martedì 8 aprile 2014

Recensione: "Il curioso caso di Benjamin Button" di Francis Scott Fitzgerald

Titolo: Il curioso caso di Benjamin Button
Autore: Francis Scott Fitzgerald
Editore: ESA Edizioni
Data di pubblicazione: 2013
Pagine: 48
Prezzo: 0,00 € (ebook)

Trama:
E' una giornata come tante per gli abitanti di Baltimora, per tutti tranne uno. Roger Button corre infatti ansioso verso la "Clinica privata Maryland per Gentiluomini e Signore", in attesa di stringere tra le braccia il suo primo figlio. Non sa ancora che il tanto atteso Benjamin non è come tutti gli altri, non sa che, sebbene nato da poche ore, ha l'aspetto di un vecchio ottantenne, ma soprattutto non immagina che il suo corpo è destinato a decrescere e che la sua storia sarà perciò ricordata come il curioso caso dell'uomo che divenne bambino.

Recensione:
Fitzgerald scrive questo racconto partendo dalla seguente riflessione di Mark Twain: 

"E' un peccato che la parte migliore della nostra vita venga all'inizio e la peggiore alla fine”

Quella che intende narrare infatti è la vita di Benjamin, neonato in un corpo di anziano, la cui esistenza procede a ritroso, dalla vecchiaia sino all'infanzia, dalla maturità e la saggezza sino ai giochi puerili. Una storia paradossale, la vicenda di un uomo speciale in un mondo perfettamente normale. Al di là del caso in sè, ciò che si evince in queste pagine, e ciò che lo scrittore a mio avviso voleva far emergere, è il conflitto tra l'ignoto, rappresentato dalla figura di Benjamin, e la società bigotta e perbenista che fa fatica ad accettare qualsiasi cosa differisca dal loro stile di vita. Il confronto ed il dissidio tra il protagonista e la società, tra diverso e normale, costituisce la base di tutta la narrazione.
Questo è evidente già nelle prime pagine in cui il personale medico, responsabile della nascita di Benjamin, non fa altro che preoccuparsi della reputazione dell'ospedale, e non fa eccezione lo stesso Roger, il cui primo pensiero non è la salute del suo strano bambino ma "cosa diranno gli altri vedendo mio figlio?"

Il signor Button si accasciò su una sedia accanto al figlio e si nascose il volto fra le mani. «Santo cielo», mormorò, in un’estasi di orrore. «Che dirà la gente? Cosa devo fare?» 
«Deve portarlo a casa», insisté l’infermiera «immediatamente!» 
Un’immagine grottesca prese forma con chiarezza terribile davanti agli occhi dell’uomo tormentato, l’immagine di se stesso che passeggiava per le strade affollate della città, con quella spaventosa apparizione che lo affiancava.

La scena in clinica, nonostante la velata critica, è tuttavia dipinta in maniera così delicata e ironica, da far sembrare la malattia del protagonista quasi uno scherzo un po' troppo buffo, di cui non si può non sorridere. 
Questo è lo stile che Fitzgerald sceglie di adoperare, volto a ritrarre situazioni anche drammatiche in modo paradossale, sostituendo alla sensazione di sconforto una sorta di giocoso divertimento. 
E sicuramente una certa ilarità suscita nel lettore il primo incontro tra Roger e Benjamin, con il primo che pretende che suo figlio si comporti come un normale neonato, e il secondo che chiede al padre di portagli un bastone.
Se questa prima parte gioca appunto sul contrasto fra le esigenze di Benjamin (che, in quanto saggio e anziano, vorrebbe studiare e discutere delle grandi questioni del mondo) e le aspettative dei genitori (i quali continuano a proporgli giocattolini da bambini) la seconda parte assume invece un tono più serio.
Ed è in queste pagine che conosciamo il vero signor Button, non più l'anziano, non ancora il bambino, bensì l'uomo.
Con la maturità Benjamin riesce quasi ad integrarsi nella società, va ai balli di gala, si occupa dell'azienda di famiglia, si costruisce una famiglia. 
Nonostante sia considerato prima troppo anziano e poi troppo giovane, e sebbene nessuno creda che quella che lui afferma sia la sua vera età, riesce a raggiungere in molti campi un discreto successo.
Se in questa fase le dicerie e i commenti ostili da parte delle altre persone, pur presenti si faranno più radi, sarà invece lo stesso Benjamin a diventare vittima dello stesso pregiudizio, disprezzando la maturitá che l'età comporta, e continuando a inseguire i passatempi frivoli, che ben si adattano al suo corpo, ma non alla sua effettiva età.
Assistiamo dunque alla gioventù del protagonista, che rifiuta la vita da quarantenne, che non prova più nessun'attrazione per sua moglie, che si gloria del suo aspetto avvenente, che ha un figlio che si rifiuta di considerarlo padre.

A quel tempo Hildegarde era una donna di trentacinque anni, con un figlio, Roscoe, di quattordici. Nei primi tempi del loro matrimonio, Benjamin l’aveva adorata. Ma, col passare degli anni, i suoi capelli color miele diventarono di un poco attraente castano, lo smalto blu sui suoi occhi assunse l’aspetto di terracotta a buon mercato - inoltre, e soprattutto, era diventata troppo posata nei modi, troppo placida, troppo contenuta, troppo anemica nelle sue emozioni, e troppo sobria nei gusti. 
Da sposina era stata lei a trascinare Benjamin a balli e cene - ora le cose si erano rovesciate. 
Usciva con lui per partecipare alla vita mondana, ma senza entusiasmo, già divorata dall’inerzia che un bel giorno viene a vivere con noi e non ci lascia fino alla fine.

Hildegarde, sventolando una grande bandiera di seta, lo accolse sul portico, e anche quando la baciò, sentì con un tuffo al cuore che questi tre anni avevano riscosso il loro conto. 
Era una quarantenne, ora, con una lieve sfumatura di grigio nei capelli. Quella vista lo depresse.

Ed è così che, attraverso la continua decrescita, giungiamo all'ultima fase della vita del protagonista, alla sua infanzia, quella che Twain definisce "la parte migliore". 
Ed effettivamente negli ultimi momenti Benjamin è felice. Ignaro di tutto, scopre la gioia delle piccole cose, la trova nelle striscioline di carta colorata, nei raggi del sole, nelle carezze della sua tata.

Benjamin trovò che giocare con piccole striscioline di carta colorata, costruire lunghissime collane di cartone e curiosi e bellissimi disegni, era il giocò più affascinante del mondo. Una volta fu cattivo e venne mandato all’angolo - allora pianse - ma per la maggior parte passava ore felici nella stanza allegra, con la luce del sole che entrava dalla finestra e la mano gentile della signorina Bailey che gli scompigliava di tanto in tanto i capelli.

Benjamin è felice, ma sta morendo. 
Questa consapevolezza che il lettore ha, e che lo stesso bambino sembra talvolta percepire, rende queste ultime pagine tremendamente tristi. Osservare quella che dovrebbe essere l'inizio della vita e sapere che di lì a poco si spegnerà, lascia a fine lettura una sensazione di vuoto. 

Il figlio di Roscoe passò in prima elementare dopo un anno, ma Benjamin rimase all’asilo. Era veramente felice. Ogni tanto, quando gli altri bambini parlavano di che cosa avrebbero voluto fare da grandi, un’ombra gli attraversava il volto, come se in modo vago e puerile sapesse che non avrebbe mai potuto condividere quelle cose.

Ed è così che quella che pareva solo una favola assurda, senza troppe pretese, si rivela invece una storia ricca di insegnamenti, ma soprattutto di emozioni.

Considerazioni:
Come accennavo prima, la bellezza di questo libro è, a mio avviso, il saper veicolare, in un modo delicato e per nulla forzato, messaggi importanti, che i più attenti non faranno fatica a recepire.
Tralasciando infatti la vicenda in sè, per tutto il libro non faremo altro che assistere al dissidio tra ciò che una data persona si sente di fare e ciò che è costretto a fare. Sentiremo i giudizi della gente, talvolta celati da finti complimenti, talvolta mischiati a dicerie. 
La stessa storia della nascita di Benjamin, alterata dalle famose voci di popolo, finirà per perdere agli occhi di tutti qualsiasi accenno di verità, diventando una leggenda come tante altre.
Il pregiudizio, le consuetudini, ciò che è appropriato e ciò che non lo è: questi sono i veri protagonisti del racconto.
Ne è un esempio Hildegarde Moncrier, la moglie di Benjamin, la quale accetta la sua proposta di matrimonio non perché pazza d'amore, ma in virtù dell'età, che lui sembra avere ai suoi occhi: cinquanta, l'età matura, gli anni giusti.
Allo stesso modo Hildegarde non solo non riesce a capire il dramma di Benjamin, e non si preoccupa di quello che al suo corpo accade, come qualsiasi moglie amorevole farebbe, ma addirittura ne attribuisce a lui la colpa, giudicando la sua come una scelta consapevole, per nulla conveniente. 

«Be’», disse con leggerezza, «tutti dicono che sembro più giovane che mai.» 
Hildegarde lo guardò con disprezzo. Tirò su col naso. «Pensi che sia qualcosa di cui vantarsi?» 
«Non me ne sto vantando», affermò a disagio. Tirò ancora su col naso. «Che idea», disse, e aggiunse dopo un momento: «Pensavo che avessi abbastanza amor proprio da mettervi fine.»
«E come dovrei fare?», domandò. 
«Non voglio discutere con te», ribatté. «Ma c’è un modo giusto e un modo sbagliato per fare le cose. Se ti sei messo in testa di essere diverso da chiunque altro, non credo di poterti fermare, ma non penso sia una cosa conveniente.» 
«Ma Hildegarde, non posso farci niente.» 
«Puoi farlo. Sei semplicemente testardo. Tu non vuoi essere come tutti gli altri. Sei sempre stato così, e lo sarai sempre. Ma pensa solamente a come sarebbe se tutti vedessero le cose come fai tu, come sarebbe il mondo?» A questo ragionamento sciocco e incontestabile, Benjamin non replicò, e da quel momento in poi fra loro cominciò ad allargarsi un abisso.

Dello stesso avviso il figlio di Benjamin, Roscoe, il quale non dimostra alcun affetto per il padre. Lo considera solo come un problema da tenere alla larga, la causa di un possibile scandalo e, come la madre, pensa che Benjamin abbia deciso di tornare giovane, non comportandosi così da "vero uomo".

A nessuno era antipatico quel ragazzino il cui viso fresco e allegro era appena attraversato da un leggero velo di tristezza, ma per Roscoe Button la sua presenza era fonte di tormento. Per usare un’espressione della sua generazione, Roscoe non considerava la cosa “adeguata”. 
Gli sembrava che il padre, rifiutandosi di dimostrare sessant’anni, non si fosse comportato come un “vero uomo” - questa era l’espressione preferita da Roscoe - ma in modo singolare e perverso. Infatti, pensare a questa storia per più di mezz’ora lo portava alle soglie della pazzia. Roscoe credeva che gli uomini di grande morale dovessero mantenersi giovani, ma fino a quel punto era inadeguato. E restò di quel parere.

L'unico personaggio che, a mio parere, si distingue è Roger Button.
Lui è il solo che sembra aver amato Benjamin, nonostante la sua diversità.
Come la maggior parte dei personaggi, anche lui subisce un'evoluzione.
Ma mentre Benjamin con il tempo diventa più superficiale, Hildegarde più insensibile, il cambiamento di Roger è senz'altro positivo. Se infatti nei primi approcci con suo figlio, pare più interessato all'opinione pubblica che alla sua famiglia, più attento a mascherare suo figlio, per renderlo il più possibile normale agli occhi degli altri e soprattutto ai suoi, con il passare del tempo il suo atteggiamento cambia. Ed anche il rapporto con Benjamin muta: se prima assistiamo ad una vera e propria sfida tra i due, in cui entrambi vogliono far prevalere i propri bisogni, poi vediamo invece Benjamin che cerca di far felice il padre, fingendo di essere quello che non è, e Roger che, a dispetto di tutto, comincia a vedere in Benjamin solo suo figlio. 

Svariati ragazzini gli vennero portati in visita, e trascorse un estenuante pomeriggio a cercare di interessarsi a trottole e biglie, accidentalmente riuscì perfino a rompere un vetro della cucina con un sasso lanciato da una fionda, prodezza che, segretamente, rese il padre molto felice. 
Da allora in poi Benjamin faceva in modo di rompere qualcosa ogni giorno, ma lo faceva soltanto perché si aspettavano che lui le facesse, e perché era compiacente di natura.

Quando compì dodici anni i suoi genitori s’erano abituati a lui. Infatti, la forza dell’abitudine è così forte che non lo percepivano più tanto diverso da qualsiasi altro bambino, eccetto quando qualche curiosa anomalia glielo ricordava.

Altra cosa che mi ha colpito è lo stile di scrittura di Fitzgerald, capace di dar vita a siparietti divertenti, ma anche di descrivere atmosfere liriche.
Ho un'ultima considerazione da fare, che non ha nulla a che vedere con il racconto di Fitzgerald, bensì con l'edizione che ho avuto il piacere di leggere gratuitamente, grazie all'esperimento editoriale delle ESA. 
Per quanto io abbia apprezzato il lavoro di chi ha contribuito, e contribuisce tuttora, a rendere liberi e aperti a tutti numerosi contenuti culturali, devo però confessare di non riuscire proprio a capire la scelta, da parte della ESA, di sostituire la normale prefazione, con contenuti tratti da wikipedia.
Mi spiego meglio: il racconto edito dalla ESA è preceduto dalle consuete sezioni "il libro" e "l'autore", ritrovabili in quasi tutti i volumi. 
Mentre questa parte è solitamente affidata al curatore dell'edizione che riassume, come meglio crede, la trama e i cenni biografici dell'autore, in questo caso, entrambe le sezioni sono state rimpiazzate con nozioni tratte da internet, peraltro completamente errate.
Confrontando infatti la vicenda di Benjamin con quella riassunta all'inizio, non si possono non notare enormi incongruenze e, cosa peggiore, particolari inventati di sana pianta.
Ragion per cui consiglio a coloro che avessero in mente di scaricare gratuitamente il libro dal sito, di evitare quella parte, o eventualmente leggerla solo alla fine (come ho fatto io), giusto per farvi due risate XD

Breve confronto con il film:
"Il curioso caso di Benjamin Button" è noto ai più per il film omonimo, diretto nel 2008 da David Fincher, e candidato a ben tredici Oscar.
Purtroppo e per fortuna le analogie tra racconto e film consistono nel solo titolo.
La storia narrata nel film è completamente diversa. 
Benjamin non nasce nelle sembianze di un anziano, dotato di capacità di linguaggio e con coscienza del mondo cui appartiene, come nell'immaginazione di Fitzgerald. Appare invece come un normale neonato, affetto da invecchiamento precoce. Viene abbandonato dal padre e cresce in un ospizio. 
Ama e viene amato da una donna, la ballerina Daisy, consapevole della sua malattia, che non lo abbandona mai, neppure alla fine. E' tra le sue braccia che muore Benjamin, e nel suo abbraccio che chiude per sempre gli occhi.
Da questo grande amore nasce una figlia, Caroline, che solo dopo la morte del padre (il film non è altro che un lungo flashback), apprende l'identità di suo padre. 
Altra fondamentale differenza è il tempo in cui la vicenda è ambientata: nel racconto la nascita di Benjamin avviene nel 1860, nel film nel 1918. Caroline viene a sapere tutto però solo nel 2005, in ospedale, con la madre in punto di morte.
Le vicende di cui il signor Button è protagonista sulla pellicola sono molte, ma ben diverse da quelle impresse su carta.
Ma al di là dei contenuti, ciò che è completamente differente è il tono del film, molto più drammatico (solo la parte finale, con l'infanzia e la morte del neonato è per molti versi simili), per nulla scherzoso.
I rapporti tra i personaggi risultano più veri e autentici, sia per quanto riguarda le amicizie (assenti nel racconto), che nei legami amorosi. Per queste motivazioni il film risulta avere un maggiore impatto, coinvolge lo spettatore dall'inizio alla fine. 
Se infatti non capisco la necessità di stravolgere completamente la storia, anche con particolari futili (ad esempio sostituire Roscoe con Caroline, inventare l'abbandono paterno, l'ambientazione differente), ho però apprezzato molto il film per la maggiore complessità della trama e soprattutto per l'analisi psicologica dei personaggi, di cui il libro è quasi del tutto privo. 


il mio voto per questo libro


8 commenti:

  1. Qualche tempo fa ho letto un adattamento in fumetto di questo racconto. Piacevole.

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  2. Non l'ho mai letto ma sembra carino!
    Non ho neanche mai visto il film...
    Complimenti per la recensione, sei riuscita a spiegare in modo molto approfondito la tua opinione!
    :)

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  3. Gratis?! Devo assolutamente andare a scaricarlo perché qualche tempo fa stavo per comprare il cartaceo, ma a questo punto voglio prima testare l'ebook (salterò la parte di Wikipedia, prometto! xD). Ho amato Fitzgerald da quando ho letto Il grande Gatsby e sto per iniziare "Belli e dannati", per cui perfetta tempismo Muriomu!!! ^^
    Avevo letto che effettivamente il libro e il film fossero differenti, ma non pensavo così tanto!!! Grazie per la tua recensione, come sempre bella e utile! :)

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    1. Potresti linkare per favore l'ebook? Sul sito della casa editrice riesco a trovare solo Il grande Gatsby gratis (sempre ben accetto comunque!) ;).

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    2. Ciao Geeky io ho trovato il libro nello store IBooks nella sezione libri gratuiti.

      P.S: comunque ci tengo a precisare che questa recensione l'ha scritta Little Pigo, come dice il suo timbrino a fine articolo ^__^

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  4. Interessante. Non sapevo che il titolo del film derivasse da un racconto, e nientemeno che di Fitzgerald. Grazie per la bella recensione.

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  5. L'autore crea un racconto sul senso della vita, ci mostra, attraverso situazioni esagerate e paradossali, come sia da bambini che da anziani siamo soggetti alle difficoltà, e alla scarsa considerazione da parte degli adulti.
    La storia mette in evidenza il pregiudizio verso chi è diverso.
    Un percorso di vita contrario a quello normale, ma non poi così diverso.
    Una storia paradossale, così come volutamente paradossali sono i comportamenti e le reazioni di tutti i personaggi che circondano il protagonista.
    Un padre che non accetta il problema, un figlio che addirittura lo colpevolizza di qualcosa di cui Benjamin non ha nessuna responsabilità.
    Non sono infine d'accordo con la considerazione di Mark Twain perché penso che la fine della vita sia una cosa triste, ma ancora più triste sarebbe se avvenisse nella parte migliore della vita, in questo caso infatti ancora più triste è stato veder spegnersi un bambino in fasce, anziché un uomo adulto che ha conoscenze, ricordi e la consapevolezza di una vita vissuta alle spalle.

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  6. Ho il libro in wish list da quando ho visto il film, che ho trovato particolarmente bello, intenso e riflessivo.
    Non sapevo che la storia narrata nel libro fosse completamente diversa da quella del film, ma considero ciò come un input in più per leggere con occhi nuovi la versione di Fitzgerald ^_^

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