lunedì 29 ottobre 2018

Recensione: "Ecco il lupo" di Alexandre Rampazo

Titolo: Ecco il lupo
Titolo originale: Este é o lobo
Editore: Gallucci Editore
Data di pubblicazione: ottobre 2018
Pagine: 62 
Prezzo: 15,00 € (cartaceo)

Trama:
Con semplici parole e bellissime illustrazioni Alexandre Rampazo libera dai vecchi ruoli i più classici personaggi del nostro immaginario: Cappuccetto rosso, la nonna, il cacciatore, il principe, la principessa, i tre porcellini... 
Un libro sulla meraviglia dell’amicizia.

Recensione:
Poche pagine, poche parole e bellissime illustrazioni, per questo libro che si sfoglia via, via, con crescente curiosità e una piccola dose di inquietudine.
"Ecco il lupo" è un’opera affascinante e originale, il cui vero significato si scopre solo all'ultima pagina, rivelando una storia del tutto diversa da quella che si era immaginata, e differente anche da tutte le altre in cui la figura del lupo è solita essere rappresentata.
Perché, nonostante l'apparenza iniziale, qui cappuccetto rosso, la nonna, i tre porcellini, il cacciatore, il principe e la principessa non sono vittime della fame insaziabile di un mostro che non lascia scampo, no, sono vittime sì, ma solo dei loro preconcetti e delle loro granitiche convinzioni.
Sono questi i veri mostri della storia, le certezze ataviche che li portano a diffidare a prescindere di chi è stato sempre dipinto come cattivo.
Tutto questo è reso con la grande capacità delle immagini, più che delle parole.
Se alla prima pagina ci si ritrova davanti una grande ed inquietante figura nera, che sembra ingurgitare qualsiasi cosa gli passi davanti agli occhi, con lo scorrere delle pagine, però,  la figura diventa sempre più piccola, più lontana, più isolata, più sola.
Ed è proprio la solitudine la chiave della storia. 
Il bambino - l'ultima figura che si imbatte nel lupo - con la sua sensibilità guarda oltre l'apparenza e scopre, nel presunto nemico, un nuovo amico.
Una storia breve, ma intensa, in cui l'inquietudine crescente lascia spazio ad un sorriso.
Probabilmente il lettore alla chiusura del libro si renderà conto di essere lui stesso cascato nella trappola del pregiudizio (a me è successo), e si ritroverà con una morale della favola decisamente diversa da quella che si sarebbe aspettato.

Curiosità:
Nel 2017 "Ecco il lupo" è stato finalista per il riconoscimento letterario più importante del Brasile, il Premio Jabuti.
Le illustrazioni sono state anche selezionate per la Biennial of illustrations in Bratislava.

Ringrazio Gallucci editore per avermi fornito una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

venerdì 26 ottobre 2018

Recensione: “Il mistero della casa del tempo” di John Bellairs

Titolo: Il mistero della casa del tempo
Titolo originale: The house with a clock in its walls
Autore: John Bellairs
Editore: DeA Planeta
Data di pubblicazione: 11 settembre 2018
Pagine: 176
Prezzo: 16,00 € (cartaceo) 8,99 € (ebook)


Trama:
Lewis Barnavelt ha dieci anni quando i suoi genitori muoiono e viene affidato alle cure del suo stravagante zio Jonathan, che non ha mai visto prima e di cui sa poco o nulla.
Ciò che aspetta Lewis, però, supera ogni immaginazione: una casa che nasconde passaggi segreti, sortilegi e illusioni, e uno zio che si dedica all'occultismo e alla magia insieme alla stravagante vicina.
Lewis si ambienta presto, ed è a suo agio nella nuova casa, ma la notte di Halloween commette uno spaventoso errore. Si cimenta in un incantesimo, riportando in vita la crudele e potente strega che abitava, molti anni prima, nella casa dello zio.
La donna aveva costruito, insieme al marito, un orologio stregato, capace di distruggere l'umanità intera, e lo aveva nascosto nelle mura della casa.
Ora toccherà a Lewis trovare l'orologio e, forse, salvare il mondo.

Recensione:
È una sera d’estate ventosa e tiepida, del 1948, quella in cui Lewis è su un vecchio autobus diretto verso New Zebedee, una cittadina ignota, come ignoto si presenta ai suoi occhi il suo futuro.
I suoi genitori sono morti da poco in un incidente stradale, e la sua custodia è stata affidata all'eccentrico zio Jonathan Barnavelt, un uomo che non ha mai visto, ma di cui ha sentito tanto parlare.
Le morigerate e zitelle zie non ne hanno fatto un quadro molto lusinghiero, descrivendolo come un fumatore e giocatore d’azzardo.
Ma quando il ragazzino se lo trova davanti agli occhi, non può che trovare conforto nel suo viso gentile, la barba rossastra e l’aria panciuta.
Certo, in lui riscontra anche qualche comportamento bizzarro, ma nulla di cui farsi cruccio.
L’enorme casa poi lo lascia davvero estasiato, una grande villa a tre piani, ricca di vetrate, esattamente la casa dei suoi sogni.
La prima serata trascorre in serenità, giocando a poker e mangiando biscotti con lo zio e la sua simpatica vicina di casa, la rugosa e sarcastica signora Zimmermann.
Durante la notte però, Lewis scopre un comportamento bizzarro dello zio. Lo vede aggirarsi per i corridoi, al buio, facendo Dio sa cosa.
I giorni successivi tutto torna nella norma, e Lewis trascorrere le sue giornate piacevolmente, curiosando in giro per le stanze dell’enorme villa, visitando i dintorni, e legando sempre più con lo zio e la sua strampalata vicina, che è solita viziarlo con dolcetti e abbondanti tazzoni di cioccolata calda.
Lewis, però, è sempre più deciso a scoprire cosa faccia suo zio nella notte, così una sera decide di spiarlo, ma viene subito sorpreso.
Lo zio però non se la prende, anzi gli confessa che sia lui che la signora Zimmermann si occupano di magia e incantesimi, e gli rivela anche il segreto che si nasconde tra le mura di quella enorme villa, e il perché del suo strano comportamento notturno.
Molti anni prima, in quella casa, viveva un uomo senza scrupoli, Isaac Izard, assieme a sua moglie Selenna, erano entrambi due potenti occultisti, con intenzioni poco raccomandabili.
L’uomo, a quanto pare, prima di scomparire, aveva nascosto un orologio stregato tra le mura della casa, e questo, da anni, continuava a ticchettare incessantemente, e a risuonare in ogni stanza della villa.
Zio Jonathan è ignaro dello scopo dell’ingranaggio, ma è sicuro che non può portare a nulla di buono. 
Così, ogni notte, vaga per la casa, di stanza in stanza, fermando tutti gli orologi della villa, per ottenere l’assoluto silenzio e cercare di scoprire, dove il meccanismo stregato si trovi esattamente e distruggerlo.
Lewis, però ha altre faccende per la testa, la scuola è iniziata e come sempre ha difficoltà ad ambientarsi e fare amicizia.
Viene escluso dai gruppetti, e ignorato per la maggior parte del tempo, così, quando inizia a fare amicizia con Tarby, il ragazzino più popolare della scuola, desidera fare di tutto per conquistarlo e restare nelle sue grazie.
Perciò, per stupirlo una volta per tutte, decide di rivelargli la verità su suo zio.
Purtroppo non tutto andrà come aveva sperato, anzi, questo desiderio di conquistare a tutti i costi l’amicizia del ragazzo, lo porterà a cacciarsi in grossi, enormi guai, di cui però non vi dico di più.
Un romanzo carino, leggero, e divertente.
I personaggi sono particolari e ben caratterizzati: lo zio gentile e un po’ nervoso, la vicina di casa premurosa e stravagante, “l’amico” Tarby egoista, crudele e vigliacco e, il protagonista, Lewis, un ragazzino timido, pieno di insicurezze, troppo sensibile e bisognoso di affetto.
Una trama abbastanza avvincente e originale. La questione del misterioso orologio stregato nascosto nelle pareti, il suo inesorabile ed inquietante ticchettio, il timore e la curiosità di scoprire ciò che avverrà... tutto invoglia alla lettura, che si esaurisce anche troppo in fretta.
Se devo trovare un difetto a questo romanzo, che sottolineo essere un romanzo per ragazzi (niente di troppo inquietante), è la sua brevità, soprattutto sul finale che si chiude in modo decisamente frettoloso.
Nel momento in cui qualsiasi lettore si aspetterebbe il vero scontro, la vera battaglia, la lotta, l’azione, tutto termina "alla tarallucci e vino”, per dirla in parole povere.
Avrei gradito, anzi credo che il romanzo stesso avrebbe meritato, una chiusa differente. Più degna di nota. Ciò non toglie che questa resta una piacevole lettura per ragazzi.

Considerazioni:
Forse non tutti sapete che questo romanzo - di cui state probabilmente sentendo tanto parlare ultimamente, grazie alla trasposizione cinematografica di prossima uscita, e alla conseguente nuova pubblicazione da parte di DeA Planeta - era stato già pubblicato in Italia nel 1973, in un'edizione illustrata da Edward Gorey, con il nome "La pendola magica", e in altre edizioni successive con il nome "La pendola stregata".
L'opera originale è invece intitolata “The house with a clock in its walls”,  ovvero "La casa con l'orologio nelle pareti", titolo che, seppur meno commerciale, rispecchia molto più fedelmente la trama della storia, e che, a mio avviso, è sicuramente più affascinante, ma soprattutto meno fuorviante di quello che gli hanno dato adesso. Perché, fatemelo dire, "Il mistero della casa del tempo" non c'entra proprio niente!!!
Non fa pensare anche a voi ad un libro di fantascienza e di viaggi temporali? Be', niente di più lontano dalla realtà.
Ora, premessa a parte, ciò che penso di questo romanzo ve l'ho già fatto intuire dalla recensione.
Una storia carina, conclusa troppo in fretta, che a mio parere aveva del potenziale che non è stato sviluppato a dovere.
Ho letto da qualche parte che John Bellairs, inizialmente, aveva presentato la sua storia agli editori proponendola come un romanzo horror per adulti, ma vedendosela puntualmente rifiutata, l'abbia rimaneggiata rendendola adatta ad un pubblico di ragazzi.
Io invece sarei stata davvero curiosa di leggere la versione originale, perché, se pensata bene, questa trama (la storia del costante ticchettio nelle pareti, l'esaurimento psicologico di chi ha dovuto per anni ascoltarlo, e il timore del significato stesso di quel ticchettio), avrebbe avuto tutte le carte in regola per destare la giusta inquietudine.
Invece così, tutto si riduce ad una storia simpatica che crea tanta curiosità, ma non mette alcun terrore o brivido.
Ho trovato però molto interessante la caratterizzazione dei personaggi.
Lo zio Jonathan, dolce e premuroso, ma nei cui atteggiamenti si può leggere tutto il timore di chi teme ciò che non conosce e fatica a capire. Di lui però ancora alcune cose non mi sono chiare, come il suo improvviso imbambolarsi in determinati momenti, cosa che, fino alla fine non ci viene mai spiegata.
La stravagante vicina di casa, la signora Zimmermann, amante del viola e della cioccolata calda. L'ho trovata molto simpatica, come esilarante ho trovato il suo continuo battibeccare con zio Jonathan. 
Tuttavia, sul finale, anche in lei ho trovato un'aggressività che non mi sono riuscita a spiegare, o meglio, durante la lettura mi ero data una motivazione a quell'atteggiamento, credendo che il fantasma di Selenna Izard si fosse impossessato della sua identità per ingannare i due Barnavelt e raggiungere il suo malefico scopo. Ma così non è stato... quell'antipatia era proprio sua!
Lewis è un bambino timido e sensibile, alla disperata ricerca di affetto e amicizia. È il classico protagonista che combina pasticci, su pasticci e che, quando prova a migliorare la situazione, peggiora solo le cose.
Mi ha contemporaneamente innervosito e fatto pena il suo voler a tutti i costi conquistare l'amicizia del detestabile Tarby.
Fatto pena perché è sempre brutto e triste vedere un animo gentile sottomettersi ad ad uno bruto, e lo è ancor di più se la motivazione di tale sottomissione è la ricerca di amicizia.
Ma il comportamento di Lewis mi ha anche fatto arrabbiare, perché, da un animo sensibile come il suo, non mi sarei aspettata di vederlo tradire la fiducia di chi la maritava, per conquistare quella di chi non la meritava affatto.
Lewis tradisce ripetutamente i segreti dello zio, per far colpo su un ragazzino che,  invece, non si fa alcuno scrupolo a ferirlo, insultarlo e rinnegarlo. 
Ma Lewis è un bambino solo, e tutti sappiamo quanto sia importante avere degli amici, soprattutto nella sua situazione. 
Per quanto riguarda Tarby, non ho parole sufficientemente dure per descriverlo. La sua cattiveria e vigliaccheria mi hanno ricordato un po' Draco Malfoy, personaggio dell'universo Potteriano. 
Tarby è un ragazzino viziato, egoista, presuntuoso, ma soprattutto estremamente codardo e meschino.
Avrei voluto per lui una sonora punizione, ma anche in questo lo scrittore non mi ha soddisfatta.
So però che esiste un seguito, a questo romanzo: "La figura nell'ombra" (non so se DeA Planeta lo pubblicherà) e chissà, magari questo approfondisce meglio gli aspetti caratteriali, e i buchi nella trama, lasciati un po' in sospeso.
Detto questo, sono molto curiosa di vedere il film.
Spesso non resto soddisfatta dalle trasposizioni cinematografiche, ma in questo caso penso che la pellicola possa aggiungere freschezza, umorismo, e incanto (grazie agli effetti speciali) alla storia, rendendola al meglio per quella che è, una storia di magia per ragazzi.

Ringrazio la DeA Planeta per avermi fornito una copia di questo libro

il mio voto per questo libro

martedì 23 ottobre 2018

Recensione: "Dieci piccoli indiani" di Agatha Christie

Titolo: Dieci piccoli indiani
Autore: Agatha Christie
Editore: Mondadori
Data di pubblicazione: 27 febbraio 2017
Pagine: 208
Prezzo: 12,00 €


Trama:
Dieci persone estranee l'una all'altra sono state invitate a soggiornare in una splendida villa a Nigger Island, senza sapere il nome del generoso ospite.
Eppure, chi per curiosità, chi per bisogno, chi per opportunità, hanno accettato l'invito. E ora sono lì, su quell'isola che sorge dal mare, simile a una gigantesca testa, che fa rabbrividire soltanto a vederla. Non hanno trovato il padrone di casa ad aspettarli. Ma hanno trovato una poesia incorniciata e appesa sopra il caminetto di ciascuna camera. E una voce inumana e penetrante che li accusa di essere tutti assassini.
Per gli ospiti intrappolati è l'inizio di un interminabile incubo.
  
Recensione:
Un'isola deserta, circondata dal mare burrascoso, e dieci sconosciuti che, allettati da un invito esclusivo e misterioso, si ritrovano in trappola proprio in quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini, per chissà quanto tempo.
E poi una voce sconosciuta che, poco dopo l'arrivo degli spensierati ospiti, li avverte che è arrivato per loro il momento di fare i conti con il passato, di pagare le conseguenze per le loro colpe, per i loro peccati.
Converrete con me che, come premessa per un giallo, questa non è niente male.
Già l'ambientazione, una villa lussuosa a picco sulla scogliera, irraggiungibile se non da marinai esperti, trasmette l'idea di isolamento, di condanna imminente, senza via d'uscita.

Per la prima volta, videro Nigger Island, che emergeva dal mare verso sud ed era illuminata dal sole al tramonto. 
Vera osservò, sorpresa: «Ma è molto lontana dalla terraferma». 
Se l'era immaginata diversa: un'isola vicino alla terraferma, coronata da una bella casa bianca. Ma non si vedeva la casa: solo le rocce che componevano un disegno vagamente simile a una gigantesca testa di negro. 
C'era qualcosa di sinistro in quell'isola, che la fece rabbrividire leggermente.

Se a ciò ci aggiungiamo i dieci partecipanti che, uno alla volta, cominciano a cadere come pedine, il gioco è fatto.
Se infatti inizialmente la narrazione ha un taglio un po' lento e anche vagamente confuso, in quanto incentrata essenzialmente sulla presentazione dei vari protagonisti, con il primo omicidio il ritmo diventa decisamente più veloce.
Da quel momento in poi il lettore viene letteralmente rapito dallo scorrere delle pagine, intenzionato a sapere cosa accadrà in seguito, e soprattutto a scoprire chi c'è dietro quella serie di assassinii.
Sull'isola privata non c'è nessuno se non gli invitati stessi ed è tra loro che si nasconde l'efferato omicida. Ognuno è sospettabile, ragion per cui, per chi legge, non resta che studiare ogni espressione e reazione, alla ricerca del minimo passo falso e di qualche misero indizio.
Credo che Agatha Christie abbia architettato il mistero in modo perfetto, facendo suo il cosiddetto "enigma della camera chiusa", lasciando sempre alta la suspense e non rivelando mai troppo.
Il suo colpo da maestro è stato poi l'inserimento nella storia della filastrocca de "I piccoli negretti", una spaventosa guida che annuncia, seppur in maniera velata, ciò che starà per succedere di lì a poco, se non si riuscirà ad impedirlo.
Il libro ha indubbiamente molti pregi: la scelta dello scenario, le diverse personalità in azione, i continui punti di domanda, il colpo di scena finale e soprattutto la scrittura analitica e distaccata, tipica di questo genere.
Eppure presenta anche alcuni inevitabili difetti. Ad esempio, il fatto di lasciare sempre il dubbio su chi possa essere l'assassino non permette di approfondire psicologicamente i vari personaggi.
Nonostante la situazione estrema ed il pericolo di morte imminente, tutti gli invitati mantengono un imperturbabile, e poco credibile, self-control. Ad eccezione degli sporadici attacchi di isteria di Vera Claythorne, gli altri non fanno che analizzare gli eventi in maniera critica e razionale, quasi fossero i detective sulla scena del crimine e non le prossime vittime.
Capisco che mantenere questo distanza fosse essenziale per non sbilanciare mai troppo i sospetti su uno o sull'altro, ma avrei preferito un maggior sentimentalismo.
Anche la narrazione, per quanto coinvolgente, a partire dal primo omicidio diventa un po' troppo veloce. I delitti si compiono nel giro di una settimana-dieci giorni, quando, a mio parere, sarebbe stata preferibile una tempistica più ampia, un ritmo leggermente più lento e un clima più teso.
Il finale è verosimile anche se non pienamente convincente, in quanto manchevole di una forte motivazione alla base di tutto il piano.
In conclusione ritengo che il romanzo, nonostante le piccole pecche e le possibili migliorie, riesca appieno nel duplice intento di tenere i lettori incollati alle pagine, e lasciare ogni porta aperta fino alle ultime pagine. Ed essendo un giallo, credo che nulla conti più di questo.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro, e hai intenzione di farlo, fermati qui!
Da tanto tempo desideravo leggere un romanzo di Agatha Christie, e più di una volta mi erano stati consigliati i suoi libri. In particolare "Dieci piccoli indiani" che, a detta di molti, sarebbe il suo capolavoro, di gran lunga migliore del più celebre "Assassinio sull'Orient Express". 
Non so se sia effettivamente il suo lavoro più riuscito, ma non posso che dirmi soddisfatta dalla lettura. Ammetto che inizialmente ho dubitato, in quanto l'arrivo simultaneo su Nigger Island di tutti i personaggi aveva generato in me un po' di confusione, e temevo non sarebbe stato facile nel prosieguo tenere a mente i diversi attori in scena.

Li esaminò di nuovo, spassionatamente. 
Una vecchia zitella acida come ne aveva conosciute parecchie. Bisbetica, senza dubbio. Un vecchio militare, ex ufficiale dell'esercito, a giudicare dall'aspetto. Una ragazza graziosa, ma non vistosa, niente stile Hollywood. 
Poi, quel tipo chiassoso e piuttosto grossolano: no, quello non era davvero un signore. Un commerciante in pensione, ecco quello che doveva essere. 
Quell'altro giovane, magro, dall'aria avida, con occhi vivi e mobili, era il tipo più strano di tutti. Lui, forse, avrebbe potuto aver qualcosa a che fare col cinema. 
C'era solo un passeggero che lo soddisfaceva, nella barca: quello che era arrivato in automobile. E che automobile. Una macchina simile non la si era mai vista, a Sticklehaven. Doveva essere costata parecchie centinaia di sterline. Quello era un tipo come si deve. Pareva molto ricco. Se tutti gli altri fossero stati come lui, allora avrebbe capito...

Ma man mano questa difficoltà è andata scemando, sostituita gradualmente dalla curiosità di sapere e dalla voglia di individuare l'assassino.
Come dicevo prima mi è mancato un po' il coinvolgimento emotivo, avrei preferito delle reazioni più forti, una frustrazione sempre maggiore, invece da questo punto di vista il tono rimane sempre più o meno lineare, senza alcun crescendo psicologico.
E ora parliamo del finale e della rivelazione del colpevole.
La bravura della Christie è stata anche nel non indirizzare mai i sospetti su uno solo, in modo da non dare mai nulla per scontato.
Personalmente sono sempre stata convinta che i responsabili della strage fossero almeno due. Al principio credevo fossero Philip Lombard e Vera Claythorne, per l'evidente, istantanea (e altrimenti non spiegabile) complicità tra loro, e soprattutto a causa degli episodici sfoghi di paura di lei, non supportati da una costante personalità sensibile.
Mi spiego meglio: abbiamo già sperimentato la freddezza della donna, nel passato capace persino di lasciar morire un bambino innocente pur di ottenere il suo tornaconto, e poi la vediamo terrorizzata ogni qual volta ci si riunisce per individuare i possibili indiziati.
Sembra quasi che, quando i riflettori sono puntati su di lei, la donna agisca fingendosi un'umile donna spaventata da tutto ed incredula di tanta malvagità.
Poi una volta conclusa la riunione, ridiventa l'essere cinico e distante di sempre. A differenza degli altri, lei è sempre stata l'unica a cambiare in base alla situazione, ragion per cui la mia attenzione non poteva che essere puntata su di lei.
Negli ultimi capitoli però, ed in particolare con la morte del giudice Wargrave, ho capito che la realtà era necessariamente un'altra.
Una delle vittime non era morta per davvero e si muoveva nell'ombra. Chi però?
Curiosi di sapere la mia teoria?
Ebbene, di sicuro uno dei due doveva essere il dottor Armstrong, colui che aveva dichiarato deceduti tutti gli invitati, e quindi l'unico in grado di convincere gli altri di qualcosa di non reale.
L'altro, a mio parere, sarebbe dovuto essere Anthony Marston, che era apparso parecchio divertito udendo la voce misteriosa e che, per di più, essendo fuorigioco dal principio, avrebbe sempre avuto mano libera sul da farsi.
Avevo anche ipotizzato un movente, magari una stretta parentela con Edward Seton - l'uomo ingiustamente condannato a morte dal giudice Wargrave - e di conseguenza una voglia di vendetta nei confronti di coloro che, al contrario, pur essendo colpevoli, erano  riusciti a sfuggire alla giustizia, incastrando dei poveri innocenti al loro posto.
Se proprio devo dirvi la verità, avrei preferito la mia ipotesi, più che altro perché quella ideata dall'autrice non nasconde una forte spinta emotiva, ma solo un piano razionalmente orchestrato, un'uscita di scena con effetti speciali.
Ora, nonostante le critiche che mi sono sentita in dovere di evidenziare, ho davvero apprezzato questo libro e, sicuramente, in futuro, non mancherò di leggere altro della Christie.

il mio voto per questo

giovedì 11 ottobre 2018

Recensione: "Gli animali fantastici: dove trovarli" di J.K. Rowling

Titolo: Gli animali fantastici: dove trovarli
Autore: J.K. Rowling
Editore: Salani
Data di pubblicazione: 6 maggio 2010
Pagine: 60
Prezzo: 10,00 €


Trama:
Non c'è casa di maghi in tutto il paese dove non troneggi una copia di "Gli Animali Fantastici: dove trovarli". Ora anche i Babbani avranno la possibilità di scoprire cosa mangiano i Puffskein e perché è cosa saggia non lasciare latte in giro per i Knarl.
I proventi della vendita di questo libro andranno a Comic Relief e all’associazione benefica internazionale di J.K. Rowling Lumos, che faranno magie al di là dei poteri di qualunque mago. Se ritenete che questa non sia una buona ragione per separarvi dal vostro denaro, posso solo sperare per voi che un mago di passaggio si mostri più caritatevole nei vostri confronti, quando verrete attaccati da una Manticora.

Recensione:
Il mondo magico di Harry Potter sembra non avere confini, ragion per cui, un po' di anni fa, ad accompagnare la celebre saga dello sfortunato maghetto, si sono aggiunti altri tre libriccini: "Il Quidditch attraverso i secoli", "Le fiabe di Beda il Bardo" e "Gli animali fantastici: dove trovarli", di cui vi parlo oggi.
Possiedo questi libri da parecchio tempo ma, non avendo ancora terminato la serie ambientata ad Hogwarts, attendevo di finire i sette libri principali, prima di incominciare quelli supplementari.
Tuttavia, qualche settimana fa, avendo intenzione di guardare il film omonimo (ebbene sì, penso di essere non solo una delle poche persone a non aver ancora letto tutti i romanzi della Rowling, ma anche forse l'unica a non aver visto le avventure di Newt Scamander) ho pensato bene di rivedere i miei propositi iniziali, e preparami invece alla visione mediante la lettura del piccolo tomo in mio possesso.
Sono lieta di averlo fatto perché, pur avendo la trasposizione cinematografica ben poco a che fare con il contenuto del libro, l'immergermi in quelle pagine mi è comunque servito a conoscere sia il personaggio di Scamander e la sua storia, che alcuni degli animali straordinari protagonisti del film.
Mi riferisco certamente allo Snaso, l'adorabile ladruncolo sempre al centro della scena, ma anche ai Bowtruckles (nel film chiamati "asticelli"), agli Occamy - i quasi serpenti dalle uova d'argento - o all'Erumpent - lo pseudorinoceronte ritratto in piena stagione degli amori. Per non parlare poi del carinissimo Demiguise, il furbetto invisibile il cui morbido pelo serve a realizzare i famigerati mantelli magici, senza dubbio uno dei miei animali fantastici preferiti, o ancora dei Billywig, o dei coloratissimi Fwooper.
C'è da dire che nel libro, a queste rare eccezioni di animali pressoché innocui, e pochi altri dal medesimo impatto, se ne aggiungono tantissimi che di pacifico hanno poco o nulla. 
Basterà citare a proposito animali come l'Acromantula - il nome Aragog vi dice niente? - i poco amichevoli Berretti Rossi, capaci di attaccare ferocemente i babbani, o ancora i Lethifold, i Troll, gli Erkling, ovvero i grandi gnomi famosi per la capacità di rapire e divorare bambini, e via dicendo.

Berretto Rosso 
Questa creatura simile a un nano vive in buchi nei vecchi campi di battaglia o dove sia stato versato sangue umano. 
Anche se facilmente respinto da incantesimi e maledizioni, è molto pericoloso per i Babbani solitari, che cercano di randellare a morte nelle notti buie. 
I Berretti rossi sono diffusi nel Nord Europa.

Fortunatamente l'autrice ha l'innata capacità di smorzare anche questi piccoli particolari cruenti con un linguaggio ironico che non può che far sorridere. Anche perché, come specificato nella prefazione, noi non maghi non abbiamo nulla da temere, in quanto il contenuto del libro è solo frutto di fantasia, o almeno così si spera.
Altra cosa davvero apprezzabile sono le note a piè di pagina che implementano il testo, talvolta con aneddoti e altre volte ricollegandoci ad altri tomi pubblicati ad Hogwarts, purtroppo al momento non ancora reperibili da noi nelle comuni librerie. 
E parlando sempre di aggiunte, il racconto è arricchito da alcune note grafiche vergate a mano dal golden trio Harry, Ron e Hermione. Niente di memorabile, poche battute scherzose, che però con la loro semplicità riescono a rendere il tono del libro meno tedioso.
Parlandovi ora della struttura dell'opera (forse avrei dovuto cominciare da questo punto a pensarci bene) essa si articola in una prefazione che porta la firma di Albus Silente, finalizzata in particolar modo a giustificare la diffusione di uno dei più famosi testi scolastici di Hogwarts presso il pubblico babbano, in una prima parte più generale ed una seconda parte, ben più ampia, dedicata all'elenco in ordine alfabetico dei cosiddetti "animali fantastici".
Ho trovato molto interessante la prima sezione, in particolare tutta la distinzione elaborata nel corso dei secoli tra il concetto di "essere" e quello di "animale". In queste pagine una certa attenzione è dedicata anche alla percezione delle creature magiche da parte dei comuni mortali e allo sforzo praticato dal Ministero della Magia per scongiurare eventuali effetti disastrosi ed isterie collettive, tramite pratiche di dissimulazione (come nel caso del mostro di Loch Ness).
La seconda parte, quella che ha per protagonisti gli animali veri e propri, è sicuramente curiosa, tuttavia il registro così compilato risulta poco leggibile tutto d'un fiato. Non è facile a fine lettura ricordare le differenze tra una creatura e l'altra, forse un utilizzo maggiore di illustrazioni (qui assai rade) avrebbe aiutato in tal senso.
In realtà, per quanto ho sentito (confesso di non aver verificato di persona), nelle versioni successive alle mie, ed in particolare in quella attualmente in commercio, dovrebbero esserci più disegni e la descrizione di ulteriori sei animali. Se sapete qualcosa a riguardo, fatemi sapere.
Tornando a noi, anche queste pagine, pur non essendo propriamente scorrevoli, si contraddistinguono per la grande originalità e fantasia. 
Mentre si legge non ci si può non complimentare con la Rowling per essere riuscita a creare degli esseri così bizzarri e stravaganti, unici nel loro genere. Particolarmente affascinante è poi la leggenda che ha dato origine al Quintaped, una bestia pelosa a cinque zampe che ha infestato un'isola misteriosa al punto da renderla indisegnabile (e perciò irraggiungibile) sulle mappe.
In conclusione non posso che consigliare questo libro agli amanti del mondo di Harry Potter, in quanto rappresenta un ulteriore tassello che si aggiunge al già straordinario universo realizzato per noi dalla scrittrice inglese. Presenta qualche piccolo difetto, è vero, tuttavia arricchisce di molto l'idea che si ha della magia e dei segreti che si celano dietro di essa.
Inoltre, cosa ben più encomiabile, ricordo che tutti i proventi della vendita di questo libro sono stati interamente devoluti a Comic Relief, associazione benefica che si occupa di attività di sostegno ai bambini dei Paesi sottosviluppati.

Per la prima volta nella storia della nobile casa editrice Obscurus Books, uno dei suoi titoli viene reso disponibile per i Babbani. 
La missione di Comic Relief nel combattere alcune delle forme peggiori di sofferenza umana è ben nota nel mondo Babbano, quindi è ai miei colleghi maghi che mi rivolgo. 
Sappiate dunque che non siamo i soli a riconoscere il potere terapeutico della risata, che esso è ben noto anche ai Babbani, che hanno incanalato questo dono in un modo assolutamente fantasioso, usandolo per raccogliere fondi con i quali aiutare a salvare e a migliorare esistenze: un ramo della magia al quale tutti aspiriamo.

Non si potrà sconfiggere la povertà con un incantesimo, o almeno non che io sappia, ma se leggere un libro può allietare e nel contempo dare una mano al prossimo, perché non farlo?

il mio voto per questo libro

venerdì 5 ottobre 2018

Monthly Recap... Settembre 2018!



Salve avventori!
Con la fine dell'estate il nostro blog è tornato a lavorare a pieno regime con le recensioni e anche le rubriche. Potevamo quindi non ricapitolare, con il Monthly Recap, cosa è successo in questo mese e quali sono state le nostre letture?
Ovviamente no! Cominciamo quindi dalle recensioni di settembre, che potete ritrovare facilmente qui sotto, nel caso ve ne foste persa qualcuna. Basterà cliccare sulla copertina del libro per essere indirizzati alla relativa review.
In linea generale sono tutti romanzi che abbiamo recensito positivamente, anche se da alcuni di essi ci aspettavamo qualcosa di più.


Le recensioni di settembre



Passiamo ora alle letture che ci hanno fatto compagnia questo mese.
Diciamo che, dopo il ritmo rallentato, dovuto alle giornate di mare e alle passeggiate all'aria aperta, nelle ultime settimane, abbiamo ripreso a dedicare più tempo alla lettura.
Anche perché, quando le giornate sono gelide e piove tutto il giorno, cosa si può fare se non mettersi sotto le coperte e perdersi tra le pagine di un bel romanzo?

Le letture di settembre

"Noi siamo tutto" di Nicola Yoon
"Wildwitch. La vendetta di Kimera" di Lene Kaaberbøl
"Room" di Emma Donoghue
"Profumo di cioccolato" di Kathryn Littlewood
 "Dove il mare incontra il cielo" di Eric e Terry Fan
 "La radice quadrata di un'estate" di Harriet Reuter Hapgood
 "101 motivi per essere un ragazzo" di Beatrice Masini
 "101 motivi per essere una ragazza" di Beatrice Masini
 "L'orso Paddington" di Michael Bond

Il bilancio è positivo ma non positivissimo, devo dire la verità, più che altro perché per molti di questi titoli le aspettative erano alte, e non paragonabili allo stato dei fatti... purtroppo.
Fanno eccezione il terzo libro della saga Wildwitch che ci ha tenute incollate alle pagine, e l'albo illustrato dei Fratelli Fan, un piccolo gioiellino dalle magnifiche illustrazioni.

E ora, prima di salutarvi, vi lasciamo con il consiglio del mese. 
Il libro selezionato è uno di quelli che abbiamo promosso a pieni voti: ci ha divertito, emozionato e ci ha fatto viaggiare con la fantasia.

Il consiglio del mese è...


"Wildwitch. La vendetta di Kimera" di Lene Kaaberbøl

Cruento, ma anche avventuroso; commovente, ma anche spiritoso.
Uno di quei libri che ti fa conoscere mondi magici ed inesplorati, pieni di pericoli ed insidie, che ti regala tante emozioni e ti fa capire l'importanza del coraggio e dell'amicizia.
Il terzo capitolo di una saga appassionante che non vediamo l'ora di proseguire.

E per il momento è tutto!
Com'è invece il bilancio del vostro mese?
Quali libri vi hanno rubato il cuore e quali invece vi hanno deluso?

mercoledì 3 ottobre 2018

Recensione: “Giselle” di Charlotte Gastaut

Titolo: Giselle
Autore: Charlotte Gastaut
Editore: Gallucci Editore
Data di pubblicazione: 27 settembre 2018
Pagine: 40
Prezzo: 24,00 € (cartaceo) 



Trama:
Giselle, una giovane contadina che adora danzare, è innamorata di Loys.
Un giorno, però, scopre che la sua vera identità è un’altra: si tratta del principe Albrecht, promesso sposo della dolce Bathilde.
Tradita e distrutta dal dolore, Giselle muore e diventa una delle “Villi”, gli spettri di fanciulle morte prima delle nozze che vagano nel bosco assetate di vendetta...

Recensione:
Charlotte Gastaut, con le sue raffinate e delicate illustrazioni, regala incanto ad un racconto di per sé magico.
“Giselle”, una storia creata per il balletto e nota in tutto il mondo, prende vita in queste pagine, che sembrano animarsi come una vera e propria danza.
Ogni pagina regala stupore e meraviglia.
La tecnica del papercut, aggiunge valore ai magnifici disegni, che già affascinano per ciò che descrivono e per i bellissimi colori.
Poche parole, quelle necessarie, perché tutto il resto è lasciato alle immagini.
La felicità dell’amore e la disperazione della perdita, tutto ciò che nello spettacolo è espresso con la danza, qui è lasciato alle illustrazioni.
I fantasmi delle Villi, le creature ultraterrene che secondo la leggenda Slava incarnano le promesse spose abbandonate o tradite prima del matrimonio, sono qui realizzati con delicati intagli sulla carta satinata, leggeri ed eterei, in contrasto con le altre figure, terrene, rese con il cartone rigido.
Un albo illustrato che gli amanti del genere non possono lasciarsi scappare. Un gioiellino da custodire nella propria libreria.

Curiosità:
Charlotte Gastaut sarà premiata domenica 7 ottobre col Romics d’oro.
Dal 4 al 7 ottobre chi si recherà al Romics avrà anche l'occasione di visitare la mostra a lei dedicata, con cinquanta pezzi che raccontano il suo percorso tra moda e illustrazione.











Ringrazio la Gallucci per avermi omaggiato di una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

lunedì 1 ottobre 2018

Recensione: "Stanza, letto, armadio, specchio" di Emma Donoghue

Titolo: Stanza, letto, armadio, specchio
Titolo originale: Room
Autore: Emma Donoghue
Editore: Mondadori
Data di pubblicazione: 2 novembre 2010
Pagine: 339
Prezzo: 19,50 € 


Trama:
Jack ha cinque anni e la Stanza è l'unico mondo che conosce. È il posto dove è nato, cresciuto, e dove vive con Ma': con lei impara, legge, mangia, dorme e gioca. 
La Stanza è la casa di Jack, ma per Ma' è la prigione dove il suo aguzzino, il misterioso Old Nick, la tiene rinchiusa da sette anni, da quando l'ha rapita. 
Grazie alla determinazione, all'ingegnosità, e al suo intenso amore, Ma' ha creato per Jack una possibilità di vita. Però sa che questo non è abbastanza, né per lei né per lui. Escogita un piano per fuggire, contando sul coraggio di Jack e su una buona dose di fortuna, ma non sa quanto potrà essere difficile il passaggio da quell'universo chiuso a tutto quello che c'è fuori.

Recensione:
Chi di voi non ha sentito parlare di questo libro?
Considerando il grande successo editoriale di qualche anno fa, e l'impatto ancora maggiore dovuto all'uscita nelle sale del film "Room" - pellicola che si è aggiudicata ben quattro candidature Oscar - era quasi impossibile sfuggire al suo richiamo.
Ecco perché, dopo essermi imbattuta in numerose recensioni che la dipingevano come "una lettura emozionante, struggente e straziante", ho deciso di smetterla di procrastinare (era in reading-list da troppo tempo, in effetti) e testare io stessa il romanzo in questione.
Solitamente, devo ammetterlo, mi approccio ai libri rinomati con una certa diffidenza, in quanto raramente mi trovo concorde con l'opinione generale. Eppure stavolta, forse anche grazie alla conoscenza pregressa della scrittura dell'autrice (che avevo avuto modo di apprezzare ne "Il prodigio") sono partita fiduciosa. 
Inutile dire che non avrei dovuto, in quanto, mi duole dirlo, questo libro si è dimostrato deludente e decisamente al di sotto delle mie aspettative.
Vi spiego il perché.
La storia è narrata dal punto di vista di Jack, il bambino di cinque anni, nato e cresciuto in Stanza, con la sua mamma. Jack ci racconta la sua quotidianità fatta di pasti preconfezionati, giochi, esercizio fisico, tv e libri illustrati. 
Ogni cosa si ripete, ogni giorno quasi allo stesso modo. Gli stessi cartoni animati, i soliti racconti, i consueti passatempi. Le uniche novità sono rappresentate dai Premi della Domenica, le modiche ricompense che il rapitore, un certo Old Nick, recapita ai due ostaggi a fine settimana, per ricompensarli per la loro obbedienza.
Il bambino, nonostante la situazione non proprio ottimale in cui vive, non sembra rendersi conto di come stiano realmente le cose. Per lui il mondo intero è racchiuso in quelle quattro pareti e tutto ciò che è visibile in tv non è altro che finzione. Niente esiste al di fuori della Stanza, quindi non può desiderare nulla di più di ciò che ha (e di ciò che offre Old Nick).

Le montagne sono troppo grandi per essere vere, io ne ho vista una in Tv con una donna attaccata alla sua parete con le corde. 
Le donne non sono vere com’è vera Ma’, e nemmeno le ragazze e i ragazzi. Gli uomini non sono veri, tranne Old Nick, anche se non sono proprio sicuro che lui è vero verissimo. 
Forse è vero solo a metà? È lui che ci porta le cose da mangiare e il Premio della Domenica e fa scomparire Spazzatura, ma non è un umano come noi. 
Arriva solo di notte, come i pipistrelli. Forse è Porta che lo fa apparire quando fa bip bip, e l’aria diventa diversa. 
Secondo me a Ma’ non piace parlare di lui perché ha paura che se ne parliamo diventa più vero.

E non sembra neppure comprendere fino in fondo la frustrazione della madre la quale pare non rassegnarsi allo stato di prigionia, ben consapevole della vita, e degli affetti, che la stanno aspettando a casa.
Inizialmente quindi la lettura, come avrete intuito, non prevede grandi emozioni, in quanto ci aiuta essenzialmente a capire la routine in quelle mura, e ad entrare in sintonia con il protagonista e la sua Ma'. 
Ad un certo punto però accade qualcosa di preoccupante che mette in discussione la loro sopravvivenza. Il punto di svolta della vicenda, direte... e invece no, perché subito dopo il ritmo riprende con la stessa monotonia delle pagine precedenti.
Fino a quando un piano, alquanto bizzarro e inverosimile a dire il vero, pone fine una volta per tutte alla permanenza dei due protagonisti nella Stanza.
C'è da dire che tutto ciò avviene quando non si è neppure a metà romanzo (se vi state chiedendo perché il libro si chiami "Stanza", sappiate che l'ho fatto anch'io), tutto il resto non è altro che la descrizione del processo di adattamento al mondo, per Jack, e del reinserimento nella società, per sua madre.
Interessante, certo, ma ben diverso da ciò che ci si aspetterebbe da un libro che teoricamente dovrebbe ritrarre una vita di prigionia e privazioni.
Tutta l'angoscia, la disperazione, il pericolo costante e crescente, la crudeltà dell'aguzzino sono, non dico assenti, ma quasi. Le uniche emozioni descritte consistono nell'insofferenza di Ma' di fronte alla mancanza di libertà e nella nostalgia per la sua vecchia vita. 
Naturalmente buona parte del romanzo è incentrato sul rapporto madre-figlio, basato su un forte affetto reciproco, ma anche su una preoccupante, ma comprensibile, interdipendenza. Le scene tra i due sono tenere e coinvolgenti, tuttavia, soprattutto nella seconda parte, non si può non notare la morbosità eccessiva che rende la relazione parentale necessariamente da riformulare.

Non gliel’ho ancora detto che c’è la ragnatela. È strano avere un segreto che è mio-e-non-di-Ma’. Tutto il resto è di tutti e due. 
Suppongo che il mio corpo è mio, e anche le idee che mi passano per la testa. Ma le mie cellule vengono dalle sue cellule, così in un certo senso io sono suo. 
E anche quando le dico cosa penso e lei mi dice a cosa pensa e ogni nostra idea salta dentro la testa dell’altro, le nostre idee si mischiano, come quando si passa il pastello blu sopra quello giallo e viene fuori il verde.

In linea di massima il romanzo non è malaccio, è scorrevole (nonostante il linguaggio infantile e leggermente sgrammaticato di Jack), i personaggi sono abbastanza delineati (anche se non spiccano per simpatia, ad esclusione del tenero Nonnito) e anche l'analisi del passaggio Stanza-Fuori è ben approfondita.  
Tuttavia c'è sempre la sensazione che manchi qualcosa, dei sentimenti forti confacenti alla situazione estrema descritta, ma anche una certa credibilità.
Se avete letto qualcuna delle mie recensioni in passato, saprete di certo che, eccezion fatta per i libri fantasy o quelli per bambini, per me è essenziale che i fatti o le emozioni raccontate nei romanzi siano realistici.
Purtroppo in questo caso così non avviene. Partendo dal piano di fuga, sconsiderato, avventato e poco applicabile, per arrivare ai ripetuti comportamenti di Jack, nulla o quasi di ciò che l'autrice ha delineato, sembra veritiero.
Per fare uno degli esempi più lampanti.
Jack ha vissuto nella Stanza per cinque anni, desiderando tante delle cose viste alla tv. Continuava a chiedere alla mamma qualcosa di nuovo e appetibile come Premio della Domenica, eppure, una volta giunto nel Fuori, si mostra disinteressato per tutto ciò che non ha già sperimentato in precedenza.
Capisco la paura per tutto ciò che ho sconosciuto, ma qui non si parla di timore, ma di vero e proprio disinteresse. 
Quale bambino, messo nella condizione di assaggiare nuove pietanze, avere nuovi giochi, leggere nuovi libri, esplorare nuovi posti, e conoscere nuove persone, risponderebbe "no, grazie"?
Nessuno. 
Devo ammettere che, per buona parte della lettura, e soprattutto nella seconda parte della storia, ho trovato estremamente frustante l'atteggiamento perentorio e ottuso di Jack, che rifiuta dapprima anche solo l'idea di un mondo al di là della Stanza e che, una volta verificatene l'esistenza, continua a volere esclusivamente ed insistentemente ciò che apparteneva al bunker.

I pastelli a cera del dottor Clay vivono in una scatola speciale su cui c’è il numero 120, infatti sono centoventi e tutti diversi. 
Hanno dei nomi strani scritti per il lungo, tipo Arancione Atomico, Rosso Agrifoglio, Verde Smeraldo, Azzurro Cosmo – chi lo sapeva che Cosmo aveva un colore – Viola Petunia, Rosa Antico, Giallo Zabaione e Grigio Pianeta. Alcuni sono scritti sbagliati apposta, per divertimento, come Malvariglioso, ma non fa tanto ridere. 
Il dottor Clay dice che li posso usare tutti ma io scelgo solo i cinque colori che conosco per colorare come facevo nella Stanza: il blu, il verde, l’arancione, il rosso e il marrone.

Ci sarebbe poi da aprire un altro capitolo su Ma', in un primo momento disposta a mettere in pericolo la vita di suo figlio - elaborando tra l'altro un piano improbabile - pur di non starsene con le mani in mano, e successivamente capace di lasciare solo il suo bambino, una volta raggiunta la libertà. Ma è meglio soprassedere.
In generale quindi, non solo la storia presenta delle falle, ma anche i personaggi, che risultano in questo modo contraddittori, poco attendibili e distaccati.
In considerazione di questi grandi difetti, perché personalmente li reputo tali, non si riesce ad apprezzare appieno le vicende narrate, ci si ritrova a storcere il naso per questa o quell'altra cosa, a desiderare qualcosa di diverso, di toccante e di vero.

Considerazioni:
Ma quanto sono sopravvalutati certi libri? 
Se solo ripercorro mentalmente tutte le recensioni esageratamente positive che ho letto in questi anni, non mi sembra vero di trovarmi di fronte allo stesso libro che ho appena terminato.
Il "New York Times" l'ha addirittura definito "magistralmente empatico"... ma davvero? Ma se l'empatia è proprio la grande assente in questa storia: nessun personaggio ha un comportamento naturale, pare tutto artefatto e lontano dalla realtà. E riconoscersi in qualcosa di evidentemente adulterato è a dir poco impossibile.
Basti pensare a Jack. Inizialmente accetta la versione della mamma, ovvero non esiste nulla se non la Stanza, e tutti i posti visti alla tv non sono reali. 
Una volta saputa la verità la rigetta, non vuole conoscere cosa c'è al di là delle pareti, finge di non crederci. E non ci sarebbe nulla di strano se il suo atteggiamento fosse dettato dal ragionamento "se non posso uscire e vedere il mondo, allora il mondo non esiste".
Ma per il piccolo protagonista non è così che funziona: desidera che nulla nella sua vita cambi, perciò rifiuta una diversa opportunità.
Non vuole uscire e non vuole rinunciare a Stanza. Respinge il piano di fuga, non per paura di non riuscire a portarlo a termine, ma proprio per paura di farcela.
Una volta nel Fuori dice no ad ogni novità, e continua insistentemente a chiedere di riavere le sue vecchie cose e, cosa peggiore, di tornare a vivere in quella prigione.
Inutile dire quanto sia stato frustrante per me leggere ininterrottamente: "Quando torniamo in Stanza?  Dormiamo in Letto? ecc."  ╯°□°)╯︵ ┻━┻

«È il Primo Maggio solo nel mondo?» chiedo. 
Siamo sul divano e stiamo mangiando una ciotola di cereali e frutta secca, senza rovesciarli. 
«Cosa vuoi dire?» chiede Ma’. 
«È il Primo Maggio anche nella Stanza?» 
«Penso di sì, ma lì non c’è nessuno a festeggiarlo.» 
«Possiamo andarci noi.» 
Lei lascia cadere il cucchiaio nella ciotola. «Jack…!»

Parliamoci chiaro, per quanto un posto ermeticamente chiuso possa sembrarti rassicurante, è pur sempre una prigione.
E credo che, nella vita reale, nessuno rinuncerebbe alla possibilità di scegliere e sperimentare, a maggior ragione un bambino, vissuto in trappola sin dalla nascita.
Ma non è solo l'empatia a mancare, in tutto il libro non c'è nessun colpo di scena, nessun escalation di emozioni, ma uno scorrere di pagine più o meno omogeneo, più o meno monotono.
Più andavo avanti con la lettura, più mi sorgeva spontaneo il paragone con "Bunker Diary", un libro intenso e crudele, capace di dosare in modo perfetto ogni accadimento e ogni turbamento. Per non parlare poi il rapporto tra Jack e Ma', per nulla paragonabile al legame affettivo, profondo e commovente, instauratasi invece tra Linus e Jenny, i protagonisti dell'opera di Kevin Brooks. Due mondi opposti!
Inoltre mentre leggevo non riuscivo a capacitarmi che l'autrice di "Stanza, letto, armadio, specchio" fosse davvero la stessa de "Il prodigio", un romanzo assolutamente originale che ha come maggior pregio proprio il forte impatto emotivo. 
La storia di Anna O'Donnell è di tutt'altro livello, sconvolgente, agghiacciante e commovente allo stesso tempo... assolutamente da leggere.
Al confronto questo libro non può che risultare mediocre, senza infamia e senza lode, uno che non annoia ma che neanche ti appassiona, che sicuramente non lascia un ricordo indelebile una volta terminato.

il mio voto per questo libro