sulla scena, pienamente partecipi degli eventi (talvolta davvero cruenti).

Quella notte, e le altre che seguirono, non le voglio ricordare. Un meticoloso, sapiente macello. Più passava il tempo, più diventava necessario, per sopravvivere, essere in pochi. E loro, scientificamente, uccidevano. 
C’era qualcosa che mi affascinava in quella lucidità calcolatrice, in quella intelligenza senza pietà. Ci voleva una mente straordinaria per non smarrire, in quella disperazione, il filo logico di quello sterminio. Negli occhi di quest’uomo, che ora mi guardano come fossi un sogno, io ho letto, mille volte, con odio e ammirazione, i segni di un’orrenda genialità. 
Cercavamo di difenderci. Ma era impossibile. I deboli possono solo fuggire. E non si può fuggire da una zattera persa in mezzo al mare. 
Di giorno si combatteva contro la fame, la disperazione, la follia. Poi calava la notte e si riaccendeva quella guerra sempre più stanca, estenuata, fatta di gesti sempre più lenti, combattuta da assassini moribondi, e belve agonizzanti. 
All'alba, nuovi morti nutrivano la speranza dei vivi e il loro orrendo piano di salvezza.

Se da una parte ho apprezzato la dolcezza della prima parte, allo stesso modo sono rimasta toccata dalla durezza e dalla intensità della seconda parte e dalla nostalgia della terza. 
Per quanto riguarda la questione personaggi, devo ammetterlo, mi sono affezionata ad ognuno di loro: ai discorsi surreali eppur profondi tra il professor Bartlebloom e il pittore Plasson - chi aveva mai pensato che il mare avesse un inizio, una fine, o addirittura degli occhi? - alla matura seppur infantile Dira, ad Elisewin, la ragazza «troppo fragile per vivere e troppo viva per morire», a Padre Pluche, capace di dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, e persino alla sfacciata Ann Deverià e al vendicativo Adams/Thomas.
Per ciò che concerne Elisewin ho valutato molto positivamente la delicatezza con cui è stato delineato il suo disturbo, quello che oggi per noi è un comune attacco di panico, che secoli fa avremmo descritto come male di vivere o malinconia e che l'autore invece definisce come «una malattia, potrebbe esserlo, ma è qualcosa di meno, se ha un nome dev’essere leggerissimo, lo dici e già è sparito».
Più volte vengono elencati i sintomi, la paura totalizzante, la sensazione di precipitare nel vuoto più assoluto, eppure tale descrizione non assume toni estremamente tragici, sembra quasi una inevitabile afflizione di fronte all'imprevedibilità del caso.

Al primo piano della locanda Almayer, in una stanza che guardava verso le colline, lottava, Elisewin, con la notte. Immobile, sotto le coperte, aspettava di scoprire se sarebbe arrivato prima il sonno o la paura. 
Si sentiva il mare, come una slavina continua, tuono incessante di un temporale figlio di chissà che cielo. Non smetteva un attimo. Non conosceva stanchezza. E clemenza. Se lo guardi non te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio... Tutto quell'infinito diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco. Non lo spegni, il mare, quando brucia nella notte. 
Elisewin si sentì scoppiare nella testa una bolla di vuoto. La conosceva bene quella segreta esplosione, invisibile dolore irraccontabile. Ma conoscerla non serviva niente. Niente. Se la stava pigliando, il male subdolo, strisciante - patrigno osceno. Si stava riprendendo quel che era suo. 
Non era tanto quel freddo che le filtrava da dentro, e nemmeno il cuore, impazzito, o il sudore dappertutto, gelido, o il tremore delle mani. Il peggio era quella sensazione di sparire, di uscire dalla propria testa, di essere soltanto indistinto panico e sussulti di paura. Pensieri come brandelli di ribellione - brividi - il volto irrigidito in una smorfia per riuscire a tenere gli occhi chiusi - per riuscire a non guardare il buio, orrore senza scampo.

Per ciò che concerne Bartlebloom invece sono rimasta un po' delusa. Avrei voluto per lui che, con estremo romanticismo, aveva scritto ogni giorno una lettera indirizzata alla donna del suo destino, un lieto fine. Purtroppo la sua immagine di visionario è stata, in ultima battuta, malamente sfruttata per creare dei divertenti siparietti (per chi ha letto il romanzo, mi riferisco all'incontro con le due gemelle), senza dare un degno riconoscimento ai suoi sforzi e all'immane pazienza dimostrata. Povero professore!

«Ha 38 anni, Bartleboom. Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle 
— Ti aspettavo. 
Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni - i giorni, gli istanti - che quell'uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell'uomo 
— Tu sei matto. 
E per sempre lo amerà.»

In realtà mi è spiaciuto leggere dell'epilogo non proprio sereno riservato anche ad altri di loro (non vi dirò chi), ma come sappiamo la vita non è mai giusta.
Senza soffermarmi su ogni protagonista, mi limito a dire che, in generale, tutti loro hanno un qualcosa che li rende bislacchi e poco verosimili. Ognuno ha una particolarità, taluni sembrano addirittura dotati di un qualche potere, nessuno rappresenta il vicino della porta accanto, pur portando dentro di sé un valido esempio di quell'umanità in crisi, che vacilla per non cadere. Risultano affascinanti proprio per questo, il loro essere un po' terreni e un po' mistici, in uno scenario che li accoglie a braccia aperte, con le sue sembianze di favola più che di vita vera.
Ritornando invece all'ultimo punto, le cosiddette "perle di saggezza", come dicevo prima, "Oceano mare" è capace di riscrivere frammenti di vita quotidiana in modo diverso da quelli cui siamo abituati, ricreando quelle piccole emozioni che ci animavano da bambini. Con il libro di Baricco prendono forma quelle domande che facevamo a mamma e papà da piccoli, e che ad oggi ci sembrerebbero puerili; quelle che ci faremmo ancora oggi se avessimo il coraggio di farle; quelle a cui non avevamo mai pensato prima di trovarle scritte nero su bianco.
A volte mi è sembrato che le pagine mi leggessero dentro, dando forma a riflessioni che avevo sempre elaborato, magari senza palesarle esplicitamente, altre volte hanno fatto sorgere in me pensieri nuovi di zecca.
Una cosa è certa, non guarderò più il mare allo stesso modo.
Non sentirò più la risacca delle onde senza pensare a Bartlebloom, non scorgerò una nave senza ricordarmi di Plasson, non ammirerò la luna che si riflette sull'acqua senza sperare che ci sia una locanda Almayer, nascosta da qualche parte, che aspetta solo di essere scoperta.

il mio voto per questo libro

8 commenti:

  1. Ciao Little Pigo, ho letto questo romanzo anni fa, ma purtroppo non mi è piaciuto :-(

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    1. Girando un po' nel web ho notato che questo libro, ed in generale la maggior parte delle opere di Baricco, sono amate da molti ma detestate da altrettanti.
      In questo caso capisco che l'atmosfera sognante, un po' da favola, i personaggi non proprio realistici e lo stile di scrittura particolarissimo possano non incontrare i gusti di tutti.

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  2. Io di Baricco ho letto "Seta" e mi piacerebbe conoscere meglio questo scrittore attraverso i suoi lavori :)

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    1. Io di "Seta" ho una bellissima edizione illustrata che aspetta solo di essere letta *-*

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  3. Io purtroppo non avevo apprezzato questo libro, mentre leggevi divagavo con i pensieri😞

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    1. In realtà per me questo è uno dei punti di forza del romanzo, il suo riuscire a suscitare riflessioni.

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  4. Sono contenta di vedere che anche a te è piaciuto. È qualche anno che non leggo Baricco, ma questo è Caaatelli di rabbia restano i miei preferiti 🤗🤗

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    1. Infatti "Castelli di rabbia" è un altro titolo di Baricco che ho in wishlist, anche se ho visto che, generalmente, è meno apprezzato di "Oceano mare". Ti farò sapere quando lo leggerò.

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