Titolo: Amabili resti
Titolo Originale: The Lovely Bones
Autore: Alice Sebold
Editore: e/o
Data di pubblicazione: 2002
Pagine: 416
Prezzo: 15,30 €
Trama:
È il 6 Dicembre 1973 quando la quattordicenne Susie Salmon viene stuprata e uccisa da un suo vicino di casa.
Un libro, i frammenti di una lettera, un berretto con pompon, e il suo gomito sono gli unici resti di lei, ritrovati nei pressi del campo di granturco che l'ha vista viva per l'ultima volta.
E' lo spirito di Susie che ci racconta la sua storia, lei continua ad osservare il mondo dal suo cielo, controlla il suo assassino, non prova rabbia nei suoi confronti, ma lo teme ancora, teme l'idea che possa tornare a far del male a qualcuno.
Soprattutto Susie continua ad essere accanto alla sua famiglia, li osserva, li studia e vive attraverso loro la vita che gli è stata strappata, negata, vive attraverso loro le esperienze che non ha vissuto.
Mentre chi le è stato accanto cerca di andare avanti e ricomporre i cocci di una vita distrutta, Susie è lì che lotta tra il desiderio di vederli tornare a sorridere e la paura di essere dimenticata.
Recensione:
Emozionante, triste, crudele, dolce, intenso.
Un libro che non si legge soltanto, ma si vive.
Si vive con le sensazioni che offre, con i sentimenti che imprime, con i pensieri che fa nascere e accompagnano per tutta la lettura e anche oltre.
Alice Sebold ci racconta una storia ingiusta, non può essere vista altrimenti, una giovane vita spezzata in modo così orribile, non può avere un appellativo diverso da questo.
La scrittrice però non indugia in sentimentalismi eccessivi, o nel dolore.
Quella che ci dà è forse una visione più dolce di quella che potrebbe essere la realtà.
Susie è morta, ma è presente, ed il lettore ne è rassicurato.
Lei è in qualche modo ancora viva, riflette, ricorda, a volte è felice, altre volte è triste, ma sempre accanto ai suoi cari, veglia su di loro e attraverso loro vive in qualche modo tutte le esperienze che le sono state negate.
La scrittrice ci mette di fronte ai diversi modi con cui la famiglia della vittima, e i suoi amici, affrontano il dolore della perdita.
Il padre non lo nasconde, è fra tutti quello che non si arrende alla morte della sua bambina, è lui tra i due genitori ad avere quello che è solitamente definito "l'istinto materno".
Al primo incontro con il signor Harvey (l'assassino) ha delle sensazioni che lo mettono immediatamente in guardia.
Man mano, lo strambo vicino della casa verde diventa, ai suoi occhi, colpevole senza riserve.
La mamma Abigail invece affronta il dolore fuggendogli.
La sorella minore Lindsey sente in sé la responsabilità, e il fardello, di vedere negli occhi di chi la guarda l'immagine riflessa della sorella assassinata.
Ruth, la ragazza che ha percepito la presenza incorporea di Susie fin dal primo istante della sua morte e che in qualche strano modo la sente vicina più di chiunque altro.
E mentre la sua famiglia va a pezzi distrutta dal dolore, Susie è lì ad osservare tutto, in bilico tra il desiderio che la lascino finalmente alle spalle e continuino a vivere la loro vita e la necessità di non sentirsi dimenticata, la paura di diventare soltanto un ricordo.
“I miei vicini e i miei insegnanti, i miei amici e la mia famiglia formarono un cerchio non lontano dal punto in cui ero stata uccisa. Una volta usciti, papà, mia sorella e mio fratello sentirono di nuovo il canto. Papà si protendeva verso quel calore e quella luce con tutto sé stesso; voleva tanto che la gente mi ricordasse col cuore e con la mente. Mentre osservavo capii una cosa: che quasi tutti mi stavano dicendo addio. Stavo diventando una delle tante ragazzine scomparse. Sarebbero ritornati a casa e mi avrebbero messa via, come una lettera del passato mai riaperta o riletta. E io potevo dire addio a loro, augurargli ogni bene, benedirli in qualche modo per i loro buoni pensieri.”
“Camminando, Samuel batteva con le nocche sull'intonaco. «Qui dentro ci si potrebbe tranquillamente murare qualcuno».
Così all'improvviso si creò uno di quei momenti imbarazzanti che loro avevano imparato a lasciar passare e che io continuavo ad aspettare. Sottintendeva un interrogativo fondamentale: Io dov'ero? Sarei stata nominata? Si sarebbe parlato di me? Ma come sempre ormai, la risposta fu un deludente no. Susie non era più al centro delle attenzioni, sulla Terra.”
Un libro che lascia il segno, dolce e straziante allo stesso tempo, che, anche a fine lettura non ci abbandona, ma resta dentro lasciando un misto di pace e vuoto.
Considerazioni:
Se non hai letto il libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Sebbene la vena, non troppo drammatica, con cui viene descritto (la Sebold su un argomento del genere avrebbe potuto descrivere le migliori scene isteriche e disperate), questo libro come regalo finale lascia tristezza e insoddisfazione.
La morte di una bambina (il sentirla così sola, la riflessione su tutto ciò che le è stato portato via e le ripercussioni che la sua morte hanno sulla sua famiglia) fa arrabbiare, e la rabbia mi ha accompagnato per buona parte della lettura e sebbene il racconto sia addolcito da tante cose, questa rabbia chiedeva che almeno alla fine venisse fatta giustizia.
Una giustizia che invece non c'è stata.
Ho visto il colpevole farla sempre franca e alla fine morire solo per una casualità, ho visto le ossa di una bambina chiuse per sempre in una cassaforte e seppellite da un mare d'immondizia...
Da qui l'insoddisfazione, io volevo vederlo marcire in galera!
E volevo che la famiglia di Susie avesse avuto l'opportunità di dare degna sepoltura ai suoi resti.
Il padre di Susie é stato il personaggio che più ho amato, e il solo di cui ho compreso fino in fondo i comportamenti.
Ho condiviso il suo modo di reagire al dolore, il suo voler tenere Susie sempre stretta a sé, non solo come un ricordo, ma come una figlia reale.
Il suo lottare per trovare il colpevole a tutti i costi, il non arrendersi, nonostante tutto intorno a lui lo facesse.
Al contrario ho detestato la madre, Abigail, che diversamente dal marito combatte il dolore perdendosi in altre braccia.
Più che combatterlo lei gli fugge, e lo lascia alle sue spalle, insieme ai resti della sua sgangherata famiglia.
Abbandona i due figli e il marito e scappa via, alla ricerca della vera sé.
“Lei, pur essendo per definizione una madre, a un certo punto aveva smesso di esserlo. E dopo aver perso quasi dieci anni della loro vita, non le era consentito rivendicare quel diritto e quel privile-gio. Ora aveva imparato che fare la madre era una vocazione e che tante sognavano di diventarlo. Ma lei quel sogno non l'aveva mai avuto, ed era stata punita nel modo più orribile e inimmaginabile per non avermi voluta.”
Un comportamento, il suo, che non sono riuscita a comprendere e che non posso giustificare.
Solo a ripensare al frangente in cui il marito era in ospedale e lei, nel locale caldaie, che se la faceva con quel fesso che doveva occuparsi delle indagini, mi viene un nervoso >.<
E il fratello Buckley che ad un certo punto vuole utilizzare i vestiti di Susie, sino ad allora (giustamente) gelosamente conservati, per realizzare dei sostegni per le piante di pomodoro!!!
Ma dico io, la sensibilità proprio non ti appartiene!?
Addirittura si offende con il padre che gli dice di rimetterli al loro posto.
E meno male che era anche tua sorella, piccolo egoista ingrato! >.<
“«Quelli sono i vestiti di Susie» disse papà con calma quando lo raggiunse.
Buckley abbassò lo sguardo sul vestito scozzese nero che aveva in mano.
Papà si avvicinò, glielo prese e poi, senza parlare, raccolse gli altri che Buckley aveva impilato sull'erba...
...«Perché non posso usarli?» chiese.
La domanda colpì papà come un pugno nella schiena.
«Perché non posso usare quei vestiti per legarci i pomodori?».
Papà si girò e vide suo figlio inquadrato sullo sfondo del perfetto orticello di terra umida e smossa, disseminata di piantine.
«Come puoi farmi questa domanda?».
«Devi scegliere. Non è giusto, papà» gli disse Buckley.
«Che hai detto?». Mio padre stringeva ancora i miei vestiti al petto.
Vidi Buckley prendere fuoco. Alle sue spalle c'era il sole della verga aurea; la siepe era ormai alta il doppio di com'era alla mia morte.
«Non ce la faccio più!» urlò Buckley. «Il papà di Keesha è morto e Keesha sta bene!».”
Per non parlare della polizia che si fa sfuggire l'assassino mentre lo ha davanti agli occhi che parla con loro!
Insomma un trionfo di rabbia! E ingiustizia!
Ma in questo libro c'è anche dolcezza e malinconia e questa è rivolta soprattutto nei confronti della piccola Susie.
Leggere dei suoi ricordi, dei suoi rimpianti, del suo sentirsi sola, del suo desiderio ad un certo punto che il padre potesse finalmente raggiungerla...
Ho provato un'immensa pena per lei e questo mi ha indotto anche a pensare "e se fosse davvero così?", "Se chi abbiamo perduto fosse davvero sempre con noi e sentisse la nostra mancanza?"
Tutte queste riflessioni mi hanno resa ancora più triste...
e mi hanno lasciata con una domanda: la realtà è più dolce o più crudele di quella descritta in queste pagine?
il mio voto per questo libro