Il passo che vi propongo oggi è tratto dal libro "La galleria degli enigmi", che ho divorato non molto tempo fa.
Il romanzo mi è piaciuto tanto, infatti scegliere solo un estratto non è stato facile.
Nella scena che ha avuto infine la meglio, troviamo Martha, la giovane protagonista, alle prese con il suo nuovo lavoro, ovvero fare da assistente allo chef, nella cucina al piano inferiore della casa.
La ragazzina non può fare a meno di esprimere il disagio nel sentirsi solo una comparsa relegata nelle retrovie, destinata a scorgere la bellezza della vita sociale, senza farne mai parte...
Dalla finestra della cucina, posta al livello della strada, vedevo sfilare un via vai di piedi che portavano i loro proprietari a destinazione, tra risate, chiacchiere e raggi di sole.
Continuavo a ripensare a quella volta che eravamo andati a Rockaway, dove ero rimasta tutto il tempo seduta sul pontile.
Non sapevo nuotare e non avevo nessuna voglia di imparare.
Mentre il sole calava, Papo aveva detto di aver avvistato un cucciolo in mare e, quando mi ero sporta per guardare meglio, mi ero sentita spingere con una pedata. Un attimo dopo mi ero ritrovata sul fondale, inerte come un sacco di pietre.
Avevo urlato, ma dato che ero circondata d'acqua anziché d'aria, non era uscito alcun suono. Avevo alzato lo sguardo e avevo visto la luce del sole, la spuma bianca, gambe che sguazzavano felici, però non sentivo altro che un rumore sordo, ovattato. In preda al panico avevo agitato le braccia e scalciato finché non ero riemersa in superficie ma con l'unico desiderio di lasciarmi alle spalle quell'universo liquido.
Ecco a cosa somigliava il mio lavoro, mi resi conto troppo tardi: era come vivere sott'acqua. C'era un mondo lassù, in superficie, più luminoso e animato del mio, di cui riuscivo a cogliere soltanto sprazzi ed eco smorzati.
Continuavo a ripensare a quella volta che eravamo andati a Rockaway, dove ero rimasta tutto il tempo seduta sul pontile.
Non sapevo nuotare e non avevo nessuna voglia di imparare.
Mentre il sole calava, Papo aveva detto di aver avvistato un cucciolo in mare e, quando mi ero sporta per guardare meglio, mi ero sentita spingere con una pedata. Un attimo dopo mi ero ritrovata sul fondale, inerte come un sacco di pietre.
Avevo urlato, ma dato che ero circondata d'acqua anziché d'aria, non era uscito alcun suono. Avevo alzato lo sguardo e avevo visto la luce del sole, la spuma bianca, gambe che sguazzavano felici, però non sentivo altro che un rumore sordo, ovattato. In preda al panico avevo agitato le braccia e scalciato finché non ero riemersa in superficie ma con l'unico desiderio di lasciarmi alle spalle quell'universo liquido.
Ecco a cosa somigliava il mio lavoro, mi resi conto troppo tardi: era come vivere sott'acqua. C'era un mondo lassù, in superficie, più luminoso e animato del mio, di cui riuscivo a cogliere soltanto sprazzi ed eco smorzati.
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