giovedì 28 novembre 2019

Recensione: "Wildwitch 4. Il risveglio di Bravita" di Lene Kaaberbøl

Titolo: Wildwitch 4. Il risveglio di Bravita
Autore: Lene Kaaberbøl
Editore: Gallucci Editore
Data di pubblicazione: 7 marzo 2019 
Pagine: 184
Prezzo: 13,90 € (cartaceo) 6,99 € (ebook)

Trama:
Se fosse dipeso da sua madre, Clara non sarebbe mai diventata una Wildwitch. Il mondo selvatico è un posto pericoloso, soprattutto ora che Bravita Sanguinella sta per evadere dalla prigione in cui è stata rinchiusa per quattrocento anni…
Il risveglio di Bravita è il quarto volume della serie “Wildwitch”, con protagonista Clara, il suo amore per gli animali, e il magico mondo delle streghe selvatiche.

Recensione:
Rieccoci in compagnia di Clara, la nostra piccola strega selvatica che sta imparando piano, piano a prendere confidenza con i suoi poteri, sebbene questa crescita non sia avvenuta nella maniera più piacevole per lei. Ha scoperto di essere una strega da pochissimo tempo e già ha dovuto vedersela con situazioni molto pericolose.
L’avevamo lasciata in “La vendetta di Kimera” (terzo capitolo della saga scritta dalla Kaaberbøl), dove ha dovuto vedersela nuovamente con la terribile strega, e sbarazzarsi dell’affamato, una terribile creatura che ha tentato di prendere possesso di lei.
Ora Clara deve affrontare la notte dei tredici anni, la notte più importante per una strega selvatica, la notte in cui dovrà prestare aiuto alla richiesta di un animale selvatico in cerca di soccorso.
Ma non sempre questa ricorrenza passa senza lasciare cicatrici, lo sa bene Mila, la mamma di Clara. Come ogni strega anche lei ha dovuto affrontarla per il suo tredicesimo compleanno, ma quella volta le cose non andarono come previsto, infatti fu proprio quella famosa notte che avvenne per lei qualcosa di tanto terribile da spingerla a mettere fine alla sua vita da giovane strega.
Ora che tocca a Clara, Mila è impietrita al solo pensiero, è proprio per questo, per i ricordi che quella notte le ha costretto a portarsi per sempre dentro, che Mila è stata sempre contrariata al fatto che Clara divenisse una Wildwitch.
Ma il destino... o chi per esso, muove i fili in maniera sapiente, e Clara si vedrà nuovamente costretta a vedersela con qualcosa di più grande di lei. Bravita desidera svegliarsi dal suo sonno secolare e presto potrà avere finalmente la sua occasione per vendicarsi dell’erede della sua acerrima nemica.
Un quarto libro che nuovamente ci trasporta in mille avventure e che ci fa conoscere meglio il passato dei nostri protagonisti, aprendo finestre sui dolorosi ricordi della signora Ask, verso un passato che non può essere dimenticato.
E Clara, la nostra sfortunata protagonista, si ritroverà ad essere attaccata su più fronti, lottare con nemici assetati di potere, ed essere il bersaglio di bieche e sconsiderate vendette.
Un capitolo ricco di colpi di scena, personaggi nuovi che si intrecciano e arricchiscono le trame dei nostri protagonisti, personaggi già noti di cui conosciamo qualcosa in più e, ovviamente, la piccola Nientediniente, che qui (nonostante appaia sempre troppo poco per i miei gusti) ricopre il posto della vera eroina della storia.
Una storia che non si conclude con un lieto fine, anzi non si conclude affatto, tutto è in sospeso in attesa del capitolo successivo (che fortunatamente sta per arrivare).
Non voglio aggiungere altro, se non invitarvi a leggere questa saga che saprà stupirvi, commuovervi e regalarvi più di un'emozione.

Considerazioni:
Avevamo lasciato Clara dopo l’ultima pericolosa avventura solo qualche mese fa e rieccola ad affrontare un altro pericolo.
O meglio, di norma la notte dei tredici anni dovrebbe essere un momento meraviglioso per una giovane strega (certo la signora Ask non sarebbe affatto d’accordo con questa mia affermazione), ma per “Clara topolino”, lo sappiamo bene, nulla va mai come dovrebbe andare, già dai tempi del suo tumultuoso apprendistato.
E qui, in questo quarto capitolo della saga, i guai sembrano proprio non mancare.
La saga con il procedere dei libri diventa sempre più cruenta e i nemici più crudeli, e in questo capitolo il finale lascia davvero con un senso di incertezza e inquietudine.
Cosa ne sarà di zia Isa, della signora Pommerans, del signor Malkin, di Shanaia e di Maestro Millaconda?
Clara è lasciata sola a se stessa, anche se, se c’è una costante in questa saga, è proprio il fatto che la ragazzina sin dal principio (quando era una strega assolutamente inesperta) è stata sempre lasciata sola a combattere nemici spietati e potenti, senza che nessuno tra i maghi e le streghe esperte (compresa sua zia Isa, che in teoria avrebbe dovuto proteggerla), si sia mai occupato di tenerla al sicuro, o almeno aiutarla.
Se c’è una vera eroina in questo capitolo della storia, una creaturina che veramente giunge in soccorso di Clara, e che più di una volta la toglie dagli impicci, è la piccola chimera fallata Nientediniente (nonché il mio personaggio preferito in assoluto).
Penso che questo quarto capitolo possa essere definito un ponte tra ciò che è stato e ciò che sarà, difatti non ci dà risposte, ma solo tantissime domande.
La notte dei tredici anni che, in teoria, avrebbe dovuto essere la protagonista del libro, non si è conclusa, lo scontro con Bravita ha lasciato conseguenze inspiegabili che non sappiamo se e come troveranno soluzione, e Gatto... be’ non so come definire ciò che gli è accaduto (non sono sicura di averlo compreso, a dire la verità).
Ecco se “La vendetta di Kimera” mi aveva commossa e toccata con la storia della piccole Kimmie e Maira, questo capitolo mi ha lasciata con una grande sete di risposte, e una forte curiosità.
Certo, anche qui non mancano scene e racconti strazianti, come ad esempio quello della signora Ask che con grande turbamento ci racconta la perdita della sua cara amica Lia, ma l’autrice non indugia troppo su questa storia, che invece avrebbe potuto approfondire e rendere ancora più straziante.
Come straziante è stato il dolore della signora Ilja che l’ha evidentemente portata a perdere la ragione e a desiderare una vendetta indirizzata verso il nemico sbagliato, vendetta che non le avrebbe comunque mai restituito ciò che le è stato portato via.
Insomma una trama fitta di intrighi, e situazioni rimaste in sospeso per anni che aspettano la loro degna conclusione.
Non vedo l’ora di leggere il capitolo successivo per scoprire come evolveranno le vicende, e in quali altre terribili situazioni tornerà a trovarsi Clara... ah ovviamente non vedo l’ora di poter rileggere anche delle mia preferita, Nientediniente a cui spero, prima o poi, qualcuno si ricordi di dare un vero nome, perché per me lei è Tuttoditutto ❤️

Recensione capitoli precedenti:
♥ "Wildwitch. Il risveglio di Bravita" n°4

Ringrazio Gallucci per avermi mandato una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

mercoledì 27 novembre 2019

Recensione: “Le grandi storie Horror. Nel castello di Dracula” di N.M. Zimmermann

Titolo: Le grandi storie Horror. Nel castello di Dracula
Autore: N.M. Zimmermann
Illustrazioni: Caroline Hüe
Editore: Gallucci Editore
Data di pubblicazione: 21 novembre 2019 
Pagine: 136
Prezzo: 7,90 € (cartaceo) 3,99 € (ebook)


Trama:
Adam ha una grande passione per le letture da brivido. Sulla bancarella di una vecchia signora con i capelli rosso fuoco trova un libro misterioso intitolato "Le grandi storie horror". Appena comincerà a sfogliarne le pagine, sarà catapultato nel castello del più celebre dei vampiri: il conte Dracula!

Recensione:
Adam è un ragazzino appassionato di libri e storie dell’orrore. La sua passione si vede a prima vista, il suo look non mente: magliette con stampate frasi tipo “Zombie più bello del mondo”, scarpe a forma di pipistrello, zaino da vampiro... non passa certo inosservato.
E questo suo essere particolare non lo ha aiutato a farsi degli amici, né a scuola né ai numerosi corsi a cui i genitori l’hanno iscritto, nella vana speranza di vederlo socializzare e legare con qualcuno.
Per tutti Adam è il ragazzino strambo da deridere e tenere alla larga e, anche alla lezione di piscina (l’ultimo degli svariati corsi scelti dai suoi genitori), non si risparmiano nel farlo sentire fuori luogo e inadatto, un pesce fuor d’acqua... in tutti i sensi.
Infatti, dopo aver subito gli ultimi schiamazzi alle sue spalle, Adam decide di abbandonare di nascosto la lezione e tornarsene a casa.
Ed è proprio sulla strada di casa che il ragazzo farà l’incontro che gli cambierà la vita.
In un mercatino delle pulci viene colpito da una bancarella di libri gestita da una buffa e anziana signora dai capelli rossi e un enorme cappello di paglia, che per soli due euro e qualche cianfrusaglia, gli vende un’edizione pregiata di un raro e antico libro, intitolato “Le grandi storie horror”.
Per Adam, appassionato di libri dell'orrore, questo è un vero e proprio colpo di fortuna in una giornata no, anche se, a dirla proprio tutta, quella strana signora sembrava quasi non veder l'ora di sbarazzarsi del vecchio volume...
Tornato a casa, Adam, con il suo coniglio Oscar, si piazza davanti al libro e inizia a sfogliarlo, ma si rende conto ben presto che quello non è un libro come quelli a cui è solitamente abilitato.
Ad un tratto tutto si fa buio, avvolto in una nuvola di denso fumo nero, che una volta dissoltasi, rivela una realtà ben diversa da quella in cui Adam e Oscar hanno sempre vissuto.
Il ragazzino ci metterà un po’ a capire che si ritrova catapultato nel più famoso romanzo di vampiri che la storia conosce, ovvero “Dracula” di Bram Stoker. E il suo obbiettivo sarà, ovviamente, sfuggire alla mire del temibile vampiro e, in qualche modo, fare ritorno a casa.
Ad aiutarlo Oscar, il suo coniglietto sì, che in questa nuova realtà è in grado di parlare!
Ma la storia che si presenta davanti agli occhi dei nostri due sfortunati avventurieri non è proprio identica all'originale, c’è qualcosa che non quadra... qualcuno sta intervenendo per cambiare la storia! Cosa succederà se Jonathan Harker (l’eroe del romanzo di Stoker) non riuscirà a fuggire dal castello del Conte? Cosa accadrà alla storia se il suo svolgimento dovesse mutare?
Il compito di Adam è proprio far sì che tutto resti com'è, perché le storie che conosciamo non sono importanti solo per lui, ma per il nostro intero patrimonio culturale.
Il Dracula di Stoker è diventato un cult e, come tutti i cult, ha dato vita ad una vasta gamma di fenomeni che ruotano attorno alla sua figura e che, nel corso degli anni, si sono ispirati ad essa: film, serie tv, giochi a tema, costumi, maschere ecc. È diventato parte del nostro immaginario collettivo e se, come accade nel racconto della Zimmermann, la storia dovesse essere messa in pericolo, dovesse cambiare o addirittura essere cancellata, con essa sparirebbe anche una parte fondamentale di ciò che conosciamo.
È da tali premesse che la Zimmermann crea queste storie originali con protagonista un ragazzino che, appassionato di storie dell’orrore, riceve dai Maestri dei libri il potere di viaggiare attraverso dei portali e proteggere le storie dai sabotaggi del Malautore.
Una storia davvero carina (anzi una serie di storie, perché questo è il primo volume di una serie), che oltre a trasportare i giovani lettori in avventure divertenti, li porterà anche a voler conoscere i classici della narrativa horror, incuriosirli e creare in loro il desiderio di conoscere quelle storie accennate qui.
Io ad esempio non ho ancora letto Dracula, e anche se ho sempre desiderato farlo, il mio desiderio dopo aver letto questa lettura, è aumentato.
Inoltre l’autorice, grazie alle conoscenze del suo protagonista, mette in evidenza le differenze tra la versione originale (quella scritta dalla penna di Stoker nel suo romanzo), e i vari rifacimenti che la storia ha subito nelle sue diverse trasposizioni.
Insomma un modo davvero curioso per permettere ai giovani di interfacciarsi con i classici che ameranno da adulti.
Il volume è illustrato dalle tavole dell’illustratrice Caroline Hue e presenta i caratteri ad alta leggibilità Easyreading, partecipando al progetto dyslexia friendly, per la lettura facilitata per tutti.

Ringrazio Gallucci per avermi omaggiato di una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

lunedì 18 novembre 2019

Recensione: "Mia cugina Rachele" di Daphne Du Maurier

Titolo: Mia cugina Rachele
Autore: Daphne Du Maurier 
Editore: Neri Pozza
Data di pubblicazione: 21 settembre 2017
Pagine: 383
Prezzo: 17,00 € 

Trama:
Philip Ashley è convinto di avere molti validi motivi per odiare Rachele, vedova dell’amato cugino Ambrose, venuto a mancare in circostanze poco chiare, nella lontana Firenze. Quando la bellissima e misteriosa Rachele lo raggiunge in Cornovaglia, tuttavia, Philip si scopre incapace di resistere al suo fascino. 
Ma chi è davvero Rachele? Una donna innamorata e sofferente o un’arrampicatrice sociale che cerca soltanto di impadronirsi della sua ricchezza, come ha già fatto con il defunto marito?

Recensione:
Nelle campagne inglesi della metà dell'Ottocento si snoda una storia di intrighi, seduzione, sospetti e segreti, che vede al centro di tutto la presenza della conturbante e ambigua Rachele, trentacinquenne originaria di Firenze.
Lì la nostra donna del mistero ha conosciuto e sposato Ambrose, suo lontano parente, grande proprietario terriero e discendente della ricca casata degli Ashley.
E, se tra i due, inizialmente, pare essere scoppiato un amore maturo fatto di passeggiate all'aria aperta, gite campestri, cene rustiche e semplici momenti di vita quotidiana, con il passare del tempo, il loro rapporto sembra cambiare.
Rachele non è più la mogliettina premurosa di un tempo: sperpera denaro, vede altri amanti, è fredda e distaccata, trama nell'ombra. Questo è, perlomeno, il ritratto che viene fuori dalle ultime lettere che l'uomo spedisce in Cornovaglia, indirizzandole a Philip, cugino di vent'anni più giovane, nonché erede di tutta la fortuna di Ambrose.
Il ragazzo infatti, se dapprima riceveva dall'Italia lettere pregne di felicità e speranza per il futuro, a distanza di mesi trova nella cesta della posta solo poche inquietanti frasi, concluse da un disperato grido d'aiuto: "Rachele, il mio tormento, mi sta distruggendo"
Ambrose, ad una decina di giorni di distanza da quell'accorato appello, muore, ufficialmente per una malattia al cervello che, negli ultimi tempi, gli impediva di pensare lucidamente.
Ma sarà andata davvero così? O dietro la dipartita dell'amato signor Ashley si cela un piano diabolico e pericoloso?
Da queste premesse prende avvio la storia di Daphne du Maurier che, con estrema maestria dipinge i suoi personaggi, caratterizzandoli poco a poco, e conferendo ad ognuno di essi sempre nuove inquietanti sfumature. Sono loro, del resto, a fare da motore all'azione: il rancore, il dolore e la diffidenza di Philip che man mano si va trasformando in qualcosa di diverso, ed il comportamento materno e confidenziale della vedova che, nel mentre, sembra sciogliere il cuore di ghiaccio del nuovo padrone di casa.
Ed è proprio lui a raccontarci come l'arrivo di Rachele in terra inglese abbia cambiato per sempre le sorti di tutti, ed in particolare le sue.

La sentii salire le scale. 
Mi sedetti a guardare il fuoco. Mi sembrava che, semmai in casa fosse rimasto un sentimento ostile, questo non venisse né da lei né da Ambrose: era un seme piantato nel profondo del mio cuore, mai gliene avrei parlato e non c'era bisogno che lo venisse a sapere. 
Ancora una volta commettevo il vecchio peccato della gelosia, che credevo morto e sepolto. Ma questa volta non ero geloso di Rachele, bensì di Ambrose, l'uomo che fino a quel momento avevo amato sopra ogni altra cosa al mondo.

Pagina dopo pagina il lettore viene trascinato in una spirale di tensione ed inquietudine, alla ricerca della verità, o di ciò che più si avvicina ad essa.
La lettura, soprattutto nella prima parte, è molto coinvolgente. Più si va avanti, più viene voglia di scavare a fondo nell'animo della misteriosa Rachel, e nel passato suo e di Ambrose. Tuttavia, se l'avvio pareva più che promettente, da un certo punto in poi, la narrazione diventa abbastanza prevedibile: non c'è stupore nell'assistere all'evolversi del rapporto tra lei e Philip, ed i colpi di scena sono centellinati e non così incisivi come ci si sarebbe aspettati.
Diciamo che questo è il vero difetto del libro, non essere riusciti, forse persino intenzionalmente, a portare avanti con fermezza l'intrigo iniziale. Nel corso delle pagine saltano fuori sporadici inconfutabili indizi che, invece di essere approfonditi per dare luogo a nuovi sconvolgenti scenari, vengono subito accantonati a favore di un accorato viaggio nei sentimenti che, al contrario, viene sciorinato in ogni sua sfaccettatura. 
Personalmente avrei preferito più pathos, più indagini, più tinte noir e meno romance. L'ambiguità che, in prima battuta, dava l'impressione di essere il fulcro di tutto il libro, alla fin fine rimane solo uno specchietto per le allodole, in quanto ogni sviluppo si rivela facilmente ipotizzabile, già dopo i primi capitoli.
Un vero peccato perché, per me, questa trama aveva tutte le premesse per fare di "Mia cugina Rachele" uno di quei romanzi che ti tiene incollato alle pagine, impegnato a vagliare mille ipotesi per poi venire nuovamente sorpreso.
E non fraintendetemi, il libro, nonostante le lacune, è davvero bello. In primo luogo per la penna della scrittrice, che è indubbiamente una fuoriclasse, una di quelle capaci di descrivere così bene ciò che accade, da farti sentire pienamente parte degli eventi e farti immaginare anche il più piccolo particolare.

Il vento del giorno prima si era spostato all'interno e aveva portato via con sé la pioggia; a mezzogiorno il sole aveva fatto capolino, il cielo si era fatto terso. 
L'aria era luminosa e frizzante di sale e questo conferiva alla passeggiata un gusto particolare; si riusciva a sentire il rumore del mare che si frangeva sugli scogli davanti alla baia. 
Capitava spesso, in autunno di avere giornate così, che non appartenevano ad una stagione precisa e avevano una freschezza tutta loro: nell'aria c'era già il brivido delle ore d'inverno, ma il profumo era ancora quello dell'estate.

Poi le ambientazioni, la brulla campagna inglese, così splendida e selvaggia, incantevole sia nel rigogliosa e brillante primavera, sia nel lento sfiorire dell'autunno.
Già solo per gli scenari indimenticabili, il romanzo meriterebbe di essere letto.
E non dimentichiamo tutti quei deliziosi rituali del passato - i ricevimenti, le visite di cortesia, i giri in calesse, i pomeriggi sonnacchiosi da trascorrere in biblioteca, o le serate passate nel boudoir, tra conversazioni leziose, tisane alle erbe e ricami - che permettono a noi lettori di assaporare i fasti e le consuetudini della mondanità di un tempo. 
Inoltre, come accennavo prima, la carta vincente di questo romanzo sta proprio nell'analisi psicologica dei personaggi, nelle loro luci e nelle ombre, nel loro saper plasmare a proprio piacimento l'interlocutore (nel caso di Rachele) o corrompere se stessi pur di ottenere ciò che si desidera (come accade a Philip). Tra i due protagonisti la chimica iniziale tende con il passare dei mesi a trasformarsi in un duello in cui, si sa, solo uno ne uscirà vittorioso, il tutto sta nello scoprire chi alla fine avrà la meglio.
Un libro che, proprio per questo, prende molto a livello emotivo, e ti spinge a sospirare, sperare e agognare fino all'ultima pagina.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro, e hai intenzione di farlo, fermati qui!
Quando ho iniziato questo libro non sapevo assolutamente nulla della trama e forse questo è stato un bene, perché mi ha permesso di godermi appieno ciò che veniva raccontato.
Già dalle prime pagine mi sono sentita coinvolta, dal turbamento emotivo di Philip, dal suo senso di colpa, dal suo sofferente viaggio nei ricordi.
Ho amato sin da subito il ritratto del rapporto "padre-figlio" tra Ambrose e Philip, la loro vita all'insegna della libertà e dell'affetto, l'incredibile sintonia e il senso di protezione reciproco. Rare volte mi sono imbattuta in un unione maschile così piacevole da leggere (l'ultima, credo, con Jay Gatsby e Nick Carraway di Francis Scott Fitzgerald), il che mi ha stupita positivamente.
Proprio per questo, nel momento in cui il povero Ambrose viene a mancare, da solo in terra straniera, circondato da persone di cui non si fida, e chiedendo aiuto all'unica persona che avrebbe potuto e voluto salvarlo, io ero certa e desiderosa di assistere alla vendetta di Philip.
Immaginate quindi la mia delusione quando, con l'arrivo di Rachele in Cornovaglia, ho visto l'agguerrito ventenne sciogliersi come neve al sole.

Non so di cosa fossero fatti i suoi vestiti, forse di seta rigida, o di broccato, o di satin, ma sembrava che sfiorassero il pavimento, poi si sollevassero, poi ricadessero ancora; forse era la levità del vestito, forse era la grazia del suo incedere ma, quando lei entrava, la stanza, che prima era scura e austera, all'improvviso prendeva vita. 
Alla luce delle candele sembrava più dolce. Era come se il chiarore del mattino e le ombre più cupe del pomeriggio fossero dedicate al lavoro, alla praticità; lei si muoveva rapida, sicura e brillante. Ma a sera, con le imposte serrate, il maltempo chiuso fuori e la casa ridiventata un luogo intimo, lei risplendeva di un'aura che di giorno era rimasta nascosta. Le sue gote erano più colorite, i capelli lucevano, gli occhi parevano più profondi e qualunque movimento facesse, che andasse allo scaffale a prendere un libro, o si chinasse ad accarezzare Don accovacciato dinanzi al camino, in lei c'era una grazia naturale, piena di fascino.

E va bene, in un primo momento ci può anche stare. Anche perché la bella fiorentina si dimostra perfettamente capace di studiare anche la più minima mossa, pur di raggiungere i risultati sperati. Riveste alternativamente i panni della vedova sofferente, della compagna di giochi, della confidente fidata e persino della figura materna assente, pur di far breccia nel cuore martoriato del fragile ragazzo.
Ma a tutto c'è un limite! Quando alle orecchie di Philip iniziano ad arrivare voci non proprio lusinghiere sul passato della cugina, quando lui stesso viene a sapere dei conti in rosso e di come lei continui a sperperare denaro, e peggio ancora, quando trova altre lettere dal passato firmate dall'amato cugino, il nostro protagonista mette la testa sotto la sabbia proprio come uno struzzo.
Non vuole sentire, non vuole sapere e, soprattutto, non vuole credere, persino se è lo stesso Ambrose a descrivere la misteriosa Rachele come una manipolatrice subdola, una donna veniale e spietata.
Strappa quei pezzi di carta - gli stessi che solo pochi mesi prima lo avrebbero annientato - come se fossero privi di alcun valore, per poi continuare imperterrito e tranquillo la vita condivisa con la moglie del cugino.
Ma io dico, come può essere possibile? Per quanto uno possa essere annebbiato dal sentimento, non è credibile che non sorga neanche un piccolo dubbio, a maggior ragione se si sta parlando della probabile assassina della persona che si ha amato di più al mondo.
Più Philip andava avanti con il suo atteggiamento ottuso e volutamente cieco, più veniva a cadere l'immagine di quel rapporto speciale tra i due signori Ashley, che avevo tanto amato. Più Philip seguitava nella suo sogno ad occhi aperti, più avrei voluto scuoterlo per obbligarlo a vedere la realtà.
Ogni volta un nuovo indizio mi faceva ben sperare, con il risultato di venire nuovamente delusa.
Inutile dire come da un certo punto in poi la lettura sia diventata, oltre che poco credibile, estremamente irritante.
Ora, mi si potrebbe dire che il ragazzo era orfano, inesperto con le donne, e privo di qualsiasi amore materno, per cui una preda facile, ma vederlo elemosinare carezze fino all'ultimo secondo è stato, per me, estenuante.

Penso di aver capito in quell'istante quel che anche Ambrose aveva capito. Capii che cosa aveva visto in lei, che cosa aveva desiderato senza mai ottenerlo. capii il tormento, il dolore, l'abisso che si apriva tra loro. 
Gli occhi di Rachele, così scuri, così diversi dai nostri, ci fissavano senza comprenderci. Ambrose era lì nell'ombra accanto a me, sotto la luce tremula delle candele. Noi la guardavamo straziati, senza speranza, e lei ci guardava con fare accusatorio. 
Nella penombra anche il suo viso era straniero. Un viso sottile, un profilo su una moneta. La mano che stringevo non era più calda. Fredde e ossute, le dita lottavano per liberarsi, gli anelli mi graffiavano il palmo. Le lasciai andare e subito avrei voluto non averlo fatto.

Poi c'è tutta la questione dell'amore malato che si trasforma in ossessione pura.
Infatti, pur nel caso in cui la donna fosse stata realmente una mantide religiosa (come in effetti credo), e pur avendo lei sicuramente giocato con i sentimenti dei suoi amanti, ciò non giustifica le reazioni spropositate, persino violente, di lui. Tutte finalizzate poi non a vendicare la morte di Ambrose, come sarebbe presumibile e quantomeno giustificabile, ma a trattenere con sé, e con ogni mezzo possibile, l'amata. Cose dell'altro mondo!
Per quanto riguarda Rachele invece, non ho mai nutrito nessun reale dubbio su di lei.
Mi è sempre parso di assistere ad una recita, fatta di moine e frasi ad effetto, di tenerezza, lusinghe, ritrarsi improvvisi, e prevedibili ritorni. Le tipiche strategie femminili per abbindolare un uomo.
Credo sia ciò che non va nella lettura. Il personaggio della donna non è mai messo realmente in discussione. Non c'è stupore quando la dolcezza si trasforma in freddo cinismo, non c'è un colpo di scena di fronte alla rivelazione finale.
Forse proprio per questo motivo, alla fin fine, per quanto lei sia scaltra e smaliziata, non si riesce neanche a condannarla del tutto. In una considerazione generale della storia, la sua pantomima era così palese agli occhi di tutti, che solo uno stolto avrebbe potuto non capire ciò che stava succedendo. Della serie "chi è causa del suo mal, pianga se stesso".
Infatti, se devo dire il vero, se inizialmente bramavo per veder Rachele ripagata con la sua stessa moneta, negli ultimi capitoli il mio malanimo era principalmente rivolto al giovane Ashley, così incurante delle sorti del cugino Ambrose, completamente assorbito dal suo desiderio di conquista e divorato dalla gelosia.
Parlando del finale invece, devo dire che, pur non potendosi considerare sconvolgente come un fulmine a ciel sereno, mi ha soddisfatto, perché non prevede vincitori, ma solo persone condannate a fare i conti con la propria coscienza e le proprie azioni.
E che dire poi della scrittura dell'autrice inglese? Quella sì che mi ha convinto in pieno, con il suo stile elegante e raffinato, a mio avviso, molto vicino a quello de "L'americano" di Henry James.
Leggere della Cornovaglia, così affascinante e piena di incanti, con le scogliere a picco sul mare, la brughiera selvaggia e le praterie sconfinate, è stato per me un vero toccasana.
Non posso dire lo stesso, ahimè, per le scene ambientate a Firenze, dipinta come una terra sciagurata. Ora, io non so come apparisse la città toscana nella metà del Ottocento, ma stento a credere che fosse un pot-pourri di povertà, afa, inedia e putridume.
L'Arno torbido ed invaso da immondizia di ogni sorta - carcasse di animali comprese - paese e circondario colpito dal caldo asfissiante, dalla fame e dalla sete, mendicanti in ogni dove, e polvere in ogni anfratto. Un edificante quadretto del nostro Bel Paese, non pensate? Proprio poco di parte la cara Daphne! Nella sua Cornovaglia il paradiso terrestre, e nella nostra Italia l'inferno ribollente  ╯°□°)╯︵ ┻━┻
Tralasciando questo piccolo particolare, che ammetto mi ha fatto storcere il naso un bel po', consiglio vivamente questo libro che, seppur con qualche carenza, mi ha trascinato in una storia appassionante, lontana nel tempo e nello spazio, ma vicina alla complessità del cuore umano, di ieri, di oggi e di sempre.

Curiosità:
Dal romanzo è stato tratto nel 1952 un film omonimo, diretto da Henry Koster, con protagonista un giovane Richard Burton (il quale ottenne una candidatura al premio Oscar, come miglior attore non protagonista).
Nel 2017 ne è stata realizzata una seconda trasposizione cinematografica, per la regia di Roger Michell, dal titolo "Rachel", ed interpretata da Sam Claflin nel ruolo di Philip, e da Rachel Weisz in quello della protagonista.
Avendo visto solo quest'ultimo, posso dire che, pur con qualche leggera variante, tra cui il finale, il film si dimostra abbastanza fedele al romanzo.

Ringrazio la casa editrice Neri Pozza per avermi fornito una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

venerdì 15 novembre 2019

Recensione: “Wonder” di R.J. Palacio

Titolo: Wonder
Autore: R.J. Palacio
Editore: Giunti
Data di pubblicazione: 8 maggio 2013
Pagine: 288
Prezzo: 14,00 € 

Trama:
Auggie, nato con una tremenda deformazione facciale (la sindrome di Treacher-Collins), dopo anni trascorsi a studiare a casa, protetto dalla sua famiglia, si trova ad affrontare con coraggio il mondo della scuola.
Sarà accettato dai compagni? Dagli insegnanti? Chi si siederà di fianco a lui nella mensa? Chi sarà suo amico?
Un protagonista sfortunato ma tenace, una famiglia meravigliosa, degli amici veri che aiuteranno Augustus durante l’intero anno scolastico.

Recensione:
Auggie ha dieci anni ed è un ragazzino perfettamente normale, ama mangiare il gelato, andare in bici, giocare a palla o con la Xbox, fare, insomma, tutte le cose che fanno i ragazzini della sua età.
E si sentirebbe assolutamente come loro se lo specchio non gli restituisse un'immagine diversa da quella che invece vede nei visi che lo circondano.
Auggie, infatti, è affetto da una combinazione di sindromi rare che hanno reso il suo volto deforme sin dalla nascita.
Un volto che genera stupore, e in moti casi anche spavento, in chi lo osserva per la prima volta. Come può, dunque, un bambino sentirsi come gli altri se non può uscire senza attirare gli sguardi su di sé, se non manca volta in cui non scorga sguardi curiosi, espressioni perplesse, e bisbigli alle sue spalle?
Auggie è abituato a tutto questo, sopporta gli atteggiamenti della gente sin da quando era ancora più piccino, ci convive, e li ha accettati, ma questo non significa che abbia smesso di soffrirci o che l'idea di essere circondato dalla gente non lo faccia sentire a disagio.

Io mi sento normale. Voglio dire dentro. 
Ma so anche che i ragazzini normali non fanno scappare via gli altri ragazzini normali fra urla e strepiti ai giardini. E so che la gente non li fissa a bocca aperta ovunque vadano. 
Se trovassi una lampada magica e potessi esprimere un desiderio, vorrei avere una faccia così normale da passare inosservato. Vorrei camminare per strada senza che la gente, subito dopo avermi visto, si volti dall'altra parte. E sono arrivato a questa conclusione: l’unica ragione per cui non sono normale è perché nessuno mi considera normale.

Così quando mamma Isabel e papà Nate, gli comunicano che sarebbe il caso che, per il primo anno di prima media, frequentasse la scuola, per lui è un piccolo trauma.
August non è pronto, ricorda come i bambini hanno sempre reagito vedendolo per la prima volta, ma sa che le loro erano solo reazioni umane, non c'era cattiveria nelle loro intenzioni, ma è anche consapevole di quanto invece possano essere cattivi, volontariamente crudeli, i ragazzini della sua età.
August non ha mai avuto molti amici, e i pochi che ha sono cresciuti assieme a lui, ma come sarà provare a legare con qualcuno che lo vede per la prima volta?
Nonostante i timori, Auggie affronta la sua paura e decide di recarsi all'appuntamento che il preside, il signor Kiap ha organizzato per lui, una piccola visita di orientamento dove potrà fare la conoscenza di tre dei suoi futuri compagni.
È in occasione di questa visita che incontra Julian, Charlotte, Jack Will.
Inizia così il primo anno scolastico di August, un anno fatto di momenti difficili, alcuni anche terribili, ma anche di altri inaspettatamente felici e memorabili.
Entrambe le condizioni sono provocate da come i ragazzi si rapportano a lui. Saranno loro, con i loro atteggiamenti, i responsabili sia delle lacrime che dei sorrisi del nostro tenace protagonista.
E i primi mesi saranno davvero difficili. August incontra nel suo cammino ragazzini idioti capeggiati dal terribile Julian. Questi si comportano in modo davvero sciocco, mettendo in atto stupidi giochi che consistono nell'ignorare o nel non toccare il nuovo arrivato.
Ma, per fortuna, incontrerà anche chi saprà andare oltre i timori e alle apparenze, perché, non neghiamolo, tutti restiamo straniti davanti a ciò che reputiamo diverso e di fronte a ciò che non conosciamo, ma è il modo in cui scegliamo di comportarci che ci qualifica per ciò che siamo.
E qui una menzione d'onore va a Summer, la simpatica ragazzina che, senza che gli venisse suggerito da nessuno, sceglie di sua volontà di agire nel modo più giusto e più gentile.
Vede un bambino strano e solo, si accorge che tutti lo osservano e lo evitano, si mette nei suoi panni e decide di pranzare assieme a lui, e di essergli amica.
La gentilezza è un argomento importante in queste pagine (dovrebbe in realtà esserlo nella vita di tutti i giorni), e viene sottolineato il suo grande valore anche nel discorso di fine anno del signor Kiap:

«Non dovremmo forse inventare una nuova regola di vita… cioè cercare di essere sempre un po’ più gentili del necessario?» 
A questo punto il signor Kiap ha alzato gli occhi sul pubblico. 
«Più gentili del necessario» ha ripetuto. «Che frase meravigliosa, non è così? Più gentili del necessario. Perché non è sufficiente essere gentili. Bisogna essere più gentili di quanto ci viene richiesto. Il motivo per cui amo questa frase, questo concetto, è perché mi rammenta che portiamo con noi, in quanto esseri umani, non solo la capacità di essere gentili, ma prima di tutto la gentilezza come vera scelta di vita».

Pensateci, quanto sarebbe più facile la vita di tutti noi, in special modo la vita di chi ha delle particolarità che lo rendono "diverso" se tutti fossimo più gentili? Se non dovessimo avere il terrore di doverci rapportare o dover affrontare il giudizio di persone come Julian, o ancor peggio dei suoi genitori.
Come sarebbe più dolce e gentile la vita se nel mondo incontrassimo solo persone come Summer?

Ma oltre al bullismo e alla gentilezza, che si contrappongono fortemente nel racconto, in una lotta che alla fine, fortunatamente, vede vittorioso il bene, in queste pagine ci sono tante altre situazioni, tanti altri personaggi che meritano una menzione.

La famiglia di August in primis.
L'affiatamento che li lega è evidente a chiunque entri nel loro nucleo familiare, a chiunque si rapporti a loro. Sono uniti, si vogliono bene, si preoccupano costantemente dei sentimenti degli altri.
In particolare lo fa Olivia, per tutti Via, la sorella maggiore di Auggie, abituata da sempre a non dare problemi, a mettersi da parte, ma non perché glielo chieda qualcuno, ma perché da sola, e sin da bambina, aveva capito che era Auggie quello da proteggere, e sarebbe stato lui il sole attorno al quale le esigenze della famiglia avrebbero ruotato.
Ma anche Olivia mostra il suo lato umano, anche lei comprensibilmente mostra di avere debolezze, e le sue considerazioni, i suoi sentimenti, i pensieri sfuggevoli che le passano per la mente alcune volte, facendola sentire terribilmente in colpa subito dopo, mettono in evidenza il suo essere, semplicemente umana.
Anche per lei quello è un anno difficile, ha iniziato le superiori, le amiche di sempre l'hanno abbandonata e quando le cose iniziano a migliorare, comincia finalmente a godersi quella nuova opportunità, quel nuovo inizio, il fatto di essere per tutti semplicemente Olivia, e non la sorella di un ragazzino deforme.
Nessun commento bisbigliato alle spalle, nessuna occhiata strana... ma solo una persona come tante.
Non le si può biasimare il desiderio di normalità.
Non le si possono contestare alcune sue considerazioni, anche se, lo confesso, in un primo momento mi hanno lasciata stranita e amareggiata.
Come nel caso che riporto qui sotto, quando Olivia ci confessa un pensiero che improvvisamente l’ha colta un giorno, quando, dopo settimane di lontananza (August era in ospedale per riprendersi da un brutto intervento), si rincontra con lui e, per un brevissimo istante, in un modo che ha lasciato lei stessa sconvolta, i suoi occhi lo vedono per la prima volta come lo vedono tutti gli altri.

Tornare a casa dopo quattro settimane mi è sembrato molto strano, all'inizio. Mi ricordo con nitidezza di aver varcato la soglia e di aver visto August corrermi incontro per salutarmi e, per quella minuscola frazione di secondo, l’ho visto non come l’avevo sempre visto, ma come lo vedevano gli altri. 
È stato solo un flash, un istante, mentre lui mi abbracciava, così felice che io fossi di nuovo a casa, ma mi ha sorpresa perché non l’avevo mai visto in quel modo, prima di allora. E non avevo mai nemmeno provato prima quello provavo in quel momento: qualcosa che ho odiato già mentre succedeva. Ma mentre lui mi baciava con tutto quel trasporto, l’unica cosa che vedevo era la saliva che gli colava giù dal mento. E tutt’a un tratto eccomi lì anch'io, che lo fissavo e distoglievo gli occhi da lui, come un’estranea. 
Inorridita. Disgustata. Spaventata. 
Grazie al cielo, è durato solo un secondo: nell'istante stesso in cui ho sentito August fare quella sua risata rauca, era già passato. Tutto è tornato com'era prima. Ma mi aveva aperto una porta. Anzi, un buco della serratura. E dall'altra parte c’erano due August: quello che vedevo senza vederlo e quello che vedevano tutti gli altri.

Questa presa di coscienza da parte di Olivia, la sorella che ha sempre difeso il suo fratellino dagli sguardi estranei, non può lasciare indifferenti.
È un duro colpo, un pugno nello stomaco, una confessione forte ma vera, che ci fa capire come la vita della famiglia Pullman e dei suoi componenti sia complicata, come i sentimenti siano complessi, nonostante l’affetto che li lega tutti.

Un altro personaggio che non posso non menzionare è Jack Will.
È probabilmente quello che ha lo sviluppo più bello e profondo.
Un ragazzino inizialmente scettico nei confronti del nuovo compagno di scuola, che vive un po’ con disagio il ruolo che il signor Kiap gli ha affidato.
Essere amico di August.
Un invito mosso con gentilezza, al quale però si sente come obbligato.
Eppure August non è così male.
In lui, giorno dopo giorno, troverà una compagnia sempre più piacevole e divertente. Una presenza quasi indispensabile per la sua vita scolastica.
Non ometto che ci sarà ben più di un incidente in questo percorso: qualche passo falso da parte di Jack Will prima, l’isolamento subito per la scelta di schierarsi dalla parte di August poi... insomma ci saranno circostanze che non renderanno la vita semplice a questa coppia di amici.
August ci è abituato, la sua è da sempre stata una vita in salita, ma per Jack Will, tutto è nuovo e diverso.
Si scontra con la stupidità, la cattiveria e le ingiustizie, forse per la prima volta ma, da vero eroe, persevera, resta dalla parte del bene e vince.

La cosa triste è che di scelte si deve parlare. Stare da una parte piuttosto che dall’altra.
Perché?
Perché purtroppo esistono ragazzini prepotenti, e stupidi come Julian, figli di persone ancora più stupide e prepotenti.
Il tipico caso della mela che non cade lontano dall'albero.
Se fa rabbia leggere di un ragazzino che si diverte a isolarne un altro (una discriminazione basata sull'aspetto causato da una malattia! Il che fa ancora più schifo), fa ancora più rabbia leggere i suoi genitori fare lo stesso, se non peggio.
I genitori di Julian non solo giustificano il suo comportamento, ma lo seguono essi stessi. Sua madre arriva a modificare la foto di classe cancellando il volto di August, perché, a suo dire la rovinerebbe, fino a promuoverne l’allontanamento dalla scuola, perché la sua presenza causerebbe stress a tutti gli altri ragazzini (sani).
Ecco, capite l’assurdità.
Capite la rabbia che ho provato leggendo certe cose.
Viene da pensare che certe persone potrebbero (forse) arrivare a mettersi nei panni degli altri solo se certe cose capitassero a loro.
Solo in quel caso, (ripeto, forse), potrebbero acquistare un po’ di umanità.

Penso che la forza di questo romanzo sia proprio questa. Ti aiuta a metterti nei panni degli altri. Ti invita a provare empatia per ciascuna voce narrante (il libro è diviso in otto parti, ognuna raccontata da un personaggio diverso), a entrare nei loro pensieri, vedere la situazione dal loro punto di vista.

A questo libro principale, l’autrice ha aggiunto altri tre libri più piccoli che contengono le “versioni” di altre tre voci narranti. La storia vista da punti di vista che qui non erano stati considerati, e uno di questi è proprio quello di Julian.
Vi dirò, sono proprio curiosa di entrare nella testa del bullo, di capire che visione di essa intende darci l’autrice, se alla fine lo giustificherà in qualche modo vendendoci la storia (a cui non credo minimamente) per cui il bullo è il più debole, e via dicendo...
Vi farò sapere...
Intanto invito voi, i vostri figli, gli amici dei vostri figli, i vostri nipoti ecc. a leggere questo libro, a regalarlo, a diffonderne il messaggio e a scegliere sempre e in ogni contesto la gentilezza.

Curiosità:
Dal romanzo, nel 2017, è stato tratto un adattamento cinematografico (dal titolo omonimo), diretto da Stephen Chbosky, con protagonisti Jacob Tremblay, Julia Roberts e Owen Wilson.


il mio voto per questo libro

giovedì 14 novembre 2019

Estratto: “La sirena e Mrs Hancock” di Imogen Hermes Gowar

Salve avventori!
Il freddo da settimane sta attanagliando tutto il nostro Paese e l'estate è ormai bella che lontana. E cosa c'è di meglio per ricordarla, se non un libro che parla di mare, navi e sirene?
Ecco perché oggi ho scelto per voi un passo del bellissimo romanzo di Imogen Hermes Gowar che ho recensito qui, ovvero "La sirena e Mrs Hancock".
In particolare in questa scena il protagonista, Jonah Hancock, ripensa al figlio morto appena nato e a come la sua vita sarebbe stata diversa, se solo non avesse subito quella perdita devastante.
Un passo toccante che, come il romanzo da cui è tratto, vi consiglio di leggere.

Torna a girarsi verso la scrivania scuotendo la testa. Avrebbe giurato che fosse Henry, giù per le scale. Nella sua mente la scena ha avuto luogo altre volte: suo figlio, alto e magro, brache candide e ricci castani, che fa capolino con la faccia sorridente in uno scintillio di granelli di polvere. 
Non gli succede tanto spesso di avere visioni del genere, ma quando accade ne è sempre turbato, perché Henry Hancock è morto appena nato. 
Mr Hancock non è certo una persona irrazionale ma non è mai riuscito a scrollarsi di dosso l’idea che, a partire dal momento in cui sua moglie aveva abbandonato la testa sul cuscino, dopo aver partorito esalando l’ultimo respiro, la sua vita abbia deviato dal giusto corso. 
Quella che avrebbe dovuto condurre, gli pare, continua a svolgersi nelle immediate vicinanze, e a separarli c’è solo un sottile velo d’aria e di fortuna: di tanto in tanto ne coglie un barlume di sfuggita, come se una tenda svolazzante si fosse scostata per un attimo.

martedì 12 novembre 2019

Recensione: “La stanza rossa e altre storie di fantasmi” di Lucy Maud Montgomery

Titolo: La stanza rossa e altre storie di fantasmi
Autore: Lucy Maud Montgomery
Illustrazioni: Michela Pollutri
Editore: Caravaggio Editore
Data di pubblicazione: ottobre 2019
Pagine:168
Prezzo: 11,90 € 

Trama:
Anche Lucy Maud Montgomery cedette al fascino delle ghost stories, non solo inserendone qualcuna nei suoi romanzi più celebri, ma anche pubblicando, in tutto l’arco della sua vita, diversi racconti del soprannaturale su varie riviste.
Nella presente raccolta, curata da Enrico De Luca, ne sono stati selezionati sei:
La Stanza Rossa
 L’amante di Miriam
 La storia di Davenport
 La ragazza al cancello
 La festa privata a Smoky Island
 Il fantasma dai Brixley
tutti legati dallo stile inconfondibile della creatrice di Anne Shirley (conosciuta in Italia come “Anna dai capelli rossi”) e per la prima volta tradotti integralmente e annotati.

Recensione:
I sei racconti presenti in questa raccolta sono molto variegati fra loro, ognuno offre uno sguardo diverso sul mondo del soprannaturale, un diverso approccio a delle esperienze paranormali.
Luoghi su cui agirebbero delle forze malvagie; anime affini che riescono a comunicare nonostante le distanze; presenze benevole che sono in grado di entrare in contatto con i propri cari, mettendoli in guardia in caso di pericolo; amori immortali; e leggendari luoghi infestati...
Argomenti diversi, dove in molti casi il punto di unione è l’amore... ma non sempre.
Se in storie come “L’amante di Miriam”, “La storia di Davenport”, “La ragazza al cancello” e persino in “Festa privata a Smoky Island”, il punto focale è l’amore e l’affetto che anime trapassate hanno provato per coloro che hanno lasciato indietro, nella storia che dà il titolo alla raccolta, ovvero “La Stanza Rossa”, l’amore e l’affetto c’entrano ben poco.
Protagoniste indiscusse di questo racconto sono due donne di età diversa, una ragazzina ingenua e sognante di nome Beatrice, e Alicia, una donna affascinante e misteriosa.
Beatrice viene invitata a passare le festività natalizie nella residenza di famiglia a casa della nonna, la signora Montressor.
Tra gli invitati, oltre alle zie, lo zio Hugh e la sua giovane sposa straniera Alicia, che Beatrice non ha ancora mai visto, ma di cui ha già sentito molto parlare - e non in modo lusinghiero - in conversazioni bisbigliate e sussurrate, non lontane abbastanza dalle sue orecchie.
Quando il momento del tanto atteso incontro finalmente arriva, la piccola Beatrice è del tutto rapita dalla bellezza della donna, quasi incantata.
Un fascino che l’attrae e allo stesso tempo respinge, che la conquista, ma che non le preclude di notare nella donna comportamenti strani e fasulli.
Gli sguardi di superiorità sprezzante, il disprezzo nei confronti del suo sposo, piccole fiamme di ferocia negli occhi.
La stanza rossa è il luogo dove la piccola Beatrice preferisce trascorrere le sue giornate a casa Montressor, una stanza calda e accogliente, che ora però è di proprietà della nuova padrona di casa.
È qui che le due, donna e bambina, trascorreranno insieme la maggior parte dei loro incontri, è qui che avverranno i loro più intensi confronti, fatti di giudizi non detti, pensieri taciuti, dubbi, e allusioni.
È qui che Beatrice rivelerà ad una turbata Alicia, un passato macabro legato alla stessa stanza, una stanza macchiata di sangue e dolore che forse, in qualche modo, fa sentire ancora la sua presenza...
Può il male infestare un luogo e influenzare chi vi vive?
Forse sì, o forse questa è solo una scusa, un pretesto utilizzato per giustificare le proprie azioni. Al lettore è lasciato il giudizio su questa storia particolare ed enigmatica.
Non lascia alcun dubbio invece il racconto intitolato “Il fantasma dai Brixley”, dove le presenze inquietanti che infesterebbero casa Brixley - una vecchia catapecchia abbandonata ormai da anni - sembrano essere solo frutto di superstizione.
L’argomento del racconto è invece autentico e attuale: il bullismo.
Lige Vondy, un ragazzotto sempliciotto e non particolarmente arguto, viene preso costantemente di mira dai bulli del paese.
Ma dove c’è il marcio, per fortuna, c’è anche il buono, e la la sete di giustizia di due ragazzi del villaggio li porterà ad escogitare un piano per mettere in ridicolo i prepotenti e liberare Lige dalle continue vessazioni.
La casa infestata diviene quindi oggetto di sfida, l’ingresso all'interno di essa la misura per dimostrare il proprio coraggio, o la propria codardia.
Sei storie con tematiche e toni diversi, dunque, che ruotano tutte attorno ad un unico interrogativo: credete nei fantasmi?
Un libro che si legge in fretta, una scrittura semplice e lineare.
Non aspettatevi storie macabre o spaventose, quelli che troverete in queste pagine sono racconti curiosi e appassionanti, che fanno ciò che ogni storia di fantasmi dovrebbe fare, lasciare il lettore con un senso di disagio, incertezza e dubbio. Nessuna sicurezza, ma tanta suggestione.
A impreziosire il libro le raffinate illustrazioni di Michela Pollutri, che fanno da apertura e da presentazione ad ogni storia, che non avremmo potuto leggere, se non grazie al lavoro di traduzione di Enrico De Luca, che ha curato l’intera edizione.

Considerazioni:
Tu credi nei fantasmi?
Questa è la semplice premessa con cui si apre ogni racconto di questa raccolta.
Ogni storia (eccetto l’ultima) si apre con questo interrogativo.
Interlocutori che si mettono a confronto sul tema, o protagonisti che riflettono su esperienze passate, vissute in prima persona.
Ne “La stanza rossa” una donna racconta al suo nipotino un avvenimento curioso e atipico del suo passato, qualcosa che l’ha turbata e che ancora le fa credere nell'esistenza di influenze malvagie.
Ne “L’amante di Miriam” due amiche, dopo aver letto una storia di fantasmi, si confrontano sul tema avendone opinioni diverse, una pensa che siano tutte assurdità, l’altra ha un pensiero diverso, dopo aver vissuto un’esperienza estremamente particolare che ci tiene a raccontarle.
In “La storia di Davenport” un gruppo di amici si intrattiene raccontandosi vicendevolmente storie, più o meno banali, di fantasmi. Racconti sentiti e risentiti, frutto di numerosi passaparola, che non soddisfano gli ascoltatori perché tutti partono dal sentito dire.
Nessuno dei narratori racconta una storia vissuta in prima persona, fino a quando non arriva il turno di Davenport, con il suo aneddoto, vissuto in prima persona, che lascia gli ascoltatori sbalorditi.
In “La festa privata a Smoky Island”, la protagonista ricorda a se stessa, un evento apparentemente soprannaturale accaduto durante il soggiorno a Smoky Island.
Anche qui lo stesso scenario: un gruppo di amici trova svago da una noiosa giornata piovosa raccontandosi storie di fantasmi, ma questa volta l’epilogo sarà ben diverso.
Infine, anche ne “La ragazza al cancello”, la protagonista riflette e ricorda un episodio insolito accaduto anni addietro, evento a cui non riesce a dare spiegazioni razionali, e forse neanche vorrebbe darle, perché forse, delle volte, è confortante credere che la vita non finisca con la morte, e che qualcuno ci aspetti e ci accolga per accompagnarci nell'ultimo viaggio.
Queste testimonianze non danno certezze, ma insinuano il dubbio, creano interrogativi, regalano piccoli brividi e suggestioni.
Un po’ come facevano le storie che, bisnonne e nonne, ci raccontavano quando eravamo bambini. Storie, anche quelle, frutto del passaparola, o vissute da loro in prima persona, alle quali non si sa mai se credere veramente, ma che in qualche modo inquietano, turbano e, soprattutto se si è bambini, regalano parecchie notti insonni.
Un libro che consiglio per una serata piovosa, non aspettatevi grandi brividi, sono semplicemente storie di fantasmi :)

Ringrazio Enrico De Luca per avermi omaggiato di una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

lunedì 4 novembre 2019

Recensione: "L'incubo di Hill House" di Shirley Jackson

Titolo: L'incubo di Hill House
Autore: Shirley Jackson
Editore: Adelphi Edizioni
Data di pubblicazione: 3 giugno 2016
Pagine: 233
Prezzo: 12,00 € 

Trama:
Il professore e antropologo John Montague, intenzionato a condurre un esperimento sul paranormale, contatta una serie di persone per invitarle a soggiornare ad Hill House, una casa isolata tra le colline, ritenuta, da anni, infestata.
Ad accettare l'invito sono Eleanor, una trentenne insicura che ha passato gran parte della sua vita a prendersi cura della madre malata; l'avvenente ed estrosa Theodora; e Luke, dongiovanni scapestrato ed incallito manigoldo, nonché futuro erede della dimora da incubo.
I quattro, incuranti del pericolo, si trasferiscono in quel labirinto di stanze e segreti, inconsapevoli delle presenze misteriose che, indisturbate, si aggirano nell'ombra. 

Recensione:
"L'incubo di Hill House" è da molti ritenuto uno dei capolavori della letteratura gotica e, non a caso, lo stesso Stephen King ha più volte dichiarato di essersi ispirato proprio alla scrittura e alle ambientazioni di Shirley Jackson per alcuni dei suoi più celebri romanzi.
Un libro indubbiamente particolare che, con le sue angoscianti atmosfere inquieta, creando una tensione sibillina che fa da filo conduttore alla trama.  
Grande protagonista di tutta la storia è, come immaginerete, la dimora infestata che, sin da subito, viene descritta come l'incarnazione della punta più alta della malvagità umana, un agglomerato di stanze e torri che, come un labirinto, sembra attirare le sue vittime in un baratro senza fine.

Quasi ogni casa, colta di sorpresa o da un'angolazione bizzarra, può volgere uno sguardo profondamente burlesco su chi osservi; persino un comignolo dispettoso, o un abbaino che sembra una fossetta possono suscitare nell'osservatore un senso di intimità; ma una casa arrogante e carica d'odio, sempre in guardia, non può che essere malvagia. 
Quella casa, che sembrava quasi aver preso forma da sola, assemblandosi in quel suo possente schema indipendentemente dai muratori, incastrandosi nella struttura di linee e angoli, drizzava la testa imponente contro il cielo, senza concessioni all'umanità. 
Era una casa disumana, non certo concepita per essere abitata, un luogo non adatto agli uomini, né alla speranza. L'esorcismo non può cambiare volto a una casa; Hill House sarebbe rimasta com'era finché non fosse stata distrutta.

Ed in effetti la casa, se inizialmente, agli occhi degli incauti avventori, rivela la sua vera essenza di trappola malefica, con il passare dei giorni pare quasi stendere un incantesimo sui suoi ospiti che passano continuamente da momenti di paura, confusione e delirio (di notte), ad altri di inspiegabile felicità (di giorno).
Hill House gioca con la mente di chi la abita: li spinge a sentirsi sempre più a loro agio, a condividere momenti di convivialità e spensieratezza, e poi li sconvolge improvvisamente, li sprona a dubitare di se stessi e degli altri. 
Agisce come un catalizzatore delle emozioni, in particolar modo su Eleanor Vance, colei su cui vira maggiormente l'attenzione della scrittrice, e di conseguenza di noi lettori.
La donna non ha mai vissuto grandi gioie nella sua vita, al punto da accettare senza pensarci due volte, un misterioso invito da un estraneo - quale è il professor Montague - solo per provare finalmente un brivido, per sentirsi viva.
Lei, abituata a non essere desiderata né amata da nessuno, subirà più di tutti l'influsso delle presenze di Hill House. La casa ha scelto lei, la vuole, quando nessuno ha mai desiderato far parte, per davvero, della sua banale e scialba esistenza. La casa la convince che lei appartiene a loro e che quello è il suo posto.
Naturalmente anche gli altri non sono immuni alle manifestazioni paranormali. Tutti percepiscono i fenomeni inspiegabili che prendono luogo di notte, tanto da rimanerne terrorizzati sul momento, eppure, in definitiva non è mai ben chiaro fin dove agisce l'abitazione e fin dove la suggestione e il libero arbitrio.
Gli ospiti in alcuni frangenti sembrano odiare, temere e sfidare Hill House, ma in altri dicono di stare così bene da non voler andar via. Quasi non ricordano più non solo la paura che hanno provato solo poche ore prima, ma anche il mondo là fuori. Non sentono più il tempo che scorre, se non nel sole che si riflette sulle pareti, nell'acqua che scorre nell'attiguo ruscello, e nella notte che cala su di loro come una mannaia.
Questa è una delle caratteristiche più interessanti del libro, il riuscire a creare allo stesso tempo un'atmosfera da incubo e da sogno, con scene quasi pastorali e ridenti, caratterizzate da una preponderante spensieratezza e allegria, alternate ad altre che, di contro, suscitano ansia e smarrimento. 

Guardò fuori, oltre il tetto della veranda e verso l'ampio prato, con i suoi cespugli e i suoi gruppetti di alberi avvolti nella bruma. In fondo al prato una fila di alberi costeggiava il sentiero per il ruscello, anche se quella mattina la prospettiva di un allegro picnic sull'erba non era poi così allettante. Era chiaro che sarebbe piovuto tutto il giorno, ma era una pioggia estiva, che ravvivava il verde dell'erba e degli alberi, addolcendo e purificando l'aria. 
E' incantevole, pensò Eleanor, meravigliandosi di se stessa; si chiese se fosse la prima a trovare incantevole Hill House e poi pensò, raggelata: o forse la pensano tutti così, la prima mattina? 
Rabbrividì, e si ritrovò allo stesso tempo incapace di spiegare l'esaltazione che provava, che quasi le impediva di ricordare perché era così strano svegliarsi felici a Hill House.

In generale l'opera della Jackson non è un romanzo horror convenzionale, uno di quelli che regala brividi lungo la schiena, continui colpi di scena, urla di paura o forti colpi al cuore. La sua è più una tensione costante, la continua percezione di qualcosa di inquietante ed oscuro che è sempre in agguato, e che potrebbe, da un momento all'altro, palesarsi per sconvolgere gli equilibri. 
La narrazione è un lento climax ascendente che, pur senza arrivare al vero e proprio terrore, termina con un finale agghiacciante e per nulla scontato.
Inoltre, uno dei punti di forza del romanzo è, a mio avviso, la psicologia dei personaggi, ed in particolare quella di Eleanor. 
Pur avendo scelto un punto di vista esterno, la scrittrice ci dà accesso ad ogni recondito pensiero della donna: alla sua voglia di cambiamento e rivalsa, alle sue speranze infrante, alla paura di essere ferita o derisa, alla convinzione di non essere mai abbastanza. La signorina Vance è un coacervo di insicurezze, disagi e delusioni che, sotto l'influenza sbagliata, rischiano di trasformarsi in vaneggiamenti febbrili e manie di persecuzione.   
Credo fosse questo il messaggio che la Jackson volesse dare: il vero pericolo non sta nel mero attacco fisico, come si potrebbe pensare e come spesso avviene in questo genere letterario, ma nel gioco sottile e machiavellico che una presenza malefica può mettere in atto ai danni della preda più vulnerabile, minando la sua stabilità psichica ed emotiva.
Un punto di vista interessante e quasi inedito, che ci permette di focalizzarci più sulle risposte agli stimoli (le emozioni ed i diversi modi di agire dei vari personaggi), che sul motore dell'azione stessa.
Ma se pensate che "L'incubo di Hill House" sia esente da difetti, vi sbagliate.
Mi spiace dirlo ma la storia presenta una grande falla che non permette a noi lettori di apprezzare appieno gli eventi narrati.
Senza scendere nei dettagli, posso dirvi che gli antefatti sulla casa, i vecchi proprietari, gli incidenti traumatici degli anni addietro vengono solo sommariamente accennati, senza mettere in luce chi si nasconda realmente dietro quella infestazione e soprattutto perché.
Capisco la voglia di lasciare un po' di mistero, ma in questo caso le domande senza risposta sono così tante da inficiare, sfortunatamente, il giudizio finale.
Sarebbe stato opportuno approfondire meglio le cause che hanno reso Hill House così pericolosa, invece di disseminare qua e là solo pochi misteriosi indizi, neppure del tutto correlati l'uno con l'altro. Sarebbe stato preferibile conoscere il nemico, invece che limitarsi ad assistere ai suoi piani diabolici. 
Tralasciando questo particolare, non irrilevante, confermo il giudizio pienamente positivo su "L'incubo di Hill House" che, grazie alle sue descrizioni suadenti, l'atmosfera turbolenta e la forte introspezione emotiva, si rivela essere un horror psicologico ben congegnato, capace di spingere il lettore a fare un viaggio immaginifico non solo nella casa infestata ma anche nei propri ricordi, nei rimpianti e nelle paure mai confessate. 

Considerazioni: 
Se non hai letto il libro, e hai intenzione di farlo, fermati qui!
Quando termino un romanzo, mi piace fare un giro nel web, su Goodreads o fra i siti letterari, per vedere se altri hanno formulato un giudizio pressappoco simile al mio.
Nel caso dell'opera di Shirley Jackson le opinioni - provate per credere - sono davvero contrastanti: chi l'ha amato, affermando di aver provato veri e propri brividi di terrore nel corso della lettura, e chi invece l'ha trovato noioso e per nulla spaventoso.
Io credo che tutto dipenda dalle aspettative, dalla concezione di romanzo horror che abbiamo, da quello che desideriamo trovare nelle pagine che ci accingiamo a leggere.
Come accennavo prima, il romanzo non è ricco di eventi paranormali e pericolosi, almeno non nel senso convenzionale del termine. Certo, ci sono delle manifestazioni inspiegabili razionalmente, ed anche emotivamente coinvolgenti, ma è lampante che ciò su cui si punta l'attenzione è proprio la manipolazione psicologica che la casa, o chi per lei, mette in atto.
Lo vediamo un po' in tutti i personaggi, il più delle volte spaesati, confusi, elettrizzati ed euforici, quasi fossero dei bambini al parco giochi. I loro comportamenti e le loro reazioni sono incoerenti, se consideriamo il contesto in cui si trovano (quale persona sana di mente non sarebbe scappata a gambe levate?), eppure è proprio l'influenza dell'abitazione - almeno questo è ciò che credo si volesse far intendere - a spingerli ad agire in quel modo.
Lo si capisce ancora di più se prendiamo come riferimento Eleanor.
Non è chiaro dove alberghi la sua identità effettiva e dove agisca invece la dimora infestata, enfatizzando ogni sua minima paura, emozione e risentimento. Di certo la protagonista è fragile ed insicura di natura ma, da un certo punto in poi, quello della donna diviene un vero e proprio delirio, in cui non fa altro che pensare che gli altri tramino alle sue spalle, parlino di lei in sua assenza, la giudichino e la deridano.
Ancora più enigmatica è l'altra figura femminile del gruppo: Theo. A volte pare affettuosa e comprensiva, altre acida e noncurante. Sembra subire il protagonismo di Eleanor e perciò l'attacca senza mezzi termini e senza tener minimamente conto dei suoi sentimenti.
Ma anche qui c'è da chiedersi se le battute brutali fossero davvero frutto della mente maliziosa dell'esuberante artista, o se fosse invece Hill House a parlare tramite lei con l'intento di isolare Eleanor dal gruppo.
In ogni caso, sembrerà strano, ma ho amato il rapporto d'amicizia che si viene a creare subito tra le due e che, nonostante i numerosi bisticci, le accuse, gli atti di egoismo e le ingiurie, forzate o meno che fossero, sembra resistere, pur con molti tentennamenti, fino alla fine.
Altra cosa che ho apprezzato molto sono le descrizioni della casa, del giardino, dei momenti di vita quotidiana che, pur non rientrando perfettamente nell'atmosfera orrifica del genere, rendono la storia molto più umana e veritiera.
Stesso giudizio per l'attenzione prestata ai pensieri di Eleanor i quali, soprattutto nella prima parte, battono su dei tasti dolenti per qualunque persona (sogni infranti, aspettative deluse, rapporti umani deteriorati).

Era il primo giorno davvero splendido dell'estate, un periodo dell'anno che riportava sempre Eleanor ai ricordi struggenti della sua prima infanzia, quando sembrava sempre estate; prima della morte di suo padre, avvenuta in una giornata fredda e umida, non ricordava nemmeno un inverno. Negli ultimi tempi aveva cominciato a chiedersi che ne era stato, durante quegli anni passati in un soffio, di tutti quei giorni d'estate perduti; come aveva potuto trascorrerli in modo così insensato? 
Sono una sciocca, si diceva all'inizio di ogni estate, sono proprio una sciocca; ormai sono cresciuta e conosco il valore delle cose. Niente va mai perso davvero, le diceva il buon senso, nemmeno la propria infanzia, e poi ogni anno, una mattina d'estate, il vento tiepido investiva la cittadina dove camminava ed ecco quel piccolo pensiero gelido che la sfiorava: ho lasciato passare altro tempo.

Personalmente mi sono identificata molto nel suo desiderio di dare una svolta alla propria vita, di rischiare pur di raggiungere un po' di meritata felicità. Più leggevo, più mi dispiaceva per lei, al punto da sperare che, nonostante gli isterismi, alla fine ci fosse un happy end.
E aprendo una piccola parentesi proprio sulla conclusione, senza scendere nei dettagli, posso dirvi che, se da una parte l'ho promossa, considerandola coerente e pienamente in linea con gli eventi, d'altra avrei preferito una rivincita, un epilogo più dolce e speranzoso per la timida signorina Vance.
Per quanto riguarda invece ciò che molti considerano il più grande difetto della storia, ovvero l'assenza di elementi splatter, posso dire che, per quanto mi riguarda, non ho percepito questo come un deficit, anzi. Prediligo i libri in cui il carattere di ghost story è presente, percepibile ma non eccessivamente rimarcato, lasciando anche l'illusione che non tutto sia effettivamente come appare.

«Quelle due povere bambine» disse Eleanor, fissando il fuoco. «Non riesco a dimenticarle, mi sembra di vederle camminare per queste stanze buie, cercare di giocare alle bambole, forse, qui o in quelle camere al piano di sopra.» 
«Ed eccola ancora qui, questa vecchia casa». In via sperimentale, Luke tese un dito e sfiorò il Cupido di marmo. «Niente è più stato toccato, usato, desiderato di nessuno, e lei è rimasta qui a pensare e basta». 
«E ad aspettare» disse Eleanor.

E giungiamo adesso al vero tasto dolente, l'unico che mi ha lasciato con l'amaro in bocca, ossia la poca chiarezza riservata ai trascorsi della casa. 
Di Hill House sappiamo poco e niente, su questo non ci piove.
Riassumendo in breve (allarme spoiler): è stata costruita da un certo Hugh Crain per farne la dimora di famiglia, ma sia lui che la moglie hanno trovato presto o tardi la morte, proprio in quella casa. Di contro le due figlie hanno vissuto lì la loro infanzia per poi trasferirsi in Europa. Da grande una delle due torna, muore per cause naturali, e lascia in eredità la casa alla dama di compagnia che si suicida proprio nella torre.
A parte quest'ultimo punto, non c'è nulla che faccia pensare a niente di anomalo o surreale.
Andando avanti con la storia, in biblioteca i ragazzi trovano un misterioso e inquietante libro scritto dal padre di famiglia, dedicato ad una delle figlie, e finalizzato ad incuterle timore del peccato e della dannazione eterna.
Più volte nella casa si avverte le presenza di alcuni bambini che talvolta sghignazzano e talvolta piangono e chiedono aiuto, arrivando persino, nel corso di una seduta spiritica, a richiedere la protezione di una mamma.
Ora la mia domanda è, alla luce di quanto scritto, chi sono questi bambini che infestano Hill House?
Di certo non le figlie di Crain che sono cresciute e hanno fatto la loro vita tranquillamente e altrove. Allora chi? Delle presenze antecedenti alla costruzione della casa stessa? 
O forse le voci infantili rappresentano solo il metodo prescelto per fare breccia nell'istinto materno di Eleanor, e quindi sono solo una delle tante manifestazioni del male? Chissà... ma in questo caso quale inerenza avrebbe avuto il rivoltante manoscritto di Crain? 
Se qualcuno l'ha capito, mi dia delucidazioni (fine spoiler).
Personalmente penso che tutto il passato avrebbe meritato maggior approfondimento. Gli ospiti avrebbero dovuto trovare archivi e notizie su eventi traumatici accaduti negli anni, che avevano conferito alla casa la nomea di essere infestata, così come informazioni sulle probabili presenze e su ciò che le legava a quel posto.
Anche ciò che emerge nel corso della seduta spiritica è troppo confusionario, solo pochi accenni che non ci fanno capire cosa stia realmente succedendo.
Amo i finali enigmatici ed elusivi, anche gli scenari ambigui, volutamente aperti a più interpretazioni, ma qui il mistero è fin troppo. Purtroppo questa mancanza ha influito sul mio giudizio che, altrimenti sarebbe stato nettamente più positivo.  
Per il resto, come dicevo prima, non ho niente da recriminare a Shirley Jackson.
Anche perché sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla sua scrittura e dal suo modo di rendere le sensazioni e le emozioni.
In conclusione, se cercate un libro che vi tenga sempre con il fiato sospeso e che vi faccia sentire il brivido di un nemico che si muove nell'ombra, questo libro potrebbe fare per voi.
Che aspettate allora? Fate pure i bagagli. E, non preoccupatevi, ad Hill House c'è posto per tutti. La strada per arrivarci è semplice, il difficile è solo andare via.

Curiosità:
Dal libro sono stati tratti diversi adattamenti cinematografici, tra cui il film, del 1999, "Haunting - Presenze", che ha visto la partecipazione di Liam Neeson e Catherine Zeta Jones, e la serie tv dello scorso anno, disponibile su Netflix, "The Haunting of Hill House". Entrambi però si ispirano solo in parte al romanzo, avendo dato agli eventi, e ai personaggi, risvolti molto diversi da quelli previsti dalla scrittrice.

il mio voto per questo libro