lunedì 18 maggio 2020

Recensione: "Dark Hall” di Lois Duncan

Titolo: Dark Hall
Autore: Lois Duncan
Editore: Mondadori Ragazzi
Data di pubblicazione: 10 luglio 2018
Pagine: 204
Prezzo: 17,00 € (cartaceo) 9,99 € (e-book)

Trama:
Come sentinelle schierate a protezione di quello che c'è oltre, alberi scuri, strani e selvaggi circondano Blackwood, un esclusivo collegio femminile, e lo separano dal resto del mondo.
Non appena la giovane studentessa Kit Gordy ne oltrepassa l'alto cancello d'ingresso, la sensazione di essere sferzata da un vento gelido la fa rabbrividire. Ad accrescere il disagio è lo sguardo duro e perforante della preside, Madame Duret, e l'esiguo numero delle altre studentesse. 
Perché sono state selezionate così poche ragazze, tra loro molto diverse? Che cosa le accomuna? 
E cosa significano le notti turbate da strani sogni e il talento tanto straordinario, quanto inspiegabile, che ciascuna di loro inizia a mostrare? Indizi riguardanti il passato che avvolge la residenza gettano una luce inquietante sui diversi avvenimenti, e ben presto la scuola così esclusiva diventerà un'orribile prigione.

Recensione:
È un giorno assolato di settembre quello in cui, la sedicenne Katryn Gordy, assieme a sua madre e al suo neo patrigno Dan Rolland, viaggia verso quella che sarà la sua casa per il prossimo semestre: Blackwood, l’esclusivo collegio femminile al quale è stata ammessa.
Kit, così la chiamano tutti, ha presentato domanda e si è sottoposta ai vari test di ammissione, mesi prima, quando sua madre le ha annunciato la data di matrimonio e il conseguente viaggio di nozze in Europa.
Con i suoi in viaggio per un periodo così lungo, il collegio si prospetta come soluzione ideale, ancor di più se, assieme a lei, ci sarebbe stata Tracy, la sua migliore amica.
Ma le cose, purtroppo, non si evolvono come le ragazze hanno tanto desiderato e, mesi di sogni a occhi aperti e progetti, vanno in fumo. 
Tracy non è stata ammessa alla scuola, nonostante sia una studentessa ben più brillante di Kit, e da questa notizia anche la prospettiva di un intero semestre chiusa in un collegio immerso nel nulla, da sola, perde ogni attrattiva.
Nonostante le rimostranze, ora Kit è in viaggio verso Blackwood, che l’accoglie con tutta la sua maestosa grandezza.
Un enorme palazzo a tre piani, sormontato da un altissimo tetto in ardesia nero, circondato da un giardino delineato da fitti alberi scuri e da un alto cancello che separa l'intera proprietà dal resto del mondo.
Una visione che lascia Kit sin da subito sbalordita, togliendole le parole di bocca e lasciandola solo con la strana, angosciante sensazione, che dietro quelle mura si celi qualcosa di malvagio.
A fare gli onori di casa, Madame Duret, la direttrice della struttura, una donna dallo sguardo severo e dai modi impostati che subito ci tiene a mostrare le bellezze degli ambienti appena ristrutturati.
Gli interni lasciano i tre senza parole quasi quanto l’esterno, ma ciò che più di tutto desta meraviglia in Kit è la straordinaria magnificenza della sua stanza, che non potrebbe essere più diversa da quelle dei comuni collegi.
Mobili in legno intarsiato, un elegante letto a baldacchino, tessuti costosi come rivestimenti... forse il collegio non è poi così malvagio come Kit aveva pensato all'inizio, eppure quella strana sensazione fatica ancora ad abbandonarla del tutto.
La situazione sembra migliorare il giorno seguente, alla luminosa luce del mattino e con l’arrivo delle prime ragazze che, come lei, sono state ammesse alla scuola.
La prima, dopo Kit, a varcare i cancelli di Blackwood, è Sandra Mason, una simpatica ragazza dai capelli rossi e il viso pallido e lentigginoso, dopo poco si affacciano assieme due ragazze che non potrebbero essere più diverse fra loro, eppure, sembrano essere grandi amiche. Lynda Hannah, bionda con il viso da bambola di porcellana e Ruth Crowder, una ragazzina con i capelli scuri a caschetto, bassa e robusta.
E poi... poi i cancelli vengono chiusi. Nessun altra studentessa oltre loro varcherà le mura che circondano il palazzo.
Anche i professori non sono più numerosi: oltre a Madame Duret che insegnerà letteratura e arte, c’è suo figlio Jules Duret che terrà le lezioni di musica, e il signor Farley, insegnante di matematica e scienze.
Blackwood sembra sin da subito aver isolato le ragazze in un piccolo microcosmo fatto di lezioni, studio e sogni strani.
Anche i contatti con l’esterno sono preclusi. I cellulari non funzionano per mancanza di campo, internet è assente, e le studentesse si ritrovano a poter scrivere ai loro cari solo tramite carta e penna.
Pian piano si conoscono, fanno amicizia, in particolare Kit lega con Sandy e, attraverso le loro chiacchierate, si rendono conto di non riuscire a comprendere il criterio con il quale sono state ammesse alla scuola.
Sono quattro ragazze estremamente diverse, Lynda poco portata allo studio, Ruth molto intelligente, e loro non particolarmente brillanti... eppure a Blackwood qualcosa succede e qualcuna di loro inizia a mostrare talenti artistici mai manifestati fino a poco prima.
Lynda, di punto in bianco, scopre di avere straordinarie doti artistiche, e comincia a sfornare, uno dopo l’altro, una serie di piccoli capolavori.
Meravigliosi e incantevoli paesaggi rappresentanti luoghi mai visti prima. Una passione che la travolge totalmente, togliendole la voglia di fare qualsiasi altra cosa e persino l’appetito.
Anche Sandy, inizia a scrivere poesie, ma per lei la cosa è leggermente diversa. Ciò che mette su carta non sembra appartenerle, sono pensieri che la ragazza non riconosce, come se qualcuno glieli avesse dettati nella mente.
E forse qualcosa di strano in quei talenti improvvisi c’è davvero... forse le ragazze pur ritenendo di non avere nulla in comune, sono accomunate da qualcosa che Blackwood vuole fortemente, qualcosa che le rende estremamente essenziali per Madame Duret.
E più le ragazze si avvicineranno alla verità, più essa gli sarà negata.
Più cercheranno di fuggire dal terribile incubo di Blackwood, più si troveranno ad esserne prigioniere.
Intrappolate senza via di fuga...

Lois Duncan ha scritto questo libro nel 1974, pensando alla giusta atmosfera in cui ambientare la sua storia fatta di mistero e suggestione, tensione e paure, incubi e inquietudini.
Crea Blackwood, il luogo perfetto, isolato e misterioso come teatro della sua sceneggiatura.
Una sceneggiatura che parte con delle buonissime premesse e che vanta anche un guizzo di originalità.
Successivamente, nel 2011, l’autrice ha ripreso il romanzo e lo ha ammodernato, implementando nella storia elementi della tecnologia moderna, come telefoni cellulari, computer portatili, internet, messaggistica e comunicazione via email.
Francamente non mi è chiaro il motivo di questa scelta.
Sembra che l’autrice abbia voluto, con questa sorta di rifacimento, avvicinare il suo romanzo ai ragazzi di oggi... ma questa strada mi pare insensata per diverse ragioni.
A) Cosi facendo pare che i giovani lettori non possano leggere nulla che abbia una datazione antecedente alla loro nascita.
B) L’ammodernamento non ha fatto che rendere più incoerente la trama e i comportamenti dei suoi protagonisti che paiono, in virtù dei tempi e dei mezzi a loro disposizione, decisamente insensati.
Per fare alcuni esempi.
Tutte le alunne di Blackwood arrivano a destinazione munite, come è ovvio che sia, di telefoni cellulari con i quali, suppongono, resteranno in contatto per tutto il loro soggiorno con parenti e amici.
Ovviamente nessuna di loro ha messo in conto che i loro dispositivi si sarebbero rivelati inutilizzabili in assenza di campo.
Ma quale genitore resterebbe per mesi a casa (o in vacanza), senza avere notizie del proprio figlio, senza muoversi in qualche modo per averne, o senza fare un colpo di telefono, alla direttrice della struttura, facendosi passare il proprio caro?
Ma questa è solo una delle infinite incongruenze a cui, la rivisitazione della trama, è andata incontro.
Ne volete altre?
Ogni telefono in assenza di campo presenta l’opzione “solo emergenza” ma a nessuna delle allieve salta in mente di utilizzarla nel momento in cui necessitano di soccorso e aiuto.
O, ancora, nessuna ha l’idea di utilizzare la torcia del telefono (quella dovrebbe funzionare ancora) per farsi luce nel corridoio buio, sprovvisto di illuminazione, che tutte temono di attraversare durante le ore notturne.
Altra incoerenza che l’autrice non è riuscita a spiegare, è il motivo per cui le sue protagoniste scrivano lettere ai loro parenti servendosi del portatile, se poi non possono inviarle via mail, né stamparle... non avrebbe avuto più senso scrivere a mano?
Insomma questo rimaneggiamento della storia fa acqua da tutte le parti e non fa che rendere più debole una trama che, nonostante le buone premesse iniziali, e un buon potenziale, non funziona per tantissimi motivi.
Uno fra tanti, e probabilmente il più grave, lo attribuisco a ogni singola (non)reazione delle protagoniste.
Le ragazze sono tanto inermi da sembrare inumane. Automi privi di qualsiasi sentimento, acume o capacità di ragionamento. Quasi arrese al loro destino e all'ineluttabilità egli eventi.
Inoltre la caratterizzazione di tutti i personaggi è estremamente basica. Leggendo i loro dialoghi, le battute che si scambiano, pare quasi di assistere ad una recita scolastica di basso livello.
Una di quelle in cui in scena ci sono attori improvvisati, che recitano poche battute senza alcuna emozione o trasporto.
Attori non entrati nella parte, così paiono i personaggi che abitano queste pagine.
Un vero peccato perché, come vi dicevo poco fa, le premesse erano buone, una ambientazione suggestiva, e una trama che pareva strizzare l’occhio al famoso “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson.
Se devo salvare qualcosa del lavoro della Duncan salvo il suo saper tener incollato il lettore alle pagine, nonostante tutto, e l’originalità che cela dietro quel mistero che, non è tanto in Blackwood, ma nelle sue allieve. Mistero che purtroppo, a mio parere, non ha saputo sfruttare e, ahimè, si è rivelato un’affilatissima arma a doppio taglio.

Considerazioni:
Volevo leggere questo libro da molto tempo, ma non è certo l’unico titolo che fa parte della mia infinita lista dei desideri.
Pochi giorni fa ho visto che su Sky era disponibile alla visione la sua recente trasposizione cinematografica, e mi spiaceva vederla senza aver precedentemente letto il libro.
Come potevo fare? Data la situazione non potevo certo ordinarlo, così mi è venuta in soccorso MLOL (Media Library On Line), la grande biblioteca gratuita digitale a cui mi sono recentemente iscritta.
Ho verificato la disponibilità del titolo, ed eccolo lì! Pronto per essere scaricato e letto. E quella sera stessa ero già lì, immersa nelle pagine digitali, che sin da subito mi hanno appassionata, lo ammetto.
Se c’è una cosa positiva che Lois Duncan fa, con il suo romanzo, è quella di coinvolgere il lettore e tenerlo incollato fino alla fine.
Certo, il mio stato d’animo è molto mutato durante la lettura. Inizialmente ero entusiasta, curiosa e la storia mi ha sinceramente appassionata.
Con il procedere della lettura, però, il mio entusiasmo si è trasformato in esasperazione.
Proprio così, ero esasperata e irritata dai comportamenti sempre più sconclusionati dei protagonisti.
Avrei voluto lanciare il tablet dalla finestra, entrare dentro la storia e scuotere tutte le inermi protagoniste, prendere di petto la sfacciataggine dei loro oppressori.
Ora, non voglio dirvi troppo della storia, ma immaginatevi quattro ragazze che, senza aver dato il loro consenso, si ritrovano prigioniere in una struttura isolata dal mondo, che, sotto le sembianze di istituto scolastico, è stata invece creata per studiare e testare le loro peculiari doti extrasensoriali.
Le quattro ragazze, così diverse tra loro, non sono state selezionate a caso.
Ognuna di loro ha la capacità di sentire o vedere ciò che gli altri non sentono.
E ognuna ne è, fino a quel momento, quasi del tutto inconsapevole.
A Blackwood queste visioni si manifestano sempre in maniera più assidua, e quelli che inizialmente vengono scambiati per sogni, si tramuteranno in delle vere e proprie ossessioni.
Ogni ragazza inizia a manifestare un talento diverso, ognuna di loro viene utilizzata come strumento dall'anima di un’artista defunto secoli prima.
Fra i nomi citati nel romanzo troviamo quelli del pittore statunitense di origine inglese, Thomas Cole e della celeberrima scrittrice britannica Emily Brontë.
Questi sono solo due degli spiriti che, nelle terribili notti trascorse a Blackwood, prenderanno in prestito i corpi delle ragazze per tornare a esprimersi nel mezzo che è loro più congeniale.
Durante tutta la lettura mi sono domandata cosa avrei fatto io se mi fossi trovata al posto di una delle allieve.
Come mi sarei comportata? Che reazioni avrebbe avuto una persona reale trovandosi in quella situazione paradossale?
La cosa che più mi ha contrariata nel romanzo è stata proprio la mancanza di verità nelle reazioni di tutti personaggi, in specie in quelle delle quattro studentesse.
Una persona che si sente privata della sua libertà di agire, una persona che viene obbligata a fare qualcosa contro il suo consenso, fa qualcosa per sfuggire a queste dinamiche. Fa qualunque cosa, le tenta tutte, fino allo stremo.
Qui nessuna delle ragazze fa niente. Non progettano mai una fuga, un piano per scappare, un modo per voltare le carte a loro favore e trovarsi in una posizione di forza rispetto a chi le tiene prigioniere.
Eppure dalla loro le avrebbero tutte.
Sono numericamente di più, dovrebbero essere furiose e agguerrite, inoltre avrebbero anche un modo palese per minacciare i loro insegnanti.
Sono loro a fornire il materiale che questi cercano, sono loro a produrlo e decidere cosa farne, sono loro a consegnarlo nelle mani dei loro carnefici senza mostrare troppe rimostranze.
E se il tuo aguzzino ottiene da te, in modo volontario, quello che cerca, perché dovrebbe lasciarti andare via?
Kit, Sandy Ruth e Lynda non si dimostrano mai coese fra loro, mai disposte a far fronte comune, inoltre, altra cosa che mi ha fatto davvero innervosire durante la lettura, è stato vederle spesso arrivare a una giusta conclusione e poi dimenticarsene completamente al confronto successivo.
Tutte capiscono fin da subito (forse anche troppo precocemente), che c’è qualcosa di strano nel luogo che le ospita, ne discutono, arrivano ad intuire per sommi capi di cosa si possa trattare, e, il giorno immediatamente successivo, sembra che quel dialogo non ci sia mai stato.
E questo mi ha anche stupito poco perché, leggendo, ho scoperto che è proprio un vizio della scrittrice quello di dimenticare ciò che ha scritto solo poche pagine prima.
Il racconto inizia a settembre, con Kit che in macchina si reca a Blackwood, e dopo vari capitoli, le ragazze ci annunciano che sono passati ormai diversi mesi da quando sono nella struttura. Diversi mesi di notti insonni e incubi strani.
Be’, solo poche pagine dopo, l’autrice ci tiene a farci sapere che il mese di ottobre si è appena concluso per lasciare finalmente il posto a novembre...
Insomma, concludo dicendo che, a questo romanzo, più che un ammodernamento sarebbe stata utile una riscrittura con un po’ di coerenza, sia a livello di successione temporale che di caratterizzazione realistica dei personaggi.
Chissà se il film riuscirà nell'impresa di essere peggiore del libro. Vi farò sapere XD

AGGIORNAMENTO
Confronto con il film:
Capita di rado, ma ogni tanto succede, che la trasposizione cinematografica sia concepita meglio del romanzo da cui è stata tratta, e quello di “Dark Hall” è uno di quei sporadici casi.
Il film, diretto da Rodrigo Cortés, è sicuramente più realistico e logico rispetto al romanzo, in cui, come vi ho spiegato ampiamente nella recensione, vengono compiute scelte discutibili.
Ciò che resta invariato è l’ambientazione e il mistero che avvolge, sia la casa, che la figura di Madame Duret.
Blackwood è anche qui un imponente collegio per ragazze isolato dal mondo, ciò che lo rende diverso è il suo scopo.
Non vi vengono ammesse ragazze che hanno eseguito dei test di ammissione per ricevere un’istruzione elitaria, bensì la struttura funge come una sorta di riformatorio, l’ultima chance per rimettere in riga ragazze problematiche che hanno commesso più di una furfanteria.
Anche Kit, la protagonista, è li per quello. Dopo aver tentato un furto, picchiato una ragazza e dopo aver apparentemente tentato di appiccare un incendio, il preside della sua scuola richiama lei e i suoi genitori dando un’unica alternativa: Blackwood.
Kit, perciò, si ritroverà controvoglia costretta a frequentare la scuola assieme ad altre quattro coetanee, come lei caratterizzate da un vissuto travagliato.
La scuola, per svolgere la sua attività educatrice, proibisce ogni contatto con l’esterno. Quindi nella pellicola, a differenza del libro, sia genitori che ragazze sono informate in precedenza che qualsiasi contatto sarà loro precluso, fatta eccezione di un unica telefonata a metà percorso.
Altra differenza sostanziale, che muta di molto lo spirito della storia, è il modo con cui Kit e altre ragazze si rapportano all'esperienza.
Inizialmente ne sono tutte ovviamente contrariate, vedendola come una punizione ai loro comportamenti. In seguito, con il proseguire delle lezioni e con l’accentuarsi dei loro inaspettati talenti, il loro atteggiamento si volgerà in modo decisamente più positivo.
Successivamente un altro cambiamento avviene in loro quando capiscono che qualcosa di strano sta effettivamente accadendo, e come ci si può aspettare da qualunque essere umano senziente, cercano delle risposte. Non restano inermi e completamente succubi degli eventi e della follia di Madame Duret.
Queste differenze, apparentemente di poco conto, contribuiscono in realtà in modo non indifferente a conferire credibilità alla storia.
Come film, pur non potendolo definire un capolavoro, l’ho trovato carino e “originale”.

il mio voto per questo libro

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