lunedì 30 novembre 2020

Review Party "Alice, Dorothy & Wendy" - Recensione: "Peter Pan nei giardini di Kensington" e "Peter e "Wendy" di James M. Barrie


Salve avventori!
Come vi avevo già annunciato con il precedente post dedicato a questo volume (lo trovate QUI) , in cui mi sono divertita ad analizzare la crescita delle tre eroine Alice, Dorothy e Wendy durante i loro magnifici viaggi così pazzeschi e surreali, oggi, per il Review Party recensirò la sezione del libro dedicata a Wendy, la diligente ragazzina londinese che ha ceduto alle promesse di divertimento e avventure del ragazzino che non voleva mai crescere.
La sezione dedicata a Wendy comprende le seguenti storie:
Peter Pan nei giardini di Kensington
Peter e Wendy
Di seguito la mia recensione :)

Titolo: Alice, Dorothy & Wendy
Autore: Lewis Carroll, J.M Barrie, L. Frank Baum 
Editore: Oscar Mondadori
Data di pubblicazione: 17 novembre 2020
Pagine: 540
Prezzo: 25,00€ 

Trama:
Alice e le sue avventure nel favoloso Paese delle Meraviglie, di là e di qua dallo specchio. Wendy, l’amica di Peter Pan che per molti lettori è la vera eroina dei romanzi con il bambino che non vuole crescere. Infine Dorothy, la piccola protagonista portata da un tornado nel fantastico mondo di Oz. 
Tre ragazzine curiose e audaci, al centro di tre grandi classici che, ciascuno a suo modo, hanno saputo celare sotto le spoglie del racconto di fantasia messaggi e metafore della vita. 

"Peter Pan nei giardini di Kensington" e "Peter e "Wendy":
L’indimenticabile figura dell’orfano Peter, il bambino che non vuole crescere e che sa volare, nasce dalla fantasia di James Matthew Barrie che nel 1906 pubblica le storie di Peter Pan nei Giardini di Kensington. 
Ma è nel famosissimo Peter e Wendy del 1911 che fa la sua comparsa il ragazzino che tutti conosciamo: è in questo romanzo che si raccontano le straordinarie avventure di Peter e dei Bimbi Sperduti sull’Isolachenoncè, in un mondo popolato di pirati, sirene, fate, indiani. Eroe di avventure ricche di colpi di scena, tra epici combattimenti e atmosfere sognanti, Peter Pan è diventato il simbolo dell’infanzia come momento di infinita libertà creativa della fantasia e di ribaldo rifiuto degli adulti e delle loro bizzarre convenzioni.

Recensione:
Come già detto, questa meravigliosa raccolta contiene, al suo interno, i grandi classici per ragazzi scritti dalle penne di Lewis Carroll, J.M Barrie e L. Frank Baum.
La sezione dedicata a Wendy racchiude sia il libro "Peter Pan nei Giardini di Kensington", che lo scritto successivo "Peter e Wendy".
Ma andiamo con ordine.
Il personaggio di Peter Pan appare per la prima volta nel 1902, nella raccolta di racconti intitolata "L'uccellino bianco".
Le storie narrate in quel volume sono ambientate nei Giardini di Kensington, e in queste Peter, non è che un personaggio minore tra i vari narrati.
Il libro non ebbe un vasto seguito, ma successivamente andò in scena l'opera teatrale che metteva in scena il Peter Pan che tutti noi conosciamo, l'eterno ragazzino indisponente che non vuole proprio saperne di crescere. Ed è da quest'opera teatrale che, successivamente, Barrie ha tratto il romanzo "Peter e Wendy", il suo più grande successo.
Ed è proprio in seguito a questo gran successo, che l‘autore, raccolse i capitoli che interessavano la storia del neonato Peter Pan, presenti nel già pubblicato "L'uccellino bianco" (dal cap. 13 al 18) e li ripubblicò in un'opera autonoma e indipendente, dal titolo "Peter Pan nei giardini di Kensington".

Il libro in questione è antecedente a quello che narra del più noto Peter Pan, il bambino che viveva nell’Isolachenoncè, e nonostante le somiglianze fra i due personaggi, non si tratta di un prequel.
Pur presentando un personaggio con lo stesso nome e con molte caratteristiche simili (tra cui il desiderio di non voler crescere), e riprendendo parecchi spunti dai quei racconti ambientati nei Giardini, le due storie sono separate e indipendenti.

"Peter Pan nei Giardini di Kensington" è una storia suddivisa in sei capitoli, in cui protagonisti sono soprattutto i Giardini stessi, che non ne costituiscono solo l'ambientazione, ma hanno una parte fondamentale all'interno delle storie.
Parlo di storie perché, effettivamente, ogni capitolo si potrebbe considerare una piccola storia a sé, ognuna focalizzata su un aspetto diverso, ognuna che aggiunge un piccolo pezzo al puzzle, che si ricompone, via via, sotto ai nostro occhi.
Il racconto si apre con una passeggiata nei Giardini che vengono presentati e descritti al lettore in tutta la loro straordinaria bellezza e a cui, capitolo dopo capitolo, vengono aggiunti dettagli e/o personaggi, che abitano il parco o che lo hanno abitato in passato.
Ed ecco che facciamo la conoscenza di Peter, un bimbo che, quando aveva appena una settimana di vita, ha preferito la libertà e l'incertezza di una finestra aperta a mille possibilità, alla confortevole - ma forse troppo noiosa - nursery da poppante.
Così, senza pensare troppo alle conseguenze, e con non poco egoismo (caratteristiche che troveremo anche nel Peter descritto in "Peter e Wendy"), il piccolo vola via dall'abbraccio materno, per fluttuare sui tetti di Londra e trovare rifugio nei tanto agognati Giardini.
Qui Peter farà amicizia con gli uccelli che vivono sull'isola al di là della Serpentina, e con le fate che, solitamente molto dispettose, avranno una particolare e speciale predilezione per lui.
E dopo mesi e mesi passati a girovagare tra le aiuole, a navigare la Serpentina, a giocare con i vari oggetti lasciati in giro dai visitatori diurni, Peter esprimerà il desiderio di tornare dalla sua mamma.
Peter, pur non dicendolo apertamente, si rende conto di non aver dato vera importanza alla sua scelta, e di aver preso una decisione molto importante, troppo alla leggera. 
Ed ecco che il rimpianto inizia a farsi strada in lui e nel suo cuoricino di bambino egoista.
Così, in una sera come un'altra, vola alla finestra della sua cameretta e, trovandola aperta, si siede accanto alla sua mamma che dorme con il viso bagnato dal pianto, perché ancora soffre il suo piccolino sparito nel nulla, e suona un po' il flauto per lei.
Ed ecco che torna il momento di fare una scelta: andare o restare?
Ma, ancora una volta, il richiamo della finestra e la libertà che essa promette è troppo forte.
Peter dice a se stesso che tornerà, il tempo di salutare gli amici, navigare ancora un po’ il fiume, sorvolare ancora i giardini un paio di volte... tornerà, tanto per lui la finestra sarà sempre aperta.
Ma i mesi passano, e Peter, come spesso fanno i bambini, continua a temporeggiare prestando poca importanza alle sofferenze e ai desideri altrui, e quando finalmente si decide a tornare a casa riceverà l'amara sorpresa...
E seppur Peter sia stato egoista e superficiale, in quel momento è impossibile non empatizzare con lui, impossibile non desiderare di stringerlo forte fra le braccia.

Alla fine partì in gran fretta, perché aveva sognato che la mamma stava piangendo. 
Lui conosceva la causa di quelle lacrime e sapeva che un abbraccio del suo meraviglioso Peter avrebbe riportato subito il sorriso sulle labbra della mamma. 
Oh, ne era così certo, e desiderava così tanto rannicchiarsi fra le sue braccia, che questa volta volò subito alla finestra che sarebbe dovuta restare sempre aperta per lui. 
Ma la finestra era chiusa, e avevano montato anche un’inferriata. Guardando all'interno, Peter vide la madre che dormiva tranquillamente con un altro bambino fra le braccia. 
Peter la chiamò: «Mamma! Mamma!» ma lei non lo udì. 
Invano batté le manine sulle sbarre di ferro. 
Dovette tornare ai Giardini, singhiozzando, e non rivide mai più la sua cara mamma. 
Che ragazzo straordinario avrebbe voluto essere per lei! Oh, Peter! 
Noi che abbiamo commesso il grande errore, ci comporteremmo in tutt'altro modo alla seconda occasione. Ma Salomone aveva ragione: non ci sono seconde occasioni, almeno per la maggior parte di noi. Quando arriviamo alla finestra è Ora di Chiusura. Le sbarre di ferro si sono alzate per sempre.

Infine ai giardini conosciamo la piccola Maimie che, con suo fratello maggiore Tony, ne è una frequentatrice abituale.
La sua storia, come quella di Peter, è ormai nota a tutti, ogni bambino sa chi è! Perché Maimie Mannering è stata la prima bambina a restare un'intera notte nei giardini! La prima bimba per cui le fate hanno costruito la loro famosa Casetta.
Maimie in quella notte nei giardini fa la conoscenza di Peter, tra i due nasce subito un’immediata simpatia, e Peter le propone di restare per sempre con lui... ma ecco che Maimie non fa il suo stesso errore, ci pensa solo per qualche istante... e poi il timore... e se anche la sua mamma chiudesse la finestra?
Ed è da lei che sceglie di tornare, lasciano il povero Peter da solo, con il suo sogno di non crescere mai e restare speciale per sempre.

Seppur, come vi dicevo, “Peter e Wendy” non sia il seguito di questa storia, ne riprende moltissimi aspetti, caratteristiche e anche qualche aneddoto.
Qui Peter è un ragazzino con i denti da latte (non un neonato di una settimana), ma anche lui, ad un certo punto, racconta una storia molto simile a quella narrata dal Peter dei Giardini: anche la sua mamma ha chiuso la finestra, anche sua mamma lo ha sostituito con un altro bambino, e da qui nasce il suo odio per le mamme e il desidero di averne una tutta per lui.

Così, una sera, Peter entra nella cameretta dei Darling, dove Wendy, John e Michael dormono sereni, e propone alla ragazzina, e ai suoi fratelli di seguirlo sull’Isolachenoncè, dove li attenderanno fate, sirene, pirati, una tribù di pellerossa e tantissime avventure, e... ci potranno arrivare volando!
Come resistere ad un ritratto così allettante?
I ragazzi non se lo fanno ripetere due volte e, senza volgere nemmeno un pensiero a ciò che lasciano alle loro spalle (due genitori affettuosi e premurosi, Mr e Mrs Darling. e la loro tata Nana, un cagnolone molto materno), volano via, lasciando dietro di sé solo tre lettini vuoti e una finestra spalancata su una notte piena di stelle.

Seconda a destra e poi dritto fino al mattino... ed eccoli sull'Isola dove li attenderanno davvero tutte le avventure che Peter ha loro promesso.
Battaglie all'ultimo sangue, guerre sanguinolente, coccodrilli in cerca di prede succulente, sirene suscettibili, fatine gelose e vendicative e un gruppetto di Bambini Sperduti desiderosi di una mamma che badi a loro.

E Wendy sarà per un po’ la mamma che tutti loro cercano, si occuperà del cibo, del bucato, e intratterrà i bambini raccontando loro mille storie.

E poi c’è Peter, ovviamente, e il suo conflitto, mai sopito, con Capitan Uncino, un capitano gentiluomo, il cui essere pare in eterno conflitto tra crudeltà e osservanza delle buone maniere.

Ma “Peter e Wendy” è molto più che uno storia d’avventura per bambini, come in “Peter nei Giardini di Kensington”, anche qui c’è una forte componente malinconica e nostalgica.
Peter, pur sembrando, ad una prima occhiata superficiale, un bambino felice, che non potrebbe desiderare null'altro in più di ciò che ha (quale bambino non vorrebbe essere lui, anche solo per un istante?), rivela, in realtà, tutta l'infelicità dell’essere umano che sacrifica la vera felicità per seguirne una effimera e di poco valore.

Tutti i personaggi di questa storia, del resto, si rivelano estremamente egoisti.
Dopotutto come dice lo stesso Barrie, i bambini sono “spensierati, innocenti e senza cuore”.
Ed egoisti lo sono Wendy, John e Michael quando vanno via di casa senza farsi troppi scrupoli.
Lo è Campanellino, che più di una volta attenta alla vita di Wendy, per la gelosia che prova nei suoi confronti.
Lo sono i Bambini Sperduti nei confronti di Peter, quando lo abbandonano senza il minimo senso di colpa.
Lo è Peter che fino all'ultimo cerca di ingannare Wendy, pur di tenerla con sé.

Ma è lo stesso Peter - quello che nell'immaginario collettivo è un bambino felice e spensierato - a farne le spese.
Resta solo, destinato ad una vita di solitudine, e di ricordi perduti, perché egli stesso sceglie quella strada, e la sceglie per sfuggire alle responsabilità e ai doveri che la vita da adulto comporterà. 
Sceglie di non crescere, di restare bambino per sempre, rinnega le responsabilità e allo stesso tempo si nega una vita di amore e affetto.

«Mamma!» gridò Wendy.
«È Wendy!» mormorò lei, credendo ancora si trattasse di un sogno.
«Mamma!» 
«E questo è John!» «Mamma!» gridò Michael, che adesso la riconosceva. 
«Questo è Michael!» esclamò lei, e tese ai tre piccoli egoisti le sue braccia che non avrebbero dovuto abbracciarli mai più. Invece li abbracciarono, si strinsero intorno a Wendy, a John, a Michael che erano sgusciati dai lettini ed erano corsi a lei. 
«George! George!» gridò la signora non appena poté parlare.» 
Il signor Darling si svegliò e prese parte alla sua felicità. Quanto a Nana, giunse di corsa. Non poteva esserci più dolce spettacolo, ma non c’era nessuno a vederlo, all'infuori di uno strano ragazzo che spiava da dietro i vetri della finestra. 
Quel ragazzo conosceva estasi meravigliose che gli altri ragazzi non potevano nemmeno immaginare. Ora stava osservando, attraverso i vetri di una finestra, la sola gioia dalla quale sarebbe stato escluso per sempre.»

Non ho provato simpatia per quasi nessun protagonista di questa storia, fatta eccezione solo per Capitan Uncino (e questo la dice lunga XD), in particolare modo non ho provato simpatia per Peter Pan, che rappresenta in sé molti dei maggiori difetti dell’essere umano: è egoista, vanesio, superficiale, egocentrico, anafettivo, antipatico, arrogante, prepotente e presuntuoso.
Quel Peter non mi è piaciuto, ed è lui quello che, immagino, dovrebbe far sognare stuoli di bambini e far loro desiderare di essere come lui...

Invece ho provato molta tenerezza per Peter in quei brevi spiragli in cui si può percepire tutta la sua umanità e debolezza. Quando resta fuori dalla finestra a osservare ciò che ha scelto di perdere, quando dimentica tutto ciò che gli succede, sia le avventure più straordinarie, sia le amiche di una vita... comprese le fatine che sono quasi morte per lui. Quando scoppia in lacrime scoprendo che Wendy è cresciuta, come se, crescendo, lo avesse tradito.
E probabilmente Peter dimentica tutto, compreso chi ha amato e ama per evitare di soffrire, un ennesimo (ma comprensibile) gesto di codardia, per salvaguardare se stesso.
Non mi aspettavo di leggere una storia tanto triste, e non mi aspettavo di leggere una storia tanto profonda... d'altronde Peter Pan è per tutti il simbolo della gaiezza, spensieratezza e felicità, e non avrei mai pensato che la sua storia celasse così tanta solitudine, sofferenza e abbandono.
Una storia che può piacere o no, ma che sicuramente non lascia indifferenti, un libro che si chiude lasciando un piccolo peso nel cuore.

Sicuramente tra le storie presenti in questo volume sono proprio i libri di Barrie quelli che mi hanno toccato e coinvolto maggiormente, come già detto non ho amato i protagonisti, anzi li ho mal sopportati per la maggior parte del tempo XD, ma ho sofferto con loro, ho sofferto per Peter per ciò che ha perso e per cui non ha mai voluto lottare.

Ringrazio Mondadori per avermi omaggiato di una copia di questo libro

il mio voto per questo libro:

domenica 29 novembre 2020

Recensione: "Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio" di Katherine Rundell

Titolo: Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio
Autore: Katherine Rundell
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 25 febbraio 2020
Pagine: 63
Prezzo: 8,50 €

Trama:
Katherine Rundell firma un’appassionata difesa della letteratura per ragazzi, contro i pregiudizi e gli snobismi di chi pensa che leggerla dopo una certa età sia bandito. 
Ma chi lo ha detto che c’è un’unica direzione di lettura nella vita? Che non si possa andare avanti e indietro, mischiare i generi, leggere contemporaneamente Joyce e Dahl, i saggi di Derrida e le avventure di Mary Poppins? 
Leggere libri per ragazzi da adulti non è regredire, non è tornare indietro, ci spiega l'autrice con puntuta saggezza, al contrario se li abbandoniamo del tutto «lo facciamo a nostro rischio e pericolo, perché rinunciamo a uno scrigno di meraviglie che, guardate con occhi adulti, possiedono una magia completamente nuova».

Recensione:
La narrativa ha molti pregi, riesce a farci viaggiare verso mondi nuovi, lontani nello spazio e nel tempo, amplia i nostri orizzonti - e a dirla tutta anche il nostro vocabolario - ci fa distrarre, ci permette di stare in compagnia quando ci sentiamo soli o giù, e ci regala un angolo di solitudine, quando abbiamo invece bisogno di sfuggire alla realtà e staccare la spina.
Tuttavia, quando si parla della letteratura per ragazzi, molti, cavalcando ogni sorta di pregiudizio, tendono a storcere il naso, quasi non fosse altro che una sottosezione di serie b, infantile e poco profonda.
Niente di più lontano dalla verità!
I libri destinati ad un pubblico giovane sono capaci, come pochi altri, di toccare le corde del cuore dei loro destinatari, di imprimere un segno indelebile che li accompagnerà anche nell'età adulta, di aiutarli a crescere e a diventare persone responsabili e consapevoli.
E poi chi ha detto che i libri per ragazzi possono essere letti solo da questi ultimi?
La scrittrice Katherine Rundell ha reso pubblico questo breve trattato proprio per sovvertire la, quanto mai errata, opinione generale.  

La letteratura per ragazzi ha una lunga e nobile storia di scarsa considerazione. 
Sul volto di certe persone si disegna un sorrisetto particolare quando racconto loro che cosa faccio, più o meno lo stesso che mi aspetterei di vedere se dicessi che costruisco minuscoli mobili da bagno per elfi. 
Scrivo narrativa per ragazzi da oltre dieci anni ormai, e faccio ancora fatica a darne una definizione. 
Ma so con certezza, una certezza maggiore di quella che ho su quasi tutto il resto, ciò che non è: non è solo per ragazzi.

È facile pensare che il percorso di lettura di ogni individuo debba procedere a tappe, dalle fiabe attraverso i racconti d'avventura, sino ad arrivare ai romanzi di formazione, alla saggistica di un certo spessore, per atterrare infine ai trattati politico-filosofici e via dicendo.
Una sorta di scala con livelli e difficoltà progressive che bisogna salire a passo deciso, e senza voltarsi mai indietro.
Ma come sarebbe noiosa la vita, se tutti noi facessimo davvero così, se ad un certo punto della nostra vita guardassimo esclusivamente programmi culturali, sfogliassimo solo riviste specialistiche, ci dedicassimo unicamente a ciò in cui possiamo ritenerci altamente qualificati. 
Come è rilassante invece, ad un certo punto della giornata, abbandonare il lavoro, le scadenze e le preoccupazioni, e rifugiarci in una bella storia di fantasia, salire su una nave di pirati, su un treno magico, o cavalcare in direzione di verdi colline.
Ritrovare nelle pagine un fresco ristoro o un accogliente pertugio, in cui sostare per un'ora o due.

La letteratura per ragazzi ha l'infanzia al suo cuore, non è scritta dai ragazzi: sta lì, accanto a loro, ma non è la loro. 
Ci aiuta a ritrovare quello che magari non sapevamo neanche di aver perso. La vita adulta è piena di cose dimenticate. E i libri per ragazzi non sono un posto in cui nascondersi, sono un posto in cui cercare.

Ma la letteratura per ragazzi non è solo fantasia smodata e avventure senza limiti e confini, ma anche, e soprattutto, emozione.
Spesso si dimentica che chi scrive, indipendentemente dal target di riferimento, è un adulto che ha alle spalle un certo percorso di vita. Perciò anche gli autori che si dedicano ai bambini o ai ragazzi non fanno certo eccezione: nei loro lavori mettono le loro esperienze, le sfide che hanno dovuto affrontare, che li hanno fatti crescere e maturare, le gioie che li hanno aiutati ad aver fiducia nel mondo e nel prossimo, ma anche i traumi che li hanno piegati e gli hanno spezzato il cuore.
Spesso, nelle loro parole, sono nascoste importanti lezioni di vita, i saggi consigli di chi ci è già passato e, bene o male, sa come venirne fuori. Sono scialuppe di salvataggio i racconti di fantasia, a cui è possibile aggrapparsi quando non si riesce più a stare a galla, ma sono anche selvagge avventure e puro divertimento per quando si vuole solo fuggire e dimenticare. Sono amici fedeli che ti aspettano anche quando diventi grande, quando vuoi ricordare e ritrovare ciò che credevi perduto.

Quando scrivo, scrivo per due persone: la me di quando avevo dodici anni e la me di oggi, e il libro deve soddisfare desideri diversi ma intrecciati. 
La me stessa di dodici anni voleva autonomia, pericolo, giustizia, cibo e soprattutto un’atmosfera dentro la quale immergersi e da cui farsi risucchiare. La me stessa adulta vuole queste cose insieme a paura, amore, fallimento; segnali del verme che vive dentro il cuore dell’uomo.

Sulla base di questa linea principale, la Rundell ci guida in un affascinante percorso alla scoperta della letteratura per ragazzi, a partire dal suo bagaglio personale, sino ad arrivare alla storia del genere: dai primi manuali pedagogici di fine Quattrocento, sino ad approdare alle favole e ai veri romanzi dedicati ai bambini di inizio Novecento, dove finalmente i protagonisti sono pargoli ribelli, pestiferi e curiosi, pronti a tutto pur di esprimere se stessi.
Ovviamente il discorso poi tocca anche altri punti, ad esempio l'importanza del sistema bibliotecario e dell'accesso gratuito ai libri, il valore dell'inclusività, e persino la possibilità di trasmettere, attraverso la scrittura, anche messaggi politicizzati o di portata universale.
Tuttavia, al centro di tutto, rimane sempre il potere che la letteratura per ragazzi è capace di esercitare sui lettori di qualsiasi età e di qualunque luogo. 

Chi scrive per ragazzi cerca di armarli con tutta la verità possibile per la vita che verrà. 
E forse, segretamente, di armare anche gli adulti contro quei necessari compromessi e quelle sofferenze che la vita porta con sé: per ricordare loro che ci sono, e ci saranno sempre, alcune grandi e fondamentali verità alle quali possiamo tornare.

"Il calcio galvanizzante" dell'immaginazione la quale, se stimolata dalla carta stampata, ci permette di viaggiare verso mondi sconosciuti, immedesimarci in nuove vite, diverse dalla nostra eppure stranamente simili, di provare empatia, gioia e forse anche dolore. Di sentire tutte le emozioni del mondo in una volta sola, di aprire la porta alla paura, e nel caso di noi adulti anche al passato, e di richiuderla con fermezza quando pensiamo di non averne più bisogno, consapevoli che potremo sempre tornarci un giorno, forse tra un mese, forse tra un anno, o magari anche domani.

Ringrazio la casa editrice Rizzoli per avermi fornito una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

sabato 28 novembre 2020

Recensione: "Anna dai capelli rossi" di Lucy Maud Montgomery

Titolo: Anna dai capelli rossi
Autore: Lucy Maud Montgomery
Editore: Gallucci
Data di pubblicazione: 21 giugno 2018
Pagine: 362
Prezzo: 13,90 € 

Trama:
Matthew e Marilla conducono una vita abitudinaria nel pacifico paesino di Avonlea. Ormai anziani, decidono di adottare un orfano che li aiuti a mandare avanti la fattoria. Ma invece del ragazzo promesso dall’orfanotrofio, a casa Cuthbert arriva Anna, una bambina dotata di una inesauribile immaginazione che finirà per conquistare tutti. 

Recensione:
Non molto tempo fa, parlandovi di un romanzo per ragazzi, vi avevo detto che, a mio modesto parere, i libri capaci di lasciare una traccia indelebile nella nostra mente sono quelli che, nel corso delle pagine, ci regalano personaggi straordinari, unici nel loro genere.
E parlando di protagoniste stravaganti ed eccentriche, come non citare Anna Shirley, la bambina dai capelli rossi, perennemente con la testa tra le nuvole? 
Impossibile leggere le sue avventure, o per meglio dire le sue disavventure, e non affezionarsi a quel tipino strambo che non fa che combinare, pur senza volerlo, un guaio dopo un altro.
Anna è la vera anima del romanzo, la linfa vitale che pervade ogni capitolo, colei che ci fa emozionare, regalandoci immagini di estrema poesia ma anche aneddoti ricchi di umorismo e autoironia.
Lei è un vero vulcano di energia, di emozioni e di idee, una testa sempre in moto che non smette di immaginare e fantasticare, di ideare grandi castelli di sabbia e, con la stessa facilità, di distruggerli al minimo soffio di vento. Anna è indomita e volubile, è pace e spensieratezza, ma è anche rabbia, malinconia e profonda tristezza. È ogni sfaccettatura dell'animo umano, è la dicotomia che ognuno di noi ha dentro.

Dentro di me devono esserci tante Anna diverse, a volte penso che sia per questo che sono una persona così difficile. 
Se fossi un’Anna sola sarebbe tutto molto più facile, ma anche molto meno interessante.

Tuttavia la piccola Shirley, per quanto speciale, è solo una goccia limpida in un mare altrettanto nitido e trasparente, perché se Lucy Maud Montgomery ha dato il meglio di sé nel dar vita alla romantica sognatrice che presta il nome all'opera, non si è certo risparmiata nel ritrarre la magica cittadina di Avonlea e i suoi poliedrici abitanti.
Il lettore non potrà fare a meno di sentirsi parte di quell'isola così accogliente e suggestiva. Grande merito, in questo caso, va senza dubbio conferito alla penna della scrittrice, così esperta nell'uso delle parole da riuscire a rendere anche la più misera descrizione un piccolo quadro da incorniciare e fissare alla parete. 
Che si parli di tramonti, selve oscure, laghi splendenti, torrenti impetuosi o semplicemente di viali alberati, poco importa, le scene raffigurate appariranno sempre talmente perfette che sembrerà di sognare ad occhi aperti.
E che dire poi di Matthew e Marilla, l'anziana coppia di fratelli che decide di dare un tetto all'undicenne Anna, appena giunta sull'Isola del Principe Edoardo? 
Due personaggi così diversi eppure amabili allo stesso modo: lui, tenero e taciturno, non fa che assecondare i voli pindarici della figlia adottiva ed invitarla a credere sempre in se stessa; lei, apparentemente più integerrima e severa, cerca di tenere Anna con i piedi ben saldi per terra, ma allo stesso tempo non può evitare di rimanere contagiata dall'allegria e dalla fantasia di quello spirito libero.

Anna rimase in silenzio finché non imboccarono il vialetto di casa. Furono accolte da un venticello vagabondo, che portava con se il profumo speziato delle felci umide di rugiada. Tra le ombre degli alberi, la luce allegra della cucina di Green Gables brillava in lontananza. Tutto a un tratto Anna si accostò a Marilla e fece sgusciare la sua manina nel palmo calloso della donna.
«È bello tornare a casa e sapere che quella è casa» disse «voglio già bene a Green Gables, e non ho mai voluto veramente bene a un posto prima d'ora. Nessun posto mi aveva dato la sensazione di casa. Oh Marilla, sono così felice. Potrei quasi mettermi a pregare senza trovarlo difficile». 
Una piacevole sensazione di calore si diffuse nel petto di Marilla quando sentì il tocco di quella manina, forse una scintilla di affetto materno che non aveva potuto esprimere.

La quotidianità a Green Gables è calda e avvolgente come una coperta, tra quelle quattro mura ci si sente a casa, mentre fuori, nel placido mondo di Avonlea, si respira la fresca brezza del vento e si ha l'impressione di essere cullati da madre natura.
Questo romanzo ha un effetto balsamico e calmante, come pochi altri.
Leggendolo non si può non avvertire il clima sereno e disteso dell'isola, grazie non solo alle meravigliose ambientazioni, ma anche a tutti i simpatici personaggi.
Inoltre, aspetto da non sottovalutare, non credo di aver mai riso così tanto leggendo un libro, e questo è dovuto principalmente ad Anna e ai suoi dialoghi con Marilla.
Le due insieme sono assolutamente spassose, anche se già le bizzarrie di Anna basterebbero a strappare un sorriso anche al pubblico più serioso.
 
«Marilla, non è bellissimo pensare che domani comincia un nuovo giorno, uno in cui non ho ancora fatto niente di sbagliato?» 
«Qualcosa farai di sicuro» disse Marilla «non ho mai visto nessuno più bravo più di te a sbagliare, Anna» 
«Sì, hai ragione» ammise Anna con aria desolata «però qualcosa di positivo c'è, non so se l'hai notato Marilla: non faccio mai due volte lo stesso errore» 
«Non sono convinta che questo migliori di molto le cose, visto che continui ad inventarne di nuovi» 
«Oh, ma non capisci, Marilla? Dev'esserci un limite al numero di errori che una persona può commettere, perciò quando lo avrò raggiunto sarò a posto per sempre. È un pensiero confortante»

E parlando di Marilla, credo che lei sia una delle rivelazioni del libro. Man mano che si va avanti con i capitoli, vien fuori la sua dolcezza e la voglia di amare e sentirsi amata. L'anziana donna, così abituata alla solitudine, grazie alla convivenza con quella ragazzina buffa, che non fa che blaterare di sogni nel cassetto e di grandi e irrimediabili tragedie, riscoprirà l'importanza dell'istinto materno e dell'affetto, che sbocceranno in lei inaspettatamente, come fiori. 
In conclusione "Anna dai capelli rossi" è uno di quei libri straordinariamente adatti a qualsiasi lettore di qualunque età. Sicuramente lo consiglierei ai ragazzini, e ancor più alle ragazzine, che potrebbero facilmente riconoscersi, e in alcuni casi, anche farsi ispirare da Anna e dalle sue ambizioni. E lo raccomanderei agli adulti perché la storia narrata da Montgomery è una di quelle che ti riporta all'infanzia, ai ricordi indelebili di quando si era bambini, spensierati, liberi e, soprattutto, felici.

Considerazioni:
Quanto ho amato questo libro! E quante volte, tra un capitolo e l'altro, ho sospirato e pronunciato la frase "come vorrei essere a Green Gables in questo momento".
Ebbene sì, perché la casa di Matthew e Marilla, così come la ridente cittadina, è un luogo così meraviglioso da rapirti, e da farti desiderare di ritrovarti davvero lì a passeggiare per il Viale degli Innamorati o per la Bianca Strada delle Delizie, di svegliarti salutando il vecchio ciliegio in fiore, meglio noto come La Regina delle Nevi, di sostare a fare un picnic sulla riva del Lago Lucente o presso la Sorgente delle Driadi.
Per non parlare poi dei personaggi: dopo un'iniziale ritrosia, Anna viene accolta a braccia aperte da tutti, dai compagni di scuola che vedranno in lei un faro, una persona cui ispirarsi, ma anche la fonte dei loro divertimenti; dai vicini di casa, come la brusca Rachel Lynde, la signora Allan e la signorina Josephine, che rimarranno conquistati dalla sua bizzarria e dalla sua spiazzante sincerità, sino ad arrivare al resto della comunità. Tutti loro insieme fanno battere il cuore di Avonlea, e ci regalano una valanga di emozioni e di risate.
In realtà questo romanzo rappresenta uno dei rari casi in cui per trovare dei difetti bisogna davvero impegnarsi. Certo, il personaggio di Anna è un po' troppo melodrammatico, soprattutto considerando il passato tragico che ha alle spalle (la morte prematura dei genitori, e le famiglie per cui è stata costretta a lavorare in tenera età), e a volte sembra fin troppo ossessionata dall'amica Diana, tuttavia queste note eccessive rendono la ragazza così singolare e strampalata da suscitare una certa ilarità, piuttosto che fastidio. 

«Diana e io ci siamo appena dette addio giù alla fonte, è un momento che ricorderò per sempre. Ho parlato nella maniera più drammatica possibile, con un sacco di metafore. Le metafore rendono sempre tutto molto più romantico. 
Diana mi ha dato una ciocca dei suoi capelli, la cucirò dentro un sacchettino che porterò al collo per tutta la vita. Ti prego, assicurati che lo abbia quando mi seppelliranno, non credo infatti che vivrò ancora a lungo. Forse quando la signora Barry vedrà il mio corpo freddo e morto ai suoi piedi proverà un po' di rimorso per quello che ha fatto e permetterà a Diana di venire al mio funerale» 
«Non credo ci sia pericolo che tu muoia di dolore Anna, fintanto che continui a parlare» disse Marilla, insensibile.

Una cosa però che mi ha dato dispiacere c'è davvero: il tempo a Green Gables scorre troppo velocemente. Già solo in questo primo libro la protagonista cresce di cinque anni, e gli ultimi capitoli sono tutti quasi interamente dedicati allo studio e alla preparazione per l'esame di ammissione alla Queen's Academy. La ragazzina che combinava marachelle è maturata ed è cresciuta, fino ad essere pronta a spiccare il volo e lasciare il nido. Rappresentando solo il primo di una lunga serie di volumi, avevo sperato che almeno questo fosse interamente incentrato sull'infanzia spensierata della bimba dai capelli rossi, ma purtroppo non è così.
Capisco che, probabilmente, per l'autrice fosse importante mostrare il cambiamento di Anna, il bruco che diventa farfalla, ma se c'è un privilegio che ha la fantasia è quello di saper fermare il tempo, quindi perché non farlo? Perché non regalarci un sogno di un mondo perfetto, senza responsabilità e doveri, ma fatto solo di libertà, girandole di pensieri e corse contro il vento?

Ringrazio la casa editrice Gallucci per avermi fornito una copia cartacea del romanzo

il mio voto per questo libro




venerdì 27 novembre 2020

Recensione: "Il tempo delle streghe" di Cressida Cowell

Titolo: Il tempo delle streghe
Titolo originale: The wizards of once: twice magic
Autore: Cressida Cowell
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 9 aprile 2019
Pagine: 390
Prezzo: 17,50 €

Trama:
Le Streghe stanno seminando distruzione nel Bosco Selvaggio e dietro ogni albero è in agguato un pericolo. Desideria è una ragazza Guerriera in possesso di un potente e magico Libro degli Incantesimi. Xar è un ragazzo Mago con una pericolosa macchia di Strega sulla mano. Era improbabile che questi eroi si incontrassero una prima volta. È possibile che siano destinati a incontrarsi di nuovo?

Recensione:
Ci sono libri per ragazzi che, in quanto portatori di messaggi universali, intimi e profondi, possono essere rivolti tanto ai giovani quanto agli adulti.
Ci sono poi libri scritti espressamente per un pubblico di ragazzini, capaci di dar forma alle loro paure, ai loro sogni, alle loro speranze, alla loro inesauribile voglia di rivalsa.
Bene, "Il tempo delle streghe" appartiene proprio alla seconda categoria.
Come ben sapete, da sempre, io sono un'estimatrice dei romanzi capaci di coinvolgere trasversalmente tutte le età, eppure non disdegno affatto le storie disegnate appositamente per una fascia accuratamente selezionata, come in questo caso.
L'opera della Cowell è ironica e divertente, ma soprattutto fantasiosa e ricca di magia, coraggio e avventura.
I due protagonisti poi, la guerriera Desideria ed il mago Xar (strano definirli così dato che quella dotata di poteri è lei, mentre lui è più portato per le zuffe) incarnano perfettamente il ruolo degli adolescenti in cerca della fiducia, dell'ammirazione, dell'affetto e del rispetto da parte dei loro genitori, rispettivamente la tremenda regina Sychorax ed il rigido mago Incanzo.
Se ben ricordate tutti questi personaggi li avevamo già trovati nel primo capitolo della stravagante saga, ovvero "Il tempo dei maghi".
Come nel romanzo precedente, anche qui la storia è narrata da un misterioso narratore onnisciente (il quale afferma di essere anche uno dei personaggi in azione), che non rinuncia alla sua verve ironica e che rivela i fatti accaduti, e le inevitabili conseguenze, solo poco per volta, facendo molta attenzione a lasciare intatta la suspense.
Anche stavolta Desideria e Xar, nonostante i regni in lotta tra loro, saranno costretti ad unire le forze, in vista di un fine più grande, ovvero l'annientamento delle streghe e, soprattutto, del re Stregone.
Ovviamente in questa ardua impresa saranno accompagnati da molti compagni d'avventura, sia membri storici come la guardia del corpo Stiletto, il gigante Frantumo, il Cucchiaio Magico e i vari spiritelli del giovane mago, sia nuove leve, come il lupo mannaro Solingo e la Chiave Incantata. Tutti daranno il loro contributo e aiuteranno, in un modo o nell'altro, i due ragazzi ad appianare le loro divergenze in favore di un bene comune che porterà, tra le altre cose, anche il consolidamento di un'amicizia davvero speciale.
Una storia che, pur narrando di mirabolanti avventure, atti di eroismo, piani fallimentari e fughe improvvisate, ha come punto focale il rapporto tra genitori e figli, e l'importanza dell'unione, nonostante le insormontabili differenze.
Se da una parte infatti, come accade anche nel primo libro, Xar e Desideria, malgrado i continui ed involontari disastri, dimostrano di essere molto più maturi dei loro rispettivi padre e madre che non ne vogliono proprio sapere di gettare le armi, dall'altra i due protagonisti capiscono anche che fare fronte comune non può che portare vantaggi ad entrambi i regni.
Un libro quindi che, senza abbandonare il suo target di riferimento, riesce a far passare importanti messaggi, non tralasciando né l'intrattenimento né l'analisi delle emozioni delle figure principali che, nel corso delle pagine, daranno più volte voce alle loro debolezze, insicurezze e fragilità.
Ultima nota positiva i disegni - ad opera della stessa autrice -, dei particolareggiati schizzi in bianco e nero che, con la loro semplicità, non possono che conquistare i lettori di ogni età.

Considerazioni:
Quando ho iniziato "Il tempo dei maghi", non ne ero rimasta granché affascinata, a causa sia degli sviluppi un po' troppo prevedibili che dei personaggi i quali, almeno nei primi capitoli, parevano abbastanza stereotipati. 
Con il prosieguo della lettura la mia impressione era mutata in positivo, anche in considerazione del pubblico cui la storia era espressamente rivolta.
Con questo secondo lavoro, devo ammettere che la Cowell ha fatto un bel passo avanti, delineando una narrazione meno scontata e più stimolante, più ricca di intrecci ed anche di ironia. In alcuni punti la trama diviene addirittura tetra ed oscura, mentre in altri nostalgica e sentimentale, come nelle pagine dedicate al passato in comune di Incanzo e Sychorax. Insomma, ce n'è per tutti i gusti!
Altro punto a favore i disegni, che rappresentano per me uno dei fiori all'occhiello dell'edizione, e che sono qui maggiormente presenti e anche più dettagliati.
Inoltre i personaggi che avevamo imparato a conoscere subiscono un'evoluzione: ad esempio Xar, pur conservando il carattere egocentrico e il suo ruolo di combinaguai, riesce in qualche modo a mettere da parte se stesso per venire incontro ai bisogni dei suoi amici, allo stesso modo Desideria, dopo anni di soprusi da parte della sua stessa madre, finalmente tirerà fuori le unghie.
Non dimentichiamo poi le rivelazioni sul Mago Incantatore e la Regina Guerriera, che ci sveleranno dei lati inediti ed imprevedibili.
Unica cosa che non mi ha convinto è stata proprio l'ostinazione di questi ultimi due nel non voler dare ascolto ai loro figli. Al termine dello scorso libro entrambi gli adulti si erano ammorbiditi, facendo una sorta di mea culpa, mentre ora li troviamo più agguerriti che mai, irragionevoli sia nel non voler seppellire l'ascia di guerra - ben consapevoli del vero pericolo che deriva dalle streghe in agguato - sia nel disinteresse per i sentimenti di Xar e Desideria. Insomma la storia si ripete...
In conclusione quella di Cressida Cowell è una saga appassionante e avventurosa, perfetta per i ragazzi che sognano un mondo magico e pieno di sfide ed insidie, ma adatta anche agli adulti che non vogliono rinunciare ad un po' di magia.

Ringrazio la casa editrice Rizzoli per avermi fornito una copia cartacea di questo romanzo

il mio voto per questo libro

giovedì 26 novembre 2020

Alice, Dorothy & Wendy Blogtour: L'importanza del viaggio per la crescita del personaggio



Salve avventori! 
Con sommo piacere oggi ospito la nona tappa del fantastico Blogtour dedicato a questo bellissimo volume che racchiude in sé le grandi storie senza tempo, i classici per ragazzi, scritti dalle penne di Lewis Carroll, J.M Barrie, L. Frank Baum.

♥ Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie
♥ Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò
♥ Il Meraviglioso Mago di Oz
♥ Peter Pan nei Giardini di Kensington
♥ Peter e Wendy
La raccolta prende il nome dalle tre grandi personalità femminili di queste storie Alice, Dorothy & Wendy.
Alice e le sue avventure nel favoloso Paese delle Meraviglie, di là e di qua dallo specchio. 
Dorothy, la piccola protagonista portata da un tornado nel fantastico mondo di Oz.
Infine Wendy, l’amica di Peter Pan che per molti lettori è la vera eroina dei romanzi con il bambino che non vuole crescere. Tre ragazzine curiose e audaci, al centro di tre grandi classici che, ciascuno a suo modo, hanno saputo celare, sotto le spoglie del racconto di fantasia, messaggi e metafore della vita.

Il mio compito per questo Blogtour è analizzare l'importanza che il viaggio ha avuto per le tre piccole protagoniste di queste mirabolanti avventure.
Come sono maturate le tre eroine nel corso dei loro romanzi?


Vorrei iniziare questo post con alcuni versi della poesia che Costantino Kavafis ha scritto nel 1911, in cui spiega quanto sia importante il viaggio per l’essere umano.

Sempre devi avere in mente Itaca
raggiungerla sia il pensiero costante. 
Soprattutto, non affrettare il viaggio; 
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio 
metta piede sull'isola, tu, ricco 
dei tesori accumulati per strada 
senza aspettarti ricchezze da Itaca. 
Itaca ti ha dato il bel viaggio, 
senza di lei mai ti saresti messo 
in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. 
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso 
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Itaca, in questo caso, potrebbe essere una meta come un'altra, perché attraverso qualsiasi esperienza l'essere umano evolve, apprende qualcosa, si migliora, si confronta con cose, persone e culture lontane dalla propria.
Il viaggio è il miglior antidoto contro l'ignoranza e la chiusura mentale. La migliore medicina per apprezzare sia ciò che c'è fuori dal proprio orto, ma anche ciò che c'è al suo interno.
Quanto è bello tornare a casa, e farvi ritorno con il bagaglio ricco di ricordi, esperienze, nozioni, ed emozioni?

E non esistono solo i viaggi con biglietto e passaporto, noi lettori lo sappiamo bene, ci basta prendere un libro, aprirlo e ritrovarci catapultati in mondi fantastici e immaginari, e anche questi ci aiutano a crescere, a immedesimarci nei protagonisti e nelle loro vicissitudini, a sviluppare empatia nei confronti degli altri e verso situazioni che non abbiamo mai vissuto (e spesso non potremo mai vivere), in prima persona. 

A metà del diciannovesimo secolo la carta divenne più economica e alla letteratura per l’infanzia veniva riconosciuto un valore sempre maggiore.
È da qui che le storie che hanno come protagonisti i ragazzi e le loro avventure e/o disavventure iniziano a spopolare e ammaliare un pubblico sempre maggiore.
Storie nuove e diverse che distorcono un po’ sia l’immaginario collettivo della figura del bambino - che non è più solo un piccolo monello da educare - sia il fulcro della storia stessa, che appunto non ha più come scopo solo quello educativo (non c’è nessun pulpito su cui l’autore si erge a giudice o maestro di vita), ma si trasforma in una grande avventura, in cui il piccolo protagonista si forma da solo, durante il viaggio che percorre e tramite l’esperienza vissuta.

Lewis Carroll, J.M Barrie, L. Frank Baum, scrivono di bambini che si avventurano in mondi sconosciuti e surreali; che abbandonano senza troppi ripensamenti i genitori, per volare su isole sperdute, dove trovano altri bambini che si comportano come spietati assassini senza rimorsi; e di bambini pronti a affrontare mille insidie, pur di fare ritorno a casa.

Il viaggio di Alice

In un pigro e torrido pomeriggio di maggio, la piccola Alice, per sfuggire alla noia, si mette sulle tracce di un buffo coniglietto bianco, che sembra essere diretto in un luogo specifico.
Dove va di tutta fretta? Deve sicuramente avere un appuntamento importante!
È questa curiosità che spinge la bimba, di circa sette anni, a seguirlo e precipitare letteralmente in un mondo assurdo e surreale.
Dove tutto è il contrario di tutto, e nulla sembra avere un senso.

«Alice cominciava a non poterne più di stare seduta sull'erba accanto alla sorella, senza far niente; una volta o due aveva provato a sbirciare il libro che la sorella leggeva, ma non c’erano figure né dialoghi, “e a che serve un libro” aveva pensato Alice “senza figure e senza dialoghi?” 
Ragion per cui stava cercando di decidere fra sé (meglio che poteva, perché il caldo della giornata la faceva sentire torpida e istupidita) se il piacere di confezionare una collana di margherite sarebbe valso la pena di alzarsi e cogliere i fiori, quand'ecco che d’un tratto le passò accanto di corsa un coniglio bianco dagli occhi rosa. 
In questo non c’era niente di tanto notevole; né ad Alice parve dopotutto così straordinario sentire il Coniglio dire fra sé: «Povero me! Povero me! Sto facendo tardi!» (ripensandoci in seguito, le venne in mente che avrebbe dovuto meravigliarsi, ma lì per lì la cosa le sembrò assolutamente naturale); ma quando il Coniglio estrasse veramente un orologio dal taschino del panciotto, lo guardò e affrettò il passo, Alice saltò in piedi, perché le balenò nella mente di non avere mai visto prima di allora un coniglio fornito di panciotto e di taschino, per non parlare di orologi; e, bruciando di curiosità, lo inseguì di corsa per il campo, dove fece appena in tempo a vederlo sparire in una gran buca sotto la siepe. 
Un attimo dopo Alice si era infilata dietro a lui, senza minimamente riflettere su come avrebbe poi fatto per uscire» .

Alice nel Paese delle Meraviglie non trova amici o alleati con i quali condividere un’avventura e superare le difficoltà. Tutt'altro! I personaggi con i quali la piccola si confronta sono capricciosi, volubili e testardi.
Le pongono indovinelli senza soluzione, le fanno domande che non hanno alcuna risposta possibile, e rispondono ai quesiti della malcapitata con affermazioni assai lontane da ciò che è stato loro richiesto.
Nel Paese delle Meraviglie non c'è logica e non c'è regola.
Il tempo scorre diversamente, gli animali parlano, indossano vestiti e anche orologi da taschino. I gatti sogghignano maliziosamente e spariscono all'improvviso, neonati brutti si trasformano in porcellini e può capitare di trovare bruchi fumatori e carte da gioco che si credono re e regine, con la mania di mozzare teste...
Gli incontri che la bimba fa durante il suo viaggio non sono quasi mai piacevoli: chi la ignora, chi a mala pena le rivolge la parola, chi si dimentica di invitarla a prendere posto alla tavola da tè...

Un viaggio nell'assurdo, un mondo dal quale, comprensibilmente, la piccola Alice non vede l’ora di venire via, ma di cui continua, imperterrita e ostinatamente, a cercare di farne parte.

Alice, infatti, non si comporta in maniera più coerente dei personaggi che incontra.
È spaventata eppure continua a voler entrare nelle case di perfetti sconosciuti, vuole tornare alla sua statura normale e, dopo esserci finalmente riuscita in seguito a mille peripezie, torna a mangiare e bere cose che la fanno nuovamente mutare, pur di poter entrare in un tal posto o vedere una tal cosa.
Si offende quando un personaggio le risponde male, ma non si esime da continuare ad esigere risposte o richiedere la loro attenzione.

Il suo non è un viaggio di crescita, il suo comportamento non cambia e non muta durante il percorso, il suo carattere non evolve, e infatti la piccola protagonista continua immancabilmente a commettere gli stessi errori e a rituffarsi nelle stesse strampalate situazioni.

Il suo cambiamento avviene successivamente, con il risveglio da quel sonno febbrile che l’aveva avvinta.
Alice riemerge dal suo sogno rivalutando in modo positivo la coerente monotonia dei pomeriggi primaverili, dei personaggi a lei familiari, dietro le cui richieste c’è semplicemente affetto sincero e non il desiderio di metterla continuamente in difficoltà con indovinelli senza soluzione e infidi trabocchetti.

Il viaggio di Dorothy

Passa qualche decennio, agli albori del nuovo secolo, e nel torrido Kansas, un’orfanella americana di nome Dorothy Gale e il suo fedele cagnolino Toto, vengono catturati dalla furia di un tremendo tornado, e trasportati in un regno lontano e meraviglioso: Il Paese di Oz!

Il viaggio di Dorothy è molto diverso da quello di Alice, innanzitutto perché Dorothy non sceglie di fuggire via, ma viene scaraventata altrove contro la sua volontà.
E sebbene anche lei incontri, nel suo cammino, diverse difficoltà e avversità da superare, avrà sempre dei compagni e degli amici che lotteranno al suo fianco.
Tutti remano nella stessa direzione, e uniti, affrontano il loro viaggio alla ricerca della risposta ai loro desideri.

Dorothy desidera tornare nel Kansas e ricongiungersi con zia Em e con lo zio Henry.
Lo Spaventapasseri desidera un cervello.
L’Uomo di Latta un cuore.
E il Leone desidera avere coraggio.

Il viaggio per tutti loro è importante, in quanto, proprio nel tragitto che li condurrà dal Mago di Oz, daranno più volte prova, senza neanche rendersene conto, di avere già dentro di sé quelle doti che andavano cercando altrove.

Lo Spaventapasseri dimostra più volte di essere tra tutti il più acuto, il Taglialegna di essere tra tutti il più sensibile, e il Leone che, nonostante la paura, è tanto coraggioso da non tirarsi mai indietro dal difendere i suoi amici.

Tutti questi personaggi hanno in sé ciò che cercano, ma non credendoci, hanno bisogno che un mago regali loro quei doni così tanto ambiti.
In realtà lo sappiamo tutti, il Mago nient'altro è che un ciarlatano, ma il dono più prezioso che fa ai suoi amici, come un bravo omeopata, è una buona dose di fiducia.

Ed è questo il messaggio finale che Dorothy porta con sé al suo ritorno a casa.
Comprende, e ci fa comprendere, quanto sia necessario credere in se stessi, perché dentro, tutti abbiamo le capacità necessarie per farcela, anche se non ce ne rendiamo conto.
La stessa Dorothy, pur non essendone consapevole, ha sempre avuto sotto gli occhi, anzi ai piedi, il modo per tornare a casa.

«Le scarpe d’argento» disse la Strega Buona «hanno poteri meravigliosi. E una delle loro caratteristiche più curiose è che possono portarti in qualsiasi posto al mondo in tre passi, e ogni passo avrà la durata di un batter d’occhio. Non devi fare altro che battere i tacchi tre volte e ordinare alle scarpe di portarti dovunque tu voglia andare.» 
«Se è così» disse felice la bambina «chiederò subito di riportarmi nel Kansas.» 
Circondò con le braccia il collo del Leone e lo baciò, accarezzandogli teneramente il testone. Poi baciò il Boscaiolo di Latta, che piangeva in modo rischiosissimo per le sue giunture. Ma invece di baciare il viso dipinto dello Spaventapasseri si limitò a stringere il suo morbido corpo imbottito fra le braccia, e si sorprese a piangere lei stessa per questo doloroso commiato dai suoi amati compagni.


Il viaggio di Wendy

Da questa parte dell’oceano, a Londra, troviamo Wendy Darling, e i suoi fratelli John e Michael.
Vivono con i loro genitori Mr e Mrs Darling, la tata Nana (un cagnolone materno e abbastanza apprensivo) e la domestica Lisa.
La loro vita svolge serena, ma come resistere alla tentazione che il piccolo e arrogante Peter Pan gli propone?
Volare verso l’Isolachenoncè, conoscere le Fate e le Sirene, combattere i pirati, vivere meravigliose avventure.
Così i tre, senza farsi troppi scrupoli nei riguardi dei loro amorevoli genitori, prendono il volo, seconda a destra e poi dritto fino al mattino...

A differenza di Alice che segue un coniglio senza sapere dove la porterà, e di Dorothy che si ritrova lontana da casa per caso, Wendy sceglie di fuggire via e lo fa senza pensarci due volte.
Così, dopo diversi giorni di volo, approda all’Isolachenoncé, e mi piacerebbe dirvi che qui si scopre un’eroina pronta a mettere in riga i capricci di Peter e dei Bambini Sperduti, e a combattere valorosamente al loro fianco ma, ahimè, il suo “viaggio” la vedrà relegata al ruolo di mamma premurosa e casalinga disperata.

Eppure, nonostante la ragazzina non viva sull’isola una vita particolarmente emozionante e avventurosa, né è comunque inebriata, anche lei offuscata da quel mondo così selvaggio e inospitale.
Eppure sarà l’unica a mantenere vivo il ricordo di casa, a svegliarsi improvvisamente dal “sogno” e desiderare di farvi ritorno.

Wendy e i suoi fratelli non maturano molto con la loro avventura.
Tornano a casa, restando i bambini di sempre “spensierati, innocenti e senza cuore”, come Barrie definisce essere tutti i ragazzini.

E infatti, non mostrano nessun rimorso per il dolore che hanno fatto patire ai genitori, non sentono di aver sbagliato recando loro un’enorme sofferenza.
Si sarebbero soffermati sull'isola ancora e ancora, se Peter non li avesse turbati con il suo racconto.

«Molti e molti anni fa» raccontò «credetti anch'io come voi che mia madre avrebbe sempre tenuto aperta la finestra per me; perciò rimasi via lune e lune, poi volai a casa, ma la finestra era chiusa da una inferriata, perché la mamma si era dimenticata del tutto di me e c’era un altro piccino addormentato nel mio letto.»

Ci si allontana, come le persone più senza cuore al mondo, ovvero i bambini, e tuttavia tanto care. 
Viviamo un certo periodo di tempo interamente chiusi nel nostro egoismo, poi, quando sentiamo il bisogno di cure particolari, torniamo dignitosamente a richiederle, sicuri di essere abbracciati anziché presi a scapaccioni. 
La fiducia dei nostri ragazzi nell'amore della mamma era infatti così grande che ritenevano di potersi concedere di essere senza cuore ancora un po’.

Così i tre piccoli monelli tornano a casa, dove la vita, quella vera, li porterà a crescere e maturare, e invece Peter sceglierà di non intraprendere quel viaggio, di restare l’eterno bambino che tutti conosciamo, senza responsabilità e senza doveri, rifiutando con essi, però, anche la vita dei suoi amici che, di fatto, va avanti senza di lui.
Quella vita che lui, di tanto in tanto, sarebbe rimasto a guardare attraverso i vetri di una finestra, nella silenziosa contemplazione di quella gioia dalla quale sarebbe stato escluso per sempre.


Questi sono i tre viaggi che hanno vissuto le tre protagoniste.
Avventure straordinarie, insidie pericolose, nemici da cui scappare o da sconfiggere, amici da salutare per sempre o portare via con sé.
Viaggoi di crescita ed evoluzione.
Chi cresce durante il viaggio, chi lo fa in modo inconsapevole e chi lo fa al suo ritorno.

Quale tra queste tre indimenticabili storie vi è rimasta più nel cuore?
Alice, Dorothy o Wendy, in quale delle tre eroine vi siete maggiormente immedesimate e quale dei tre viaggi avreste voluto vivere?

Prima di salutarvi vi ricordo l'appuntamento di domani... tutti da Librintavola per l'ultima tappa, noi invece vi aspettiamo il 30 novembre con la recensione di Peter Pan .

mercoledì 25 novembre 2020

Review Party - Recensione: “Fairy Oak. La storia perduta” di Elisabetta Gnone


Salve avventori!
E' con grande piacere che oggi vi presento il Review Party de “La storia perduta”, attesissimo ritorno della serie Fairy Oak. Forse sapete che nel corso degli ultimi mesi, io, Little Pigo, La Biblionauta, Bookitipy, Viovagram e Luna Lovebook, assieme a tante ragazze (probabilmente anche molte di voi) abbiamo ripercorso insieme un bellissimo viaggio a Verdepiano, alla scoperta ( o riscoperta) di questa magica saga.
A conclusione della lettura dei primi tre libri, eccoci di nuovo nel villaggio della Quercia Fatata, dove gli anni sono passati, ma la magia è rimasta immutata 

Titolo: Fairy Oak. La storia perduta
Autore: Elisabetta Gnone
Illustratore: Claudio Prati, Valeria Turati
Editore: Salani
Data di pubblicazione: 22 ottobre 2020
Pagine: 400
Prezzo: 18,00 € 

Trama:
Il tempo è passato e molte cose sono cambiate a Fairy Oak, e così capita di immelanconirsi riguardando vecchie fotografie davanti a un tè, ricordando vecchi amici e grandi avventure. Ma quando i ricordi approdano all'anno della balena, i cuori tornano a battere e i visi a sorridere. 
Che anno fu! Cominciò tutto con una lezione di storia, proseguì con una leggenda e si complicò quando ciascun alunno della onorata scuola Horace McCrips dovette compilare il proprio albero genealogico.
Indagando tra gli archivi, le gemelle Vaniglia e Pervinca, con gli amici di sempre, si mettono sulle tracce di una storia perduta e dei suoi misteriosi protagonisti. E mentre il loro sguardo ci riporta nella meravigliosa valle di Verdepiano, si consolidano vecchie amicizie, ne nascono di nuove, si dichiarano nuovi amori e si svelano sogni che diventano realtà...

Recensione:
Dopo 15 anni rieccoci tornate a Fairy Oak.
Questo 2020 è stato un anno terribile, tremendo per tutti, ma se c’è una cosa buona che ci ha regalato è sicuramente questo ritorno così atteso.
Io ho conosciuto la saga della Gnone solo pochi anni fa, e l’ho trovata carinissima.
In occasione di questa nuova uscita (se mi seguite su instagram, già lo sapete), con il gruppo di lettura #RitornoAFairyOak, abbiamo organizzato la rilettura dell’intera saga, e questo percorso condiviso con loro, e tutte le altre lettrici che si sono unite a noi, e soprattutto condiviso con la mia Little Pigo (che non l’aveva ancora mai letta), ha reso il tutto più emozionante.
Ho trovato il mondo descritto da Elisabetta Gnone ancora più dolce, tenero e magico.
Mi sono affezionata ancora di più a ognuno dei protagonisti, e la voglia di rituffarmi nel mondo di Fairy Oak era perciò tantissima, e devo dire di non esserne rimasta affatto delusa, anzi! 
Ho amato questo volume forse anche di più della trilogia principale e questo penso sia un evento più unico che raro, ma credetemi “La storia perduta” è davvero ADORABILE.
Iniziamo dalla sovraccoperta e dalla meravigliosa copertina rigida sottostante, che fanno già presagire una storia incantevole e misteriosa.
L’edizione è curatissima, come tutte quelle della serie, e anche questa è corredata da meravigliose illustrazioni sia in bianco e nero che a colori.
E poi eccoci tornate nel nostro amato villaggio, lo troviamo uguale, ma diverso.
Non vi nego che è stato un po’ triste e traumatico leggere il primo capitolo... scoprire che la storia è ambientata in un presente dove le gemelle - le nostre eterne bambine terribili, Vaniglia e Pervinca - sono ormai sessantenni, mamme e nonne.
Con una lacrimuccia nel cuore ho letto ciò che non avrei mai voluto leggere, ma che era prevedibile, perché il tempo, con il suo scorrere, porta via gli anni e le persone con sé, e fra queste Cicero, Dalia e Tomelilla 💔
Questa lettura è intrisa proprio per questo di un velo di malinconia e nostalgia, quella che si prova quando ci si siede davanti ad un album di fotografie e si rivivono i bei tempi andati, i ricordi felici, quando tutto era più bello, più semplice e quando si era ancora tutti insieme.
E proprio grazie a delle vecchie foto, Vaniglia e Pervinca - che hanno visto le loro chiome scarlatte sbiadire e tingersi di bianco - tornano con la mente ai ricordi d’infanzia e ci regalano una delle loro grandi avventure, nata come siamo abituati, da qualche loro piccola marachella e trasgressione, ed evolutasi nella più straordinaria delle estati che le gemelle Periwinkle, e tutti i bambini di Fairy Oak, possono ricordare.
Le giornate trascorse alla baia o alla casa sull'albero, alla ricerca della leggendaria balena, la spensieratezza tipica di quando si è piccoli e si gioca a investigare su un mistero, scoprire un segreto nascosto nei secoli, compiere una missione importante. Quando anche le cose semplici si trasformano in grandi avventure, e quando le cose importanti, difficili e complicate, risultano semplici, sciocche e facilmente risolvibili.
È per questo che amo le storie per bambini, e che hanno i bambini come protagonisti, per loro tutto è semplice, anche ciò che gli adulti trasformano in questioni complicate e insormontabili.
E a Verdepiano, in quello che sarà sempre ricordato come l’anno della balena, vediamo i nostri ragazzini salvare più di una vita, ricucire più di un rapporto, sanare più di un litigio, e assistiamo anche alla nascita dei primi amori (molti dei quali resistiti allo scorrere del tempo), alla nascita di nuove amicizie, e attraverso loro riceviamo grandi prove di altruismo e messaggi d’amore estremamente forti ed importanti.
Questo è un libro ricco di amore, dolcezza e tenerezza.
Ho versato più di una lacrimuccia pensando non solo ai protagonisti, ma in generale alla vita che scorre via davvero troppo in fretta, e della quale poi non restano che una manciata di ricordi e fotografie.
Queste sono state le emozioni forti e contrastanti che ho provato durante la lettura, che alterna la grande spensieratezza, e allegria dei tempi passati, con la consapevolezza e la nostalgia del presente.
Ma ho amato tutto, leggerlo è stato come scorrere il diario di una vita felice e serena, lasciarsi andare ai ricordi, alla felicità e anche alla tristezza.
Ho amato i bambini e Back, le gemelle e Fiore, l’amicizia costruttiva tra Tommy e Desmo, e, il percorso di cambiamento che lo stesso Desmo compie, nel corso della storia, mi ha profondamente commossa.
Ho amato il piccolo Scricciolo, con la sua assoluta convinzione che lo ha portato più volte ad affermare e ribadire “non ci sono balene nei nostri mari”, e la meravigliosa storia della Balena... che, con somma pace del piccolo Robin, poi in effetti c’era.
Mi sono mancati tanto però Tomellila e Duff che purtroppo in questo libro fanno solo una breve apparizione, e Shirley che appare sempre troppo poco! Non capisco perché l’autrice non dia più spazio a questo personaggio così straordinario.
Ho davvero adorato questa storia, così semplice e allo stesso tempo così profonda e toccante, e sono davvero felice che l’autrice abbia annunciato che ci saranno ancora altre storie, perché non so voi, ma io non sono pronta a dire addio a Fairy Oak, anzi voglio viverla, conoscerla e assaporarla, ora più che mai.


Ringrazio Salani editore per avermi omaggiato di una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro