venerdì 28 aprile 2017

I hate this cover #4

Salve avventori, dopo tanto tempo rieccoci con la rubrica più cattivella che il nostro blog può vantare, quella che vi mostra le cover dei libri che proprio non ci sono andate a genio, e quella di cui vi parlerò oggi mi ha fatto particolarmente infuriare.
Ogni infatuazione ha un inizio, anche quella per un libro, e questa è cominciata su Instagram, quando mi sono imbattuta in vari scatti di un libro carinissimo dedicato alla Bella e la Bestia, e in particolare a Belle e alle sue letture... 
Ebbene, la versione originale "Belle's Library", in lingua inglese, della Disney Press, è davvero carina, la cover fa pensare ad un libro prezioso, di valore, di quelli che potresti benissimo trovare in una bella libreria in stile "La Bella e la Bestia" appunto...
Bene, appena vista questa edizione, che le blogger americane si sono ovviamente sbizzarrite ad immortalare in vari scatti (che potete vedere cercando l'hashtag #BellesLibrary), non ho potuto trattenermi dal fantasticare di poterlo avere tra le mie mani *-*
Neanche a dirlo, ho subito cominciato a bramare l'edizione italiana, sperando che restasse invariata...
Ma quando mai! Le CE nostrane hanno la straordinaria abitudine di prendere ciò che è bello e imbruttirlo più che possono.
Non so perché lo facciano, forse si divertono. Secondo voi perché? Avete qualche idea? Lanciamo un sondaggio? Fatevi pure avanti con le vostre teorie.


Ma tornando a noi, la Giunti ha deciso di dare una sua personalissima veste al libro, che potete osservare nella sua versione originale qui in alto, trasformandola in quella che invece potete visionare qui in basso.
Ora ditemi voi, potevano, in fede loro, credere di renderlo più accattivante?
Io proprio non capisco... forse pensando che si tratti di un libro indirizzato ad un pubblico di bambini (e chi lo ha detto poi? Parla di libri no? I libri  dovrebbero essere per tutti, o sbaglio?) hanno pensato che dargli le sembianze di un album di figurine fosse la scelta più giusta -__-"
Per non parlare del titolo modificato in "Leggi e sogna con Belle", che pare essere quello di un album da colorare >.<
Non so voi, ma io sono senza parole per la mancanza assoluta di buon gusto.
Ecco, pur volendolo fare diverso, non avrebbero potuto pensare a qualcosa di più creativo? Dargli magari l'aspetto di un volume da tenere e mostrare con orgoglio in una biblioteca?
Cosa mi rappresenta piazzarci in primo piano una Emma Watson (pure scontornata male) su uno sfondo bianco? Mah!
Spero almeno che l'interno (anch'esso molto carino), che ho avuto modo di vedere in una video recensione di "Belle's Library", sia identico... ma a questo punto mi chiederei ancora di più quale sia il senso di mantenere l'interno e distruggere la cover che è, di fatto, il biglietto da visita di un libro.
Per ora non posso saperlo, dato che (e la cosa non mi stupisce affatto) non ho trovato nessuna blogger che abbia dedicato interi servizi fotografici alla versione della Giunti... casualità?
Forse questo dovrebbe fare capire alle nostre CE qualcosa.
Forse questo dovrebbe far capire che nei tempi dei social, nel tempo di instagram - in cui le bookblogger (me compresa) ci tengono a fare delle belle foto, per dare valore ai loro tesori di carta e inchiostro - rendere belli i libri realizzando copertine particolari, dalle tinte pastello, e font ricercati, non fa che aumentarne l'hype.
Insomma che qualcuno gli spieghi i principi base del marketing!!!


Belle, la protagonista de "La Bella e La Bestia", è una grande appassionata di libri. Il volume raccoglie non soltanto una serie di citazioni letterarie che la ragazza conserva perché hanno colpito la sua attenzione, ma anche appunti, disegni e racconti della sua vita prima, dopo e durante l'incontro con la Bestia. Corredato da illustrazioni, "Leggi e sogna con Belle" svela aspetti inediti della celebre storia della Disney e offre al lettore il personalissimo punto di vista della protagonista, che va quindi ben oltre quanto si può conoscere di lei dalla visone dei film che l'hanno vista protagonista.





giovedì 27 aprile 2017

Recensione: "Rex" di D. H. Lawrence

Titolo: Rex
Autore: D. H. Lawrence
Illustrazioni: Fabian Negrin
Editore: Orecchio acerbo editore
Collana: Pulci nell'orecchio
Data di pubblicazione: 16 Marzo 2017
Pagine: 40
Prezzo: 8,50 € (cartaceo)



Trama:
Una casa inglese e un Fox Terrier da crescere. Arrivato con il calesse dello zio, il cane fa il suo ingresso in famiglia per ricevere la giusta educazione. Il cane cresce, tra giochi e scapaccioni, ricambiando con affetto l’amore del piccolo Johnny e della sorella, e con selvaggia aggressività l’autorità degli adulti. Indipendente e indomito, Rex lo sarà fino alla fine.
Anche dopo che lo zio, con il solito calesse, se lo riprende, nella disperazione dei bambini...

Recensione:
Il racconto di Lawrence, come Canituccia di Matilde Serao, fa parte della collana "Pulci nell'orecchio". Protagonisti della raccolta sono i bambini con le loro storie, "schegge d'infanzia", testimonianze di un passaggio cruciale nella vita di ogni bambino, quello in cui vengono meno le certezze, in cui si scopre che, dopotutto, il mondo non è quel posto sicuro che si credeva e nel quale si confidava.
Le storie di questa collana sono crude e schiette, forse perché il loro intento è proprio quello di rendere manifesta la dura realtà della vita.
Protagonista di questo racconto è una famiglia alla quale viene affidato un piccolo e vivace cucciolo di Fox Terrier. I due bambini se ne affezionano immediatamente, mentre con i genitori, soprattutto con la madre, il rapporto sarà abbastanza difficile, per non dire conflittuale.
Il cagnolino cresce tra l'amore e le coccole dei due piccoli, e lo sdegno e i rimproveri dei genitori. In questa ferma opposizione di intenti, tra chi è deciso a viziarlo, e chi a rimproverarlo per la minima sciocchezza, nessuna delle due parti si occupa di dare al cucciolo un'educazione.
Quando questo diventa grande, il padre pretende che, per un'assurda e crudele usanza, gli venga tagliata la coda, per renderlo "adulto", per renderlo "virile".
La drammatica opposizione dei due piccoli di casa nulla può contro la testarda convinzione dell'uomo che resta fermo sulla sua posizione.
Quando Rex, ormai mutilato, torna a casa, non è più lo stesso, si è fatto scontroso, diffidente, rabbioso, quasi feroce. Gli uomini lo hanno rovinato. Non è stato certo il troppo amore a rendere Rex un cane aggressivo e prepotente, semmai sono state l'idiozia e l'ignoranza. Il credere che un animale sia un oggetto con cui divertirsi o sul quale esprimere la propria autorità.
Un animale non è un giocattolo, non lo è per i bambini e tanto meno deve esserlo per gli adulti, ma questo la famiglia che lo ha accolto non sembra proprio capirlo.
Alla fine della storia, è avvilente leggere come ai bambini venga insegnato un messaggio totalmente sbagliato, poiché gli stessi genitori non sono stati capaci di apprendere nulla dall'esperienza vissuta.
Così Johnny e sua sorella cresceranno credendo che amare "troppo" un animale sia sbagliato, e che sia stato davvero il loro amore a rovinare il loro amico a quattro zampe.
Cosi facendo, ed è questa la parte più triste della storia, gli adulti non solo hanno rovinato Rex, ma anche i loro figli, facendo passare per vero un messaggio completamente sbagliato. E così loro cresceranno, insegnando gli stessi errori ai propri figli.
Nel passato di un adulto infelice c'è quasi sempre il momento in cui il genitore ha sbagliato con lui... in "Rex" assistiamo inermi a uno di questi sbagli, uno di quelli che segna per sempre il bambino, l'uomo che diventerà, e il modo con cui si approccerà agli altri.

Considerazioni:
Quando ho terminato questo racconto avevo le idee parecchio confuse. Non ero sicura di aver colto il senso della storia e, ancora adesso non sono certa che l'interpretazione che gli ho dato sia quella giusta. Ovviamente spero che lo sia, spero che Lawrence, nello scrivere cose tipo:  "Non avremmo dovuto amare Rex così tanto, e lui non ci avrebbe dovuto amare. Ci sarebbe voluta un po’ di moderazione.", fosse solo sarcastico, o che il suo, come io l'ho interpretato, fosse un modo per mostrare come sia facile, e allo stesso tempo pericoloso, deviare in pochi gesti, e con poche parole, la mente di un bambino. Fargli credere giusto ciò che è sbagliato e viceversa.
Arrivo a dire questo perché non ho assolutamente visto "troppo amore" espresso ad un cane.
Ho visto dei bambini che vogliono bene al loro cucciolo, come è giusto che sia.
Ho visto dei bambini che vogliono dormire insieme al loro cagnolino, e non ci trovo nulla di strano, anzi!
Ho visto dei bambini che giocano con il loro cane senza pensare a comportarsi bene e "fare i bravi", come fanno tutti i bambini.
Di contro ho visto dei genitori assurdi, che ingaggiano una battaglia al più forte con un animale, anziché accoglierlo ed educarlo come un membro della famiglia.
Ho visto una madre mettersi in competizione con un cane, e un padre costringerlo ad una tortura inutile e stupida.
Ho visto un cane diventare aggressivo, sì, ma non per il troppo amore, semmai per il contrario.

Ringrazio la Orecchio Acerbo Editore per avermi fornito una copia di questo libro

il mio voto per questo libro

venerdì 21 aprile 2017

Recensione: "Le stanze dei ricordi" di Jenny Eclair

Titolo: Le stanze dei ricordi
Autore: Jenny Eclair
Editore:  Sperling & Kupfer
Data di pubblicazione: 14 Marzo 2017
Pagine: 384
Prezzo: 18,90 € 

Trama:
Londra, Kennington Road. La casa al numero 137 è in vendita. Tanto affollata un tempo, ora è solo un nido vuoto, troppo grande per una donna sola. E così Edwina Spinner, ex artista e illustratrice, ha deciso di andarsene. Mentre conduce l'agente immobiliare di stanza in stanza, affiorano i ricordi. La mente di Edwina torna a cinquant'anni prima, quando si era trasferita lì dopo le nozze, giovanissima, con il suo grande amore. Torna ai suoi bambini, gemelli scalmanati, e al figlio acquisito che l'ha sempre detestata. Man mano che la casa rivela i suoi segreti, Edwina è costretta a fare i conti con il passato, fino al ricordo di quella notte che ha travolto per sempre le sorti della sua famiglia. Ma quella di Edwina è solo una versione parziale. Per scoprire davvero tutta la verità, dovrà affrontare l'unica persona che non avrebbe voluto rivedere mai più...

Recensione:
Ci sono libri che ti rapiscono il cuore sin dalla prima pagina, e altri che, senza un particolare motivo, non riescono proprio a fare breccia.
Mi spiace dirlo ma questo romanzo rientra nella seconda categoria.
Guardandolo da un punto di vista oggettivo, non ho un granché di appunti da fare, eppure ho fatto molta fatica a terminarlo.
Ma partiamo dal principio. Il libro narra di una casa che custodisce storie e segreti quali fossero il migliore dei tesori. E parla di una famiglia, o meglio di due famiglie, e di come una folle passione e una scelta egoistica possano causare più disastri di quanto si possa immaginare.
Il famoso "butterfly effect", riproposto in una vicenda che affonda le radici alla fine degli anni cinquanta fino ad arrivare ai giorni nostri.
Edwina è la principale protagonista di questa storia, a lei è dedicata la prima sezione del romanzo. Ormai anziana, ripercorre le tappe più importanti della sua vita, ponendo l'attenzione sugli errori da lei commessi e su quanto si sarebbe potuto evitare, conoscendone in anticipo le conseguenze.
Questa parte, sicuramente ben scritta e corredata da dettagliate descrizioni (ogni capitolo è dedicato ad una stanza della casa e ai corrispettivi aneddoti), mi è parsa un po' lenta. Essendo prettamente conoscitiva, e quindi rivolta a farci entrare in relazione con i personaggi e il loro vissuto, manca di dinamica e di pathos. È inoltre intrisa di nostalgia e rimorsi, come è ovvio che sia, considerando l'età della protagonista e il particolare momento che si ritrova a vivere.
La seconda parte del libro invece, si mostra decisamente diversa. Tutto gira intorno ad una ragazza, Fern (che in qualche modo ha a che vedere con Edwina), e alla sua folle passione per un giovane scapestrato. La narrazione da questo punto in poi diventa più frizzante e vivace.
Devo ammetterlo, questo cambio di rotta improvviso mi ha stupito, perché dà un tono completamente diverso alla narrazione.
Eppure neanche queste pagine hanno riscontrato la mia approvazione, in quanto paiono eccessivamente frivole e prive di emozioni. Insomma da un eccesso a un altro. 
La terza e ultima parte invece è stata inaspettatamente quella che ho apprezzato di più, l'unica in cui affiorano sentimenti veri e condivisibili. Ha come voce narrante Lucas, che potrebbe essere considerato il filo conduttore di tutto questo dramma familiare e, a mio modesto parere, anche la principale vittima. A lui si allude per tutto il libro, ed è stato un piacere poter conoscere finalmente anche il suo punto di vista. 
In generale non posso bocciare questo romanzo che è riuscito nella difficile impresa di plasmare le pagine, in base al personaggio di cui intende raccontare, e adeguando i toni narrativi.
Eppure non posso neanche nascondere che questa lettura non mi ha entusiasmato e che anzi, in alcuni momenti, mi è pesata più di un macigno.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro, e hai intenzione di farlo, fermati qui!
Quando ho iniziato questo libro avevo grandi aspettative, soprattutto considerando la trama, per alcuni versi simile a "I segreti della casa sul lago" di Kate Morton. Le prime pagine mi avevano fatto ben sperare, al punto che credevo di poter ritrovare vaghe somiglianze con "Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle Stop", romanzo che ho letteralmente adorato. Credevo infatti che, dopo una prima parentesi nostalgica, saremmo approdati in una terra fatta di legami familiari, emozioni profonde, segreti inconfessabili e momenti pregni di vivacità e tenerezza.
E invece no, niente di tutto questo. 
Edwina ripercorre la sua vita, i brevi momenti felici con il primo marito e l'interminabile dramma che ha inizio con il suo secondo matrimonio.
Sceglie, senza pensarci due volte, di assecondare una passione fuggevole, pur sapendo di rovinare così una famiglia. E cosa ben peggiore, fino al raggiungimento della tarda età, sembra non mostrare alcun rimorso, e nessuna compassione per chi ha dovuto subire le conseguenze di questa decisione avventata. Anzi, si mostra eccessivamente dura e ostile nei confronti di Lucas, il figliastro che, da un giorno all'altro, si è ritrovato ad affrontare il divorzio dei genitori e il continuo via vai da una casa all'altra.
Lucas viene immediatamente identificato come il nemico, colui che vuole portare scompiglio nel nuovo equilibrio familiare, che vuole sabotare la ritrovata felicità.
Eppure Edwina non si ferma mai a pensare ai sentimenti del bambino, continuamente isolato o deriso dai fratellastri, in più occasioni ridicolizzato da lei stessa, e in linea di massima trattato come un estraneo. Per giunta crede di essere lei la vittima, e che il povero Lucas sia in realtà l'artefice di tutte le sventure susseguitesi nella sua vita.
Mi dispiace dirlo ma il personaggio di Edwina non ha suscitato in me alcuna simpatia, se non nelle battute iniziali, quando ci parla del grande amore con il primo marito. Dalla morte di quest'ultimo, il personaggio della donna si perde irrimediabilmente.
A dir la verità, credo che il problema di questo libro sia proprio la mancanza di empatia. È impossibile legare con alcun personaggio, immedesimarsi nelle loro vicende e prendere le loro parti. Tutti si comportano in modo sconsiderato e non mancano di puntare il dito contro gli altri, sfoggiando un senso di superiorità, ingiustificato a mio avviso.
Ne è l'esempio lampante Fern, la seconda protagonista del romanzo. Pur essendo fidanzata con l'uomo perfetto, non fa che sminuirlo e ridicolizzarlo, e non perde occasione per sbavare dietro il primo di turno. E come potrà rivelarsi l'oggetto dei suoi desideri, se non il solito sciupafemmine senza rispetto? E come potrà reagire la nostra Fern dopo averlo conosciuto? È ovvio, come la tipica protagonista di un qualsiasi puerile romanzetto rosa, ovvero sbavando ancora di più.
Lui sparisce per giorni e lei gli compra un regalo.
La usa solo per il sesso, e lei, di rimando, non fa che aspettare che lui schiocchi le dita per tornare fra le sue braccia.
Più leggevo di Fern e più pensavo che sarebbe stato utile ripubblicare quella sezione di libro con il titolo "Ciò che nessuna donna dovrebbe fare mai".
Inutile dire che, se nel corso della lettura, la mia simpatia per Edwina è stata poca, quella per Fern era pari a zero. 
Per quanto riguarda Charlie e Rowena invece, i figli di Edwina e del suo primo marito, non mi sono fatta una precisa idea. Sicuramente si dimostrano poco carini nei confronti del nuovo arrivato, Lucas, ma essendo dei bambini a loro volta non possono essere colpevolizzati.
Charlie è un personaggio controverso. Vive sentendosi inferiore sia alla sorella che al fratellastro e questa cosa non fa che distruggerlo poco a poco. Si comporta in modo sconsiderato, anche nei confronti di Lucas, eppure nel momento del bisogno non manca di mostrare le sue fragilità proprio di fronte all'acerrimo nemico.
Anche Rowena cade nell'autolesionismo, forse proprio perché pressata dalle alte aspettative e dalle cure amorevoli che la madre riserva solo a Charlie. Lei è, assieme a Lucas, l'altra vittima della tragedia. Edwina designa lei come carnefice, in quanto troppo abituata a chiudere gli occhi di fronte agli errori del suo amato perenne bambino.
Non mi dilungo a parlare del padre di Lucas, Dickie, se non per dirvi che rappresenta in tutto e per tutto il cliché dell'uomo di mezz'età che perde la testa per una donna più giovane, infischiandosene di moglie e figlio.
A questi ultimi invece vorrei rivolgere le mie ultime parole, in quanto le pagine a loro dedicate sono le uniche che hanno risvegliato in me qualche emozione.
Il rapporto Barbara-Lucas è pieno d'amore, con una madre che farebbe di tutto per il suo cucciolo, coprendolo fin troppo di attenzioni, e un figlio che vive nella costante paura che lei possa farsi del male in sua assenza.
Nelle ultime pagine purtroppo Lucas pecca di egoismo e di insensibilità, perché nemmeno lui è esime da colpe. 
In generale penso che il peccato e il perdono siano i veri attori protagonisti di questa storia. Ogni personaggio descritto ha i suoi segreti, ognuno ha il suo aguzzino, ed è a sua volta tiranno di qualcun'altro. 
Un errore dopo l'altro crea una spirale di dolore, rimpianti e rimorsi. Un'unica parola, "scusa", può mettere fine a tutto, anche quando il danno è fatto, anche quando è troppo tardi.

il mio voto per questo libro

mercoledì 19 aprile 2017

Recensione: "Canituccia" di Matilde Serao

Titolo: Canituccia
Autore: Matilde Serao
Illustrazioni: Fabian Negrin
Editore: Orecchio acerbo editore
Collana: Pulci nell'orecchio
Data di pubblicazione: 16 Marzo 2017
Pagine: 40
Prezzo: 8,50 € (cartaceo)

Trama:
Una cascina nella campagna intorno a Napoli e una bambina, Canituccia, che si è distratta e ha perduto di vista Ciccotto, il porcello della sua padrona. Una notte intera a cercarlo, scalza sulla terra gelata, le urla della padrona che la inseguono per i campi. Ritrovato, il maiale da allora la segue legato a una corda. È così che la loro amicizia, giorno dopo giorno, si rinsalda fino al momento in cui accade l’ineludibile... 

Recensione:
In queste poche pagine Matilde Serao racconta e descrive perfettamente la rigida realtà contadina. Una vita rude, aspra e severa come lo sono i suoi protagonisti adulti, persone schive che non lasciano alcuno spazio ai sentimentalismi e alle debolezze dell'animo umano.
La vita è dura e loro lo sanno, c'è da campare, da preoccuparsi per il futuro, lavorare senza sosta e senza troppo ricavo, giusto il necessario per mettere da parte le provviste per l'inverno.
Non possono permettersi sconti né gentilezze e non possono permetterle agli altri, nemmeno ai bambini.
Lo sa bene Canituccia, una bimba di sette anni cresciuta, non dai suoi genitori - che non ha mai conosciuto - ma da due contadini: Crescenzo e sua sorella Pasqualina, una zitella inacidita da una vita priva di amore.
Canituccia, come del resto ogni bambino del vicinato, è costretta ad un'esistenza che sa davvero poco della spensieratezza di cui dovrebbe godere l'infanzia.
Di contro conosce bene rimbrotti e percosse.
È proprio questo che accade quando, a causa di una svista, perde Ciccotto, il porcellino a cui ha il compito di badare. Viene picchiata, insultata, denigrata e minacciata di essere lasciata a perire di fame se non ritroverà il piccolo fuggitivo.
E quando lo ritrova i due divengono inseparabili, escono all'alba e rincasano al tramonto, fanno merenda insieme e insieme crescono.
Ciccotto è per Canituccia un vero amico, il solo.
Con lui parla, scherza e si sfoga, a lui confida e affida sogni e segreti.
Non può immaginare che quel porcellino a cui ha donato il cuore non le è affatto stato affidato con lo scopo di darle compagnia e esserle amico. Non può immaginare che quelle lunghe passeggiate, alla ricerca delle mele più gustose per farlo crescere grasso e forte, non sono che il biglietto per trovarlo bell'e pronto per la macellazione.
Canituccia è una bambina e non può sapere e, proprio per la sua condizione di esser "solo" una bambina, nulla può per sovvertire la sorte del suo amico.
Ed è in quella notte di Natale, tra i mugugni disperati del suo Ciccotto, che Canituccia perde parte della sua innocenza e prende coscienza del mondo e di quello che stare al mondo significa, e in certi casi, costringe a fare.
Gli adulti appaiono spietati, ignoranti, insensibili e probabilmente lo sono, ma la loro non è cattiveria, è deficienza empatica semmai, ma difatti è l'unico modo che conoscono per tirare avanti.
Una storia che parla di solitudine, di amicizia e della vita, che purtroppo è fatta anche di orrore e brutture, che forza a crescere, e spesso lo fa seguendo percorsi spietati.
Un racconto aspro, rude, e forte... sinceramente non so se lo farei leggere a dei bambini, seppur sia una di loro la protagonista della storia. Lo consiglio, però, e senza dubbio, agli adulti, ai quali offrirà interessanti spunti di riflessione.

Considerazioni:
La collana "Pulci nell'orecchio", di cui fa parte questo racconto, ha come protagonisti i bambini e il loro modo di rapportarsi ad un mondo che faticano a comprendere.
Un mondo severo, estraneo e, spesso, assurdo e indecifrabile: quello degli adulti. 
Se ci pensate, difatti, agli occhi dei bambini i grandi devono sembrare davvero esseri folli e sconclusionati.
Matilde Serao, in questo suo lavoro, ci mostra una scheggia d'infanzia, quella della piccola Catinuccia.
Per quanto mi riguarda, letta la sua storia non ho potuto fare a meno di chiedermi come si sarebbe potuta sentire quella bambina. 
Tradita immagino. Ancora più sola e forse anche un po' colpevole per la tragica ed ingiusta sorte del suo amico.
Non mi sento di condannare senza assoluzione i contadini per il loro stile di vita (in campagna funziona così), ma posso condannare senza dubbio i modi.
In specie il fatto che nessuno abbia avuto la sensibilità di pensare che una bambina sola al mondo, passando le sue intere giornate con un animale, potesse affezionarsene. Perché lasciare che fosse proprio lei a vederlo crescere e occuparsene?
La poca considerazione che si ha per i sentimenti dei più piccoli è una delle mancanze del mondo adulto, spesso abituato a trattare i bambini più come oggetti di proprietà che come persone dotate di sentimento e volontà propri.
Canituccia riceve così la doccia d'acqua gelata che spezzerà per sempre il suo mondo di bambina, portandola ad aprire gli occhi verso una visione più reale forse, ma sicuramente più buia e triste.

Ringrazio la Orecchio Acerbo Editore per avermi fornito una copia di questo libro

il mio voto per questo libro

giovedì 13 aprile 2017

The very first page #3


Salve avventori!
Eccoci con un altro appuntamento con "The very first page", la rubrica che ha per protagoniste le dediche, ovvero le frasi d'apertura che dolcemente ci avviano alla lettura di un nuovo libro.
Quella che ho scelto per voi è tratta da "Tutta la magia dei sogni" di Cassie Beasley, un romanzo bellissimo che vi consiglio vivamente di leggere.
Ho adorato la dedica iniziale perché è carica di tenerezza e amore. Parla di quanto sia fondamentale poter contare sulla fiducia e l'appoggio dei propri cari, e di come le persone che tengono a noi siano naturalmente portati a vedere solo il meglio, magari anche i pregi che noi stessi non riusciamo a scorgere.
E ora vi lascio alle splendide parole dell'autrice!

"Per papà e mamma. Quando ero piccola, mi avete detto che avrei potuto fare qualunque cosa.
Non sono più così piccola ora, ma continuate a dirmelo.
Inizio a pensare che ci crediate veramente.
Vi amo per questo."

lunedì 10 aprile 2017

Recensione: "Isadora Moon. Primo giorno di scuola" di Harriet Muncaster

Titolo: Isadora Moon. Primo giorno di scuola
Titolo originale: Isadora Moon Goes to School
Autore:  Harriet Muncaster
Illustrazioni: Harriet Muncaster
Editore: De Agostini
Data di pubblicazione: 13 febbraio 2017
Pagine: 128
Prezzo: 1,90 € (cartaceo) 


Trama: 
Isadora Moon è unica perché è speciale.
La mamma è una fata e il papà, invece, un vampiro. Lei è un po' di tutti e due.
Adora la notte, i pipistrelli e il suo tutù nero; ma ama altrettanto l'alba, le bacchette magiche e il suo Coniglietto Rosa.
Per Isadora è tempo di andare a scuola, ma non sa qual è quella giusta per lei: la scuola delle fate o la suola dei vampiri?

Recensione:
Isadora è una bambina particolare, figlia di una fata e di un vampiro ha ereditato per buona parte le caratteristiche di entrambi i genitori. Una fata-vampira ecco quello che è, come suo padre adora la misteriosità della notte e osservare le stelle, come sua madre ama la luce del giorno e le magie.
Isadora vive spensierata le sue giornate, giocando con il suo inseparabile amico, Coniglietto Rosa.
I due si divertono a svolazzare qua e là, a magiare pane e burro d'arachidi e torte di carota, e a preparare eleganti tè a base di brillantini.
Ma anche per Isadora, come per ogni bambino umano o magico che sia, è venuto il tanto temuto primo giorno di scuola. Ma essendo per metà fata, e per metà vampira, quale delle due scuole dovrà frequentare? 
Una bella domanda che metterebbe alla prova qualsiasi bambino, e per Isadora è venuto il momento di fare i conti con se stessa e con la sua natura. Se prima si riteneva fortunata ed essere un po' di entrambe le cose, ora si sente inadatta, incompleta e inadeguata. Se è un po' fata e un po' vampira questo significa che non è propriamente né l'una, né l'altra cosa? 
Harriet Muncaster si serve di un personaggio di fantasia per affrontare tematiche universali e profonde. Il bivio che vede protagonista la sua Isadora non è che la metafora delle insicurezze di ognuno di noi: il non sentirsi mai abbastanza, mai adeguato e all'altezza.
Isadora, dopo aver frequentato un giorno in entrambe le scuole, si rende conto di non avere tutte le doti necessarie per frequentarle e, a questo punto, avrebbe potuto abbattersi moltissimo, invece capisce che la sua diversità è ciò che la rende unica e speciale.
Isadora trova la sua strada, che non necessariamente è quella più adatta alla sua natura, ma è sicuramente quella che la rende più felice.
Un libro, tenero, dolce, e divertente, ma soprattutto un libro che consiglio per ciò che dice e per come lo dice, perché le lezioni importanti si apprendono meglio se spiegate con un po' di magia.

Considerazioni:
Isadora Moon è stato un acquisto fatto d'impulso.
L'ho scoperto per caso sul sito della De Agostini, poi, forse per sincronicità, l'ho avvistato su Instagram in tutta la sua dolcezza. 
Come potevo non restare conquistata da questa meraviglia tutta rosa? (Lo avrete capito ormai che ho una leggera ossessione per questo colore XD).
Dato il prezzo irrisorio (solo 1.62 € per un libro illustrato!) l'ho subito ordinato su Amazon.
Da questo libro mi aspettavo una storia sicuramente carina, con protagonisti divertenti e buffi, con disegni semplici e deliziosi, ma invece ho trovato molto di più.
Ho trovato una storia che parla di differenze e di discriminazione, ma anche di apertura  e condivisione.
Proprio così, perché il bivio che Isadora si trova di fronte può essere letto con infinite chiavi di lettura. 
Esso nasce, innanzitutto, dalla scelta che i suoi genitori, due esseri appartenenti a due mondi completamente diversi, e se vogliamo opposti, hanno fatto prima di lei.
Un vampiro e una fata che vanno contro la loro evidente diversità per assecondare l'amore che li unisce, non sono che la versione fiabesca di due persone divise, ad esempio, da culture o credi diversi, che scelgono, nonostante tutto, di stare insieme.
Isadora, come milioni di bambini al mondo, non è che il frutto dell'amore di due persone che, credendo in cose differenti, non sanno ancora bene cosa insegnare al proprio figlio. Quale delle due religioni? Quali tradizioni?
Isadora prova entrambe le strade, ma le è subito chiaro che nessuna delle due la rispecchia particolarmente, e notandolo - oltre allo sconforto di non poter definire se stessa, né in una maniera, né nell'altra,  e alla delusione per non essere all'altezza né di uno, né dell'altro ruolo - avverte l'improvvisa paura di deludere i genitori.
Come dirgli che non seguirà la loro strada? Come dirgli che non è come loro?
Quando Isadora incontra i bambini umani, torna a sentirsi speciale. Loro sono tutti diversi per lei, e lei lo è per loro. Questo la fa sentire parte di un gruppo: è come quei bambini ma, allo stesso tempo, è unica.
Però, quando arriva il momento  di confessare ai genitori la sua scelta, sono loro - quelli che per primi si sono dimostrati tanto aperti da mettere da parte le loro diversità per stare assieme - ad assumere un atteggiamento discriminatorio.
Con gli umani no! Che schifo! 
È la piccola Isadora qui a dare una bella lezione di maturità e apertura mentale, facendo notare ai genitori quanto scorretti e ingiusti siano i loro pregiudizi.
Isadora mostra come la gioventù, se educata in tal senso, sia facilmente bendisposta al cambiamento e alla condivisione.
Ci si può aspettare di più da un libro? 
C'è un modo più adatto e ugualmente carino per insegnare ai bambini l'importanza, la bellezza e il valore della diversità?
Ci potrebbe anche essere, però sicuramente tra quelle pagine non troverete raccontato dell'adorabile e dolcissimo Coniglietto Rosa! Dunque non sapete cosa vi state perdendo U_U

Curiosità:
Avete uno smartphone o un tablet? De Agostini propone nel suo iStorie una raccolta dei migliori libri e giochi per bambini dai 4 agli 11 anni. Tra questi, indovinate un po', c'è anche un'app dedicata ad Isadora Moon.
L'app vi permette di personalizzare le vostre foto e di sottoporvi ad un test per vedere quale parte spicca più in voi... 
Fata o vampiro? Cosa è scritto nel vostro destino?

il mio voto per questo libro 

venerdì 7 aprile 2017

Recensione: "L'albergo sulla baia di Mulberry" di Melissa Hill

Titolo: L'albergo sulla baia di Mulberry
Titolo originale: The hotel on Mulberry Bay
Autore: Melissa Hill
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 9 marzo 2017
Pagine: 383
Prezzo: 19,00 € (cartaceo) 9,99 € (ebook)


Trama:
Elle Harte è una giovane architetta di successo, vive a Londra, e ormai da tempo ha lasciato l'Irlanda e il paese dove è nata, Mulberry Bay. Sua sorella minore Penny, invece, non ha mai abbandonato quel piccolo, idilliaco villaggio a picco sul mare, dove tutti si conoscono e il cui cuore pulsante è da decenni il Bay Hotel, lo storico albergo gestito proprio dalla loro famiglia, le cui sale hanno ospitato un'infinità di feste ed eventi. Quando però Anna, la loro gentile e infaticabile madre, muore, tutto è destinato a cambiare. 
Elle torna a casa e ad aspettarla trova i luoghi e gli affetti di una vita, un amore interrotto, ma anche spiazzanti sorprese e impreviste rivelazioni. 
L'antico hotel è in decadenza e non se la passa affatto bene e, senza Anna a occuparsi di tutto, loro padre Ned sembra perso nei ricordi scanditi dalle canzoni dei suoi amati Beatles. Elle dovrà allora affrontare spettri e delusioni del passato per ricomporre i pezzi del presente e tentare di salvare le sorti del Bay Hotel. Ma da dove incominciare? Come restituire la magia di un tempo a quell'albergo in rovina? 

Recensione:
Il Bay Hotel è il fulcro attorno al quale si sviluppa questo romanzo, il centro della vita a Mulberry e il luogo che ha assistito allo sbocciare di mille e mille storie, che ha consacrato la nascita di amori, che ha visto coronarsi sogni di vita, l'avverarsi di obiettivi e traguardi.
Il romantico e decadente edificio, posto a picco sul mare, svolge il ruolo di vero protagonista, una presenza a cui non solo la famiglia Harte, ma l'intero paesino è legato da un affetto profondo e indissolubile.
Perché quando la vita scorre e il tempo passa, l'unica cosa che resta sono i ricordi, e i più belli, quelli indimenticabili, sono tutti lì, tra quelle mura rivestite da carta da parati ormai consunta.
Anna, moglie di Ned e madre di Elle e Penny, è la persona che gli era maggiormente legata, il cuore pulsante della struttura, quella che gli ha dato vita, rendendolo molto più che un semplice albergo, ma una casa, una parte fondamentale e speciale della vita di chiunque avesse avuto il piacere di soggiornarvi.
Quando Anna viene a mancare, le vite dei suoi cari, pur avendo preso strade diverse,  tornano a unirsi al Bay Hotel.
Non è tanto per Anna e per la sua improvvisa assenza, che la famiglia torna ad essere tale, ma per salvare l'albergo e i ricordi ad esso connessi. O meglio è l'albergo probabilmente a salvare la famiglia.
L'impresa di riveder risplendere l'hotel, vederlo tornare agli antichi fasti e salvarlo dalla bancarotta dà modo agli Harte di ritrovarsi, superare gli ostacoli che l'orgoglio e i piccoli segreti avevano, con gli anni e i silenzi, creato.
Melissa Hill ha scritto una storia che definirei perfettamente estiva.
Leggera, malinconica, dotata dell'immancabile lieto fine, ma probabilmente eccessivamente banale e prevedibile.
I protagonisti non suscitano grande simpatia o empatia, fatta eccezione per Anna, che purtroppo il lettore non ha tempo di conoscere, tutti gli altri sembrano sempre remare a sfavore di se stessi.
I loro comportamenti sono esasperanti, irrazionali, infantili e sciocchi, ma la cosa più deludente è stata la descrizione dei sentimenti che, siano di dolore per la morte di una madre, di paura per l'angoscia di perdere tutto, o di dolore per un amore represso per anni, non sembrano essere raccontati con sincerità.
In fin dei conti si può definire una storia carina, una lettura poco impegnativa da portare in vacanza, ma non molto di più.

Considerazioni:
Comincio col dire che questo libro sembrava avere tutti gli elementi per piacermi molto: l'Irlanda come scenario, un caratteristico e pittoresco paesino sul mare, un albergo da riportare in vita, una famiglia da riunire... tutto faceva supporre a qualcosa di intenso e indimenticabile, invece il tutto si è perso in uno svolgimento banale, prevedibile, poco credibile e decisamente poco emozionante.
Il libro non è brutto per carità, è carino, si legge bene (la lettura non mi ha mai annoiata), però arrivata oltre metà mi sono resa conto di quanto tutto mi apparisse scontato e allo stesso tempo forzato, e come nulla, alla fine della fiera, mi stesse emozionando... e dire che sono anche un tipo che si emoziona facilmente (chiedete pure conferma a Little Pigo XD).
E siccome non mi piace lanciare accuse senza motivarle sono costretta a fare degli esempi.
Anna è morta, lei era il cuore pulsante dell'albergo, ok, ma la Hill commette l'imperdonabile errore di scordare che Anna era, prima di tutto, una moglie e una madre molto amata, almeno è questo quello che ci dice. Appunto, ce lo dice, ma non ce lo fa sentire... non come dovrebbe.
Tutti, dal marito Ned, alle figlie Elle e Penny, agli abitanti di Mulberry, fanno quello che è possibile per salvare l'albergo, lo fanno per lei, certo, ma dov'è il dolore per la perdita di una madre? Dov'è lo strazio? La sofferenza? 
In pochi giorni la morte di Anna passa completamente in secondo piano e il dramma principale per gli Harte è la precaria condizione del Bay Hotel, non il fatto che abbiano perso la persona più importante della loro vita.
Per non palare di Elle che già dal suo arrivo in paese è presa dai romantici film mentali con la sua vecchia fiamma di quasi vent'anni prima e, solo pochi giorni dopo il funerale, è in soffitta a sbaciucchiarsi.
Le situazioni poco coerenti sono molte, e non mi metterò ad elencarle tutte, vi basti sapere che i protagonisti paiono costantemente complicarsi inutilmente la vita.
Anche qui mi occorre portare un esempio: ho trovato veramente incomprensibile il compito che Penny si dà, di rintracciare la vecchia collezione paterna degli album dei Beatles, non il desiderio, perché se si fosse fermato al mero desiderio l'avrei compreso, ma il fatto che si metta concretamente a realizzarlo.
Insomma, la sua famiglia è piena di debiti, oltre che di problemi, non hanno denaro per ristrutturare l'albergo, probabilmente lei si ritroverà presto a non avere nemmeno un lavoro, eppure le salta in mente l'idea di riuscire in quell'impresa folle, titanica e dispendiosa.
Ma il peggio non è questo, perché ad una ragazza, vinta dai rimorsi e dal desiderio di poter far qualcosa di bello per suo padre, si può giustificare qualche pensiero insensato, il peggio è che chi le sta attorno, anziché farla rinsavire, e allontanarla da quella strada, l'assecondi e aiuti.
Un attimo, ho per caso detto che il peggio era questo? 
No, scusate, cancellate quell'affermazione, il peggio è che quando Ned, suo padre, viene a conoscenza di quello che sua figlia sta facendo per lui, anziché fermarla, invitarla a desistere, l'aiuta nell'impresa.  ╯°□°)╯︵ ┻━┻
Ho trovato molto irritante il fatto che questa particolare famiglia, in queste particolari circostanze (gli è da poco morta la moglie/madre, ricordiamolo), potesse considerare davvero così importante ritrovare degli stupidi dischi e spendere così tanti fondi ed energie per rintracciarli.
Ned, nella mia versione di "quello che avrei voluto facesse", avrebbe dovuto dire che quei dischi erano il passato, che le sue figlie erano il presente e che li avrebbe venduti altre mille volte per la sua famiglia. 
Questo è solo uno dei comportamenti che non ho concepito o che mi hanno fatto disistimare i protagonisti di questa storia.
E fidatevi meglio che non inizi a parlare della storyline tra Elle e Rob, e di quanto ho trovato snervante i comportamenti contraddittori dei due, tutto quell'inutile allungamento di brodo quando sin dall'inizio era palese come sarebbe andata a finire.
In definitiva, Melissa Hill, ha scritto una storia che poteva essere davvero un bel romanzo, ma che ha, evidentemente, preferito trasformare in una storia da "sotto l'ombrellone"...  probabilmente conscia che ai suoi lettori basti e avanzi così, dunque, perché sforzarsi di più?

Ringrazio la casa editrice Rizzoli per averci inviato una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

giovedì 6 aprile 2017

The very first page #2


Eccoci con il secondo appuntamento con "The very first page", che a dirvi la verità avrebbe dovuto essere il primo, dato che la dedica di cui vi parlo oggi è quella che ha ispirato l'idea stessa di questa rubrica.
Proprio così, le parole con cui Elisabetta Gnone apre il primo capitolo della sua trilogia "Fairy Oak" sono talmente belle che, quando le ho lette, ho pensato che non dovevano e non potevano assolutamente passare inosservate.
Serviva qualcosa che rendesse omaggio e onore alle frasi d'apertura dei libri, soprattutto quando sono così magiche, soprattutto quando sono così poetiche da riuscire a regalare, già dalla primissima pagina di un libro nuovo, la prima grande emozione.

"A Will che ama leggere sulla panchina all'ombra del melo mentre tira la palla a Nani
E a Nani che ha imparato ad aspettare che Will finisca la pagina"


Questi versi hanno fatto proprio questo. 
Leggerli mi ha regalato la prima delle tante belle sensazioni che mi ha poi donato la lettura di "Fairy Oak - Il segreto delle gemelle".
Il pensiero con cui Elisabetta Gnone dà inizio alla sua storia, non si limita a dedicare freddamente il frutto del proprio lavoro a qualcuno, ma suggerisce un'immagine, invita a figurarsi in mente l'incantevole scena descritta.
Non so chi siano Will e Nani, potrebbero essere fratello e sorella, o un bambino con la sua cagnolina, non lo so... vorrei saperne di più, ma saperlo non cambierebbe la straordinaria bellezza della scena.
Certo, confesso, avrei voluto sapere di più di loro, avrei voluto un intero libro su di loro! XD
Così mi sono sfogata creando questa rubrica XD
Will e Nani, chiunque voi siate, sappiate che questa rubrica nasce specialmente per voi ♥

lunedì 3 aprile 2017

Recensione: "Dov'è Alice?" di Stefania Siano

Titolo: Dov'è Alice?
Autore: Stefania Siano
Illustratore: Paola Siano
Editore: Lettere Animate
Data di pubblicazione: 31 maggio 2016
Pagine: 116
Prezzo: 10,00 € 

Trama:
Arianna vive a Città dei Sogni e adora sua sorella Alice, una bambola di porcellana capace di parlare e pensare come un essere umano che suo padre ha costruito per lei quando era ancora una bambina. 
Un giorno Alice scompare misteriosamente, suo padre non le dà alcuna spiegazione e non sembra interessato a cercare la sua sorellina, ma Arianna non si dà per vinta: assieme ai suoi amici Lea e Leo e al suo pupazzo di infanzia, il Signor Bianconiglio, decide di partire alla ricerca di Alice; per farlo dovrà attraversare il caos di Paese Sogni d'Oro, il grigiore di Periferia Dormiveglia, la Discarica dei Ricordi e il Distretto Risveglio. 
Arianna dovrà capire da sola qual è la strada giusta da seguire: dare retta al Dottor Z, un individuo mascherato, vestito da prestigiatore, che cammina sui trampoli e che sembra sapere tutto di lei o fidarsi dei consigli del Signor Bianconiglio? Arianna non lo sa, ma l'unica cosa che può salvarla è trovare una risposta alla domanda: "dov'è Alice?"

Recensione:
È da un po' di tempo che desideravo leggere questa storia, in parte perché incitata dalle molte recensioni positive scovate in giro, e in parte perché incuriosita dalla copertina, una carinissima illustrazione opera della sorella dell'autrice, Paola Siano.
Quando ho iniziato la lettura, non sapevo cosa aspettarmi (ho evitato di leggere la trama), e già dalle prime pagine sono stata catturata dalla storia.
Quella che ci viene descritta è una bambina stanca di passare le giornate da sola, che ha come più grande desiderio l'avere una compagna per la vita, una complice, qualcuno da coccolare e proteggere: una sorella.
I genitori assecondano il suo desiderio, donandole una bambola di porcellana che per qualche strana ragione parla, pensa e si comporta come una persona vera: Alice.
Lei rappresenta tutto per Arianna, la nostra protagonista, che improvvisamente si trova senza la sua più cara alleata, e cosa peggiore, senza riuscire a ricordare come e perché.
Il suo compito sarà ritrovare la strada, fare luce nei ricordi, riabbracciare il suo passato.
Non sarà però sola in questa missione, potrà contare sull'aiuto di due compagni di scuola nonché migliori amici, i gemelli Lion, e del suo vecchio peluche, il Signor Bianconiglio. E ovviamente su noi lettori che seguiremo la sua avventura passo dopo passo, indizio dopo indizio, alla ricerca della verità.
Il cammino non sarà semplice, in quanto dislocato in varie località e in diversi piani temporali.
Attraverso alcuni rapidi accessi alla banca della memoria di Arianna, avremo modo di ripercorrere solo qualcuno dei tanti momenti trascorsi assieme dalle due sorelle, e di osservare quindi il loro rapporto.
E devo dire la verità, queste parti, sebbene non molto numerose, mi hanno coinvolto totalmente. Nonostante il mondo fantastico che Stefania Siano è riuscita a creare, e di cui vi parlerò a breve, nulla è paragonabile alla semplicità dei gesti d'affetto e delle tenere marachelle delle due ragazzine.

«Guarda la signora Lion» mi fa notare Alice. Siamo al parco sedute sulla panchina, la mamma è al bar con la donna che sfoggia il suo tailleur color pesca, un paio di occhiali da sole a forma di occhi di gatto, una borsa che sembra una ventiquattrore e un paio di tacchi vertiginosi. Al collo ha un semplice foulard e il tintinnio che nasce dal movimento delle sue braccia è causato dallo sbattere dei molteplici bracciali preziosi, che avvolgono i polsi esili. 
«Veste sempre in tinta.» 
«Poi ha gli stessi vestiti» constata mia sorella che lecca con goduria il cono gelato alla nocciola e cocco. 
«Già, la mamma spesso la critica.» 
«Potremo fare irruzione a casa sua e aprire l’armadio» ridacchia Alice. 
«Sì, vedremo tutte giacche e pantaloni chiuse in buste di plastica.» 
«Che compongono i colori dell’arcobaleno» continua esaltata, ma la sua euforia fa cadere una pallina di gelato dal cono che repentinamente afferro, mettendo le mani a coppa. 
«Freddo, freddo, freddo, freddo, freddo» mi lamento facendo balzare la palla ghiacciata da un palmo all’altro. 
«Fermati o finirai per scioglierlo!» 
«Certo che sei una grande insensibile, non solo ti ho salvato la pallina di cocco mi devo sentire anche criticare.» 
«Ferma che lo rimetto sul cono.» 
Nel fare quest’operazione qualcuno ci viene a sbattere contro e noto, su un immacolato vestito color pesca, una chiazza bianca. Alzo gli occhi al cielo guardando il volto sconvolto e sull’orlo di una crisi di pianto della signora Lion, mia madre mi si affianca rimproverandomi anche se si è trattato di un incidente. 
«Lascia stare cara» dice la donna tentando con tutte le forze di trattenere il tremore visibile della mascella. 
«È stata colpa mia. Ero troppo presa a chiacchierare con te e non le ho viste.» 
Alice tenta di trattenere una risata e io la guardo in malo modo, immaginando di affogarla in una vasca di gelato.

Le scene che le vedono protagoniste sono delicate ma vivide. Sono spontanee, vere.
Mentre si legge pare ovvio che chi ha scritto questo libro sa perfettamente che il legame della sorellanza è unico e indissolubile, difficile da spiegare a chi non lo prova sulla propria pelle.
È più di un'amicizia, anche della più intensa, significa avere una parte di te, separata e dislocata in un altro corpo. 
Questo risulta evidente dal modo in cui Arianna parla di Alice, e dallo stato d'animo in cui versa da quando l'ha persa.
Lei è ciò che ha di più importante al mondo, ed è l'unica che può ricondurla a ritrovare se stessa.
E parlando invece dell'estro creativo, come accennavo prima, questo di certo non manca.
Stefania Siano ha realizzato un bel dipinto, formato da pennellate distinte e complementari.
Con Arianna ci spostiamo in quartieri diversi, tutti definiti da caratteristiche specifiche: contraddistinti da colori differenti, e talvolta da non colore, da uno stile ultramoderno in linea generale fino ad arrivare, in alcuni casi, ad una sobria normalità.
Tuttavia mi duole confessarvi che, pur riconoscendone la fantasia, non sempre sono riuscita ad apprezzare ciò che mi veniva descritto.
Nelle prime pagine, come vi ho detto poc'anzi, ci viene raccontata la storia di una comune famiglia ma, d'improvviso, nel secondo capitolo, siamo catapultati in una realtà futurista che inizialmente non sono riuscita a spiegarmi.
I ricordi che avevano come oggetto Arianna e Alice hanno rappresentato per me quella boccata di ossigeno e normalità in una storia parecchio stravagante.
Il brusco spostamento tra le due realtà (passato e presente) mi ha generato confusione, come anche alcuni dettagli palesatesi nel corso della lettura, e difficilmente comprensibili.
Per fortuna tutto, o quasi, ha trovato una spiegazione a fine libro. 
Inoltre questo costante punto interrogativo credo sia uno degli effetti voluti. Come il più famoso "Alice nel paese delle meraviglie", credo che anche il romanzo della Siano volesse indagare il mondo dei pensieri e la sua assurdità. 
Inoltre troviamo alcuni riferimenti all'opera di Carroll, che gli amanti del classico, non potranno non apprezzare (basti pensare alla presenza dei due gemelli, della preside della scuola Rose e del giardino delle rose, del Bianconiglio o dell'inquietante Dottor Z, tutti personaggi che ricordano altrettante figure del paese delle meraviglie).
In generale, a parte qualche errore di battitura (purtroppo anche nel titolo di uno dei capitoli), non credo che questo libro abbia molti difetti.
È ben scritto, presenta una buona dose di creatività, ci trasporta nel magico mondo dei sogni per riportarci alla realtà, quando meno ce lo aspettiamo.

Considerazioni:
Come vi dicevo prima, ho adorato il rapporto che lega Alice e Arianna, avrei voluto conoscere molto più di loro, sapere più aneddoti della loro vita assieme. I pochi che ho letto però, mi hanno fatto emozionare, perché carichi di tenerezza, istinto di protezione e amore.

Seduta sul lettino medico, con sguardo smarrito, ha sempre una flebo al braccio, ma appena mi vede, sorride e pretende di giocare. 
Ogni volta che sto con lei, i minuti volano e mio padre mi richiama per tornare a casa. 
Ogni volta che attraverso quella bruttissima porta della stanza ospedaliera, gli occhi di mia sorella si adombrano.
Ogni volta, chiedo a papà quando potranno tornare a casa Alice e la mamma, ma non ho mai una risposta. 
Ogni volta, mi infilo sotto le coperte e tento di prendere sonno, aspettando il pomeriggio successivo per andare a trovare di nuovo mia sorella e quando non riesco ad addormentarmi, mi affaccio alla finestra sperando di vedere una stella cadente.

È stato un peccato dover dire addio a questi momenti di semplicità per tuffarmi nel mondo fantastico e surreale di Città dei Sogni.
Qui abbiamo modo di conoscere i migliori amici di Arianna, ovvero i gemelli Leo e Lea. I loro personaggi sono stereotipati, sempre troppo occupati a litigare tra loro e a riempirci di battibecchi senza senso, per poterci offrire anche la benché minima emozione.
Purtroppo non posso dire di aver provato simpatia per loro, come del resto anche per il papà di Alice, sempre sfuggente, incapace di affrontare la realtà e di colmare i dubbi della propria figlia.
Il suo comportamento mi è parso strano e fuori dalla realtà, come molte altre cose del resto.
Il mondo creato dall'autrice è pregno di comportamenti eccentrici o poco chiari.
Tipo se Alice è una bambola perché si ammala e perde peso? 
E se ha sempre avuto dieci anni perché è sempre stata, per tutti, la sorellina minore di Arianna?
E se era parte integrante della famiglia perché nessuno si cura di lei dopo la sua scomparsa?
E come mai è una bambola così speciale, in tutto e per tutto simile ad una bambina normale?
Alcuni di questi particolari, ed anche alcun atteggiamenti raffigurati, mi hanno infastidito, perché rimangono troppo nel vago e risultano poco naturali, altri invece mi hanno colpito per l'originalità.
È il caso, ad esempio dei tartabus e dei leprobus, i mezzi pubblici della Periferia Dormiveglia e della Città dei Sogni: i primi gratuiti ed eccessivamente lenti, in quanto costituiti effettivamente da un viaggio sul dorso di una tartaruga, e i secondi decisamente più veloci, efficienti e costosi.
Oppure il caso della bottega della Vecchia Sdentata, la quale si vede costretta a vendere risate allo zuccherificio, pur di avere il necessario per fabbricare dolci e caramelle, o dello stesso zuccherificio che, sfruttando i bisogni e la dipendenza degli abitanti di Periferia Dormiveglia, non si fa problemi a rendere tutti così tristi e desolati.
In realtà, tornando al libro, posso dirvi che anche i dettagli che non sono riuscita ad apprezzare durante la lettura, sono risultati più che appropriati una volta arrivata a conclusione. 
Anche i comportamenti non proprio naturali dei gemelli Lion e del papà della protagonista, trovano una loro spiegazione nell'ultimo capitolo, anche se non vi dirò quale sia.
Quindi sì, alla fine dei conti, consiglierei senza dubbio questo romanzo, che riesce a coniugare una storia fatta di buoni sentimenti, di amicizia e amore, ad un'altra fatta di grattacieli, caroselli, viaggi nello spazio e nel tempo.

il mio voto per questo libro