martedì 30 settembre 2014

Chi ben comincia... #16

Poche e semplici le regole:
♥ Prendete un libro qualsiasi contenuto nella vostra libreria
♥ Copiate le prime righe del libro (possono essere 10, 15, 20 righe)
♥ Scrivete titolo e autore per chi fosse interessato
♥ Aspettate i commenti

"Resta anche domani" di Gayle Forman

Salve avventori!
Quello che vi propongo oggi è l'incipit di quella che sarà la mia prossima lettura, "Resta anche domani" di Gayle Forman, libro che ho scelto di non rimandare oltre perché voglio vedere il film solo dopo averlo letto XD
L'inizio mi fa ben sperare, incuriosisce e sembra ben scritto, spero solo non si riveli un'altra storia assurda e patetica sul filone di "Colpa delle stelle" di John Green.
Voi l'avete letto? Cosa ne pensate?

ore 7:09 
Tutti pensano che sia stata colpa della neve. In un certo senso, è così. 
Stamattina, quando mi sono svegliata, il giardino era coperto da una sottile coltre bianca. Appena un paio di centimetri, ma in questa zona dell'Oregon una leggera spruzzata è sufficiente a paralizzare ogni attività, mentre l'unico spazzaneve della contea si dà da fare a ripulire le strade. Dal cielo continua a cadere neve acquosa - e cade, e cade - di quella che non attacca. 
Comunque, è abbastanza per saltare la scuola. Teddy, mio fratello piccolo, lancia un grido di guerra quando la radio della mamma, sintonizzata sulle onde medie, annuncia la chiusura delle scuole. — Viva la neve! — strilla. — Papà, andiamo fuori a fare un pupazzo! 
Papà sorride e picchietta sulla pipa. Ha cominciato a fumarla da poco, fa parte della fissa per gli anni Cinquanta che gli è presa ultimamente. Si mette persino il cravattino. Non ho ancora capito se è solo una questione di moda o un modo ironico di proclamare che una volta era un punk e adesso un insegnante di lettere di scuola media. O forse, semplicemente, essere diventato insegnante lo ha reso davvero un po' antiquato. Comunque sia, mi piace l'odore del tabacco da pipa. E' dolce e affumicato, mi ricorda l'inverno e le stufe a legna.

venerdì 26 settembre 2014

Recensione: "La fabbrica di cioccolato" di Roald Dahl

Titolo: La fabbrica di cioccolato
Titolo originale: Charlie and the Chocolate Factory
Autore: Roald Dahl
Editore: Salani
Data di pubblicazione: 1994
Pagine: 202
Prezzo: 7,22 €

Trama:
Soltanto per il suo compleanno Charlie riceve una tavoletta di cioccolato. Per tutto il resto dell’anno la famiglia mangia cavolo a pranzo e a cena. Che tortura quindi per lui passare ogni giorno davanti alla grandiosa Fabbrica di Cioccolato Wonka! Ma un giorno viene diramato un avviso: chi troverà una delle cinque tavolette di cioccolato avvolte in carta d’oro riceverà una provvista di dolciumi bastante per tutto il resto della sua vita. I fortunati saranno un grasso ghiottone, la detentrice del record di masticatrice di gomme, la viziatissima Veruca, il teledipendente Mike Tivù e... Charlie. Uno di essi rimarrà padrone della fabbrica e potrà brucare a sazietà i prati di zucchero, pattinare sulla granatina di limone e fare il bagno sotto una schiumante cascata di cioccolato.

Recensione:
Lo stile di Roald Dahl, come avevo già avuto modo di constatare leggendo "Matilde", è simpatico e brillante.
Quella che racconta in "La fabbrica di cioccolato" è una storia fantastica, una favola caratterizzata da personaggi assurdi ed eccentrici, decisamente sopra le righe.
Tutto è esagerato ed esasperato, dal famoso fabbricante di cioccolato Willy Wonka, ai bambini che vincono l'opportunità di visitare la sua fabbrica, sino ai genitori che li accompagnano. 
E anche le ambientazioni, non sono da meno. 
Dahl riesce a ideare e a descrivere un mondo immaginario colorato e profumato di cioccolato, zucchero e caramella, dove non sarà difficile trovare cascate di cioccolata calda, e prati fatti di fili di zucchero.
Charlie, il piccolo protagonista di questa storia, è fra tutti quelli che ci vengono raccontati, il personaggio più timido, riservato e, permettetemi di usare questo termine antipatico: "normale".
Ma anche nella cerchia della sua famiglia non mancano descrizioni di comportamenti bizzarri.
Quella di Charlie è una famiglia molto povera, composta da sette membri, di cui sei adulti (I genitori di Charlie, i signori Bucket, e i rispettivi genitori, nonno Joe e nonna Josephine, nonno George e nonna Georgina), costretta a vivere in una minuscola casina diroccata e malmessa.
I nonni, tutti molto vecchi e stanchi, trascorrono le giornate all'interno del loro lettone, dal quale non escono da anni. Un unico letto per i quattro nonnini, che dividono stando nonno Joe e nonna Josephine da un capo e nonno George e nonna Georgina dal capo opposto.
L'unico stipendio, che consente alla famiglia di tirare avanti, proviene dal lavoro del signor Bucket, che avvita tappi in una ditta che fabbrica tubetti di dentifricio.
L'unico giorno in cui Charlie può avere un regalo è quello del suo compleanno, giorno in cui, ogni anno, riceve una tavoletta di cioccolata, fra tutte la sua cosa preferita in assoluto.
La descrizione della famiglia è adorabile, si sente il senso di sacrificio, la pazienza e l'affetto che lega i vari personaggi.
Il desiderio con il quale tutti i membri della famiglia attendono il giorno del compleanno di Charlie e la gioia di quest'ultimo che non manca ad arrivare, seppur il suo dono sia ormai più che scontato e previsto.
La prima parte del racconto è utile proprio per questo, ci fa conoscere l'umiltà di questi personaggi e li mette a confronto con gli altri vincitori dei biglietti d'oro.
Il paragone è disarmante.
Famiglie grottesche, caratterizzate da genitori strampalati e menefreghisti, a cui risulta più facile dire un "si" e acconsentire ai capricci dei loro marmocchi, piuttosto che educarli come persone per bene.
La perfetta rappresentazione del detto "i mostri generano mostri".
Conosciamo così Augustus Gloop che ricerca affetto nel cibo, perché mangiare è la cosa che più gli piace fare.
Violetta Beauregarde, una bambina maleducata e impertinente, figlia di genitori che, seppur disapprovando il suo comportamento, sono troppo deboli per mettergli freno.
Veruca Salt, a cui non è mai stato detto di no e di cui i genitori sembrano avere quasi paura e Mike Tivù, la rappresentazione del tipico bambino parcheggiato davanti alla TV.
Charlie che, ad inizio lettura sembra essere il bambino più sfortunato del mondo, appare ora come il vero privilegiato, e allo stesso tempo quello più meritevole di tutti quei benefici di cui purtroppo è sempre stato privato.
Ecco dunque la prima grande lezione data da questo libro.
Charlie ha poco o nulla, ma ha sempre avuto una famiglia che lo ha amato ed ha fatto di tutto per educarlo al meglio, e questo non si compra nemmeno con tutto l'oro del mondo. 
Quando Charlie trova finalmente il famoso biglietto dorato, all'interno di una golosa barretta al cioccocremolato delizia Wonka al triplosupergusto, possiamo osservare altri comportamenti che fanno parte dell'animo umano.
Chi vedendolo così poco coperto (nonostante sia inverno) e denutrito, pur rendendosi conto della sua palese povertà e del suo stato precario di salute, lo invidia.
Chi cerca di imbrogliarlo facendosi vendere il biglietto vincente per pochi soldi.
E chi, come il gentile tabaccaio, è felice per lui, capisce che finalmente la famosa ruota della fortuna, che si dice girerà per tutti, ma in realtà gira sempre per gli stessi, questa volta ha mantenuto la promessa e si è finalmente fermata da una persona che la fortuna non l'aveva mai vista.
Questa è la seconda grande lezione che ci dà questo libro: non importa quanto ci siamo meritati un risultato, ci sarà sempre qualcuno che ci invidierà quel qualcosa, finanche la più piccola sciocchezza, perché la maggior parte delle persone è di indole invidiosa e raramente gioisce delle gioie altrui... si, anche se, come nel caso di Charlie, quelle gioie sono assai rare.
Giunti finalmente nella fabbrica tanto sognata, ci ritroviamo al cospetto dei capricci e dei comportamenti maleducati dei quattro ragazzini, e alle stupide rimostranze dei loro genitori, che reagiscono ai pasticci combinati dai loro figliuoli prediletti, prendendosela sempre con il signor Willy Wonka e mai con i loro ragazzi, o meglio ancora con se stessi.
I comportamenti inadeguati di figli e genitori vengono sempre sottolineati in maniera molto divertente da un sarcastico, ironico e spesso sadico signor Wonka e dai suoi Umpa-Lumpa, che salutano ogni bambino con una filastrocca, scritta su misura, a mo' di sfottò.
Il viaggio termina e Charlie torna a casa con il pancino più pieno e il cuore più leggero, sicuro di aver assicurato un futuro migliore ai suoi familiari e a se stesso.
Una bella favola a lieto fine, da far leggere sicuramente ai piccini, ma soprattutto da consigliare ai futuri genitori, perché il messaggio della storia infondo è uno e uno soltanto: badate bene a come educate i vostri piccini, perché saranno loro gli adulti del domani.

Considerazioni:
Divertente sin dalle prime pagine. 
L'ironia di Roald Dahl non delude e il modo che ha di raccontare, di impreziosire la storia con particolari sempre più curiosi, fantasiosi e accattivanti, tiene incollati alle pagine.
In quest'opera i suoi protagonisti sono molto caratterizzati, hanno tutti una forte personalità e un preciso scopo per il quale sono inseriti nella storia.
Ad impreziosire tutta l'opera le illustrazioni che rendono ancora meglio le scene narrate nel racconto, ad esempio ho trovato deliziosa l'immagine dei quattro nonni che si dividono un unico lettone, e molto dolce il rapporto che li lega a Charlie, mentre i genitori risultano delle figure abbozzate, i personaggi meno indagati in tutto il racconto.
Charlie rappresenta l'umiltà, un bambino che, a differenza degli altri fortunati vincitori dell'ambito biglietto d'oro, non ha nulla, e nonostante questo è disposto ha dividere quel poco che gli è concesso, con i suoi cari.
Un bambino esile e premuroso, e lo scrittore preme ad esaltarne la generosità per rendere più palese il contrasto con gli altri suoi coetanei.
Nonostante questo, la premura del bambino stona un po' con i fatti narrati ad un certo punto della storia, ovvero mi riferisco a quando Charlie e la sua famiglia soffrono la fame più del solito poiché il signor Bucket ha perso il lavoro.
Il ragazzino tornando a casa da scuola, trova del denaro per terra e anziché portarlo direttamente alla madre e fare in modo che tutti ne usufruiscano, comprando cibo per tutta la famiglia, lui, senza il minimo senso di colpa ne spende quasi la metà in cioccolata che, senza il minimo ripensamento, trangugia da solo! 
Nemmeno io, che da nessun scrittore verrò mai descritta come una dolce e buona ragazzina tanto meritevole da meritare addirittura di ereditare un'intera fabbrica di cioccolata, sarei stata capace di tanto egoismo!
Qui Charlie, caro mio, hai toppato alla grande U_U
Ho trovato questo suo comportamento poco corrispondente all'immagine che Roald Dahl voleva dare del bambino.
Invece ho trovato perfetto il personaggio di Willy Wonka! Esilarante, pungente, stralunato e strambo quanto basta per conquistare il cuore di qualsiasi lettore.
I bambini, da Augustus Gloop a Mike Tivù, rappresentano ognuno un esemplare diverso di comportamento a cui spesso i bambini, reduci della cattiva educazione, fornita dai loro genitori, vanno incontro.
Chi si consola nel cibo fino a diventare pesantemente sovrappeso, chi viziato non vuol mai sentire un no come risposta, chi con la prepotenza prende il sopravvento sui genitori e chi viene parcheggiato per ore davanti alla TV sino a non poterne fare più a meno.
Gli Umpa-Lumpa, con le loro buffe filastrocche non mancano mai di dare dei messaggi importanti, come è soprattutto nel caso dell'ultima, quella che dedicano a Miky Tivù, ai suoi genitori e a tutti i bambini e genitori che hanno letto e leggeranno le pagine di questo libro.
La fabbrica di cioccolato è una favola, si, ma una di quelle che insegnano qualcosa ai piccini ma soprattutto ai loro genitori.

Confronto con il film:
Il film a mio parere è la perfetta trasposizione del libro.
Non avrei potuto scegliere interpreti migliori.
Leggendo il libro mi sono resa conto di quanto, l'interpretazione di Johnny Depp, rendesse alla perfezione il personaggio di Willy Wonka descritto da Roald Dahl.
Lo stesso vale per Charlie, per gli altri personaggi e per le spettacolari ambientazioni.
Mi è spiaciuto solamente non leggere nel libro la storia familiare di Willy Wonka, dei suoi dissapori con il padre e delle motivazioni che lo hanno spinto ad aprire una fabbrica di cioccolato.
Le parti che riguardavano la sua infanzia erano tra le mie preferite nel film, e scoprire che nel libro non ve n'è traccia è stata una piccola delusione. 
Allo stesso tempo però sono stata contenta che nel film l'abbiano implementata, credo che dia un valore aggiunto a questa storia già di per sé molto carina. 
Sicuramente da vedere.

Curiosità:
Forse non tutti sanno che esiste un seguito alla storia, intitolato: "L'ascensore di cristallo".


il mio voto per questo libro

mercoledì 24 settembre 2014

Waiting for #5

Dopo tanto tempo rieccoci con un nuovo appuntamento della rubrica "Waiting for", attraverso la quale segnaliamo quei libri prossimi all'uscita che io e Little Pigo attendiamo con più o meno ansia.


L'uscita che personalmente sto aspettando, più per curiosità che per altro, è il secondo volume della saga, scritta da Maxence Fermine, che ha come protagonista Malo, il ragazzino che il giorno del suo undicesimo compleanno si ritrovò per caso catapultato nel Regno delle Ombre.
Il primo volume "La piccola mercante di sogni" mi ha deluso, ma questo mi era successo anche con "La casa per bambini speciali di Miss Peregrine" di Ransom Riggs,, e anche in quel caso, nonostante tutto, non ho aspettato troppo ad acquistare il secondo volume per conoscere il seguito della vicenda.
Farò così anche con questo? Chissà... aspetto intanto di leggerne l'anteprima e poi staremo a vedere XD
Il secondo capitolo dal titolo "La bambola di porcellana", la cui uscita è prevista per il 1° Ottobre, vedrà come protagonista sempre il piccolo Malo, che cercherà di tornare nel Regno delle Ombre per rincontrare la sua amica.


Titolo: La bambola di porcellana 
Titolo originale: La poupée di porcelaine
Autore: Maxence Fermine
Illustrazione in copertina: Louise Robinson
Illustrazioni interne: Lionel Richerand
Editore: Bompiani
Data di pubblicazione: 1 Ottobre 2014
Pagine: 220
Prezzo: 10,20 € (cartaceo); 6,99 € (ebook)
Trama:

Malo è tornato dal Regno delle Ombre e da allora, Lili, la piccola mercante di sogni dallo sguardo d’oro, occupa tutti i suoi pensieri. 
Quando, in un lunapark di Edimburgo, il giovane incontra due abitanti del paese immaginario che si è lasciato alle spalle, li segue, deciso a incontrare di nuovo la sua amica. Purtroppo, però, il Regno delle Ombre sembra questa volta più un incubo che un sogno. 
Rifugiatosi presso il sinistro Sir Luke, non è affatto rassicurato dall’interesse che questi nutre per una stupefacente bambola di porcellana. 
Quali oscuri disegni nasconde questo signore, creatore di giocattoli? 
Malo deve stare in guardia più che mai, ma l’amicizia merita questo e altro…

martedì 23 settembre 2014

Presentazione: "La sposa nella torre" di Giulia Dal Mas

Salve avventori!
Quello che vi presento oggi è il nuovo romanzo di Giulia Dal Mas, scrittrice di talento, che ho già avuto occasione di leggere ed apprezzare nell'antologia Chrysalide, edita Mondadori.
In quell'occasione il suo racconto "The secret door", come scrissi anche nella recensione, fu l'unico che mi colpì e l'unico che mi fece esclamare "noo, è già finito?!".
Ora Giulia torna con una nuova storia.
Il 23 settembre (oggi quindi!) esce il suo romanzo breve, pubblicato da Delos Digital.
Si tratta di un romance storico, ispirato a una leggenda della sua terra.



Titolo: "La sposa nella torre"
Autore: Giulia Dal Mas
Editore: Delos Digital
Data di pubblicazione: 23 settembre 2014
Pagine: 51
Prezzo: 1,99 € (ebook)



Trama:

Aprile 1219. Ginevra è la bella figlia del conte di Strassoldo. Promessa in sposa quando era poco più che una bambina, incontra, in riva al fiume, il giovane Odorico, conte di Villalta. Tra i due sboccia l'amore, ma questa unione, che soverchia ogni regola, farà scattare un tremendo desiderio di vendetta in quanti la ritengono un tradimento. All'ombra di antichi castelli, si consuma la storia di un amore magico, sospeso tra realtà e immaginazione, che ancora oggi si crede aleggi tra le dolci colline friulane.

Autore:
Giulia Dal Mas vive in provincia di Pordenone con il marito, i figli e due chihuahua.
Laureata in giurisprudenza, ha pubblicato racconti con varie case editrici. Per Delos Books è presente nelle antologie 365 Racconti sulla fine del mondo, 365 Storie d'Amore, 365 Racconti di Natale e Il magazzino dei mondi 2, nonché nella Romance Magazine, con i racconti “La sinfonia del cuore” e “25 dicembre 1812”.
Nel 2013 vince il concorso Chrysalide nella categoria realistica con il racconto “The secret door”, pubblicato in un'antologia ebook a firma Mondadori.

lunedì 22 settembre 2014

Recensione: "Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach" di Fannie Flagg

Titolo: Hamburger e miracoli sulle rive di Shell Beach
Titolo originale: Daisy Fay and the Miracle Man
Autore: Fannie Flagg
Editore: BUR
Data di pubblicazione: 2000
Pagine: 304
Prezzo: 8,90 €

Trama: 
Daisy Fay Harper ha 11 anni e vive a Jackson nel Missisipi con i suoi genitori, suo padre però coltiva il sogno di trasferirsi a Shell Beach e aprire un bar sulla spiaggia in società con l'amico Jimmy Snow.
Mentre suo padre idea sballati progetti, la piccola Daisy Fay non manca di annotare sul suo diario tutto quello che le accade, come dover entrare nel club delle debuttanti di Mrs Dot, assistere al divorzio dei genitori dopo il sospetto incendio del chiosco, aiutare il padre a vivere dei più strampalati espedienti, e non smettere mai di cercare ostinatamente la propria strada.

Recensione:
Il libro è scritto come un diario in cui Daisy Fay Harper annota gli eventi più o meno importanti che caratterizzano le sue giornate e la sua vita.
Con l'innocenza, la goffaggine e la simpatia di una ragazzina di soli 11 anni, che non conosce ancora tutte le "cose della vita", Daisy rende i suoi racconti esilaranti.
Con lei abbandoniamo Jackson, una città del Missisipi, e arriviamo a Shell Beach, città marittima in cui suo padre coltiva il sogno di diventare un ricco imprenditore di successo.
Qui conosciamo i vari abitanti che popolano la piccola cittadina turistica.
Dall'amico Michael, all'odiosa Kay Bob Benson, alla simpatica Peachy Wigham, donna di colore, proprietaria del locale notturno Elite Nightspot.
Leggero, fresco e divertente, ma allo stesso tempo profondo e drammatico.
Ambientato nella seconda metà degli anni '50, il libro. seppur narrato dalla voce di una ragazzina, affronta anche temi importanti come quello dell'alcolismo, dell'integrazione razziale, e anche il difficile tema degli abusi sessuali.
Tra le righe si legge inoltre il pregiudizio che affligge il diverso, il malato, il povero.
Tutto però viene sempre letto attraverso gli occhi di Daisy, che spesso non sembra rendersi conto della gravità di ciò che racconta.
La ragazzina, seppur sia tutt'altro che fortunata (spesso anzi sembra quasi essere presa di mira dalla cattiva sorte), risulta invece essere una vera portatrice di fortuna per chi la incontra.
Una specie di Pollyanna che, senza rendersene minimamente conto, dona gioia, consigli e veri e propri miracoli a chi le sta attorno.
Un libro che si legge tutto d'un fiato, che fa sorridere, ridere ed emozionare.

Considerazioni:
Non ho mai riso così tanto leggendo un libro!
Ero lì che leggevo e improvvisamente scoppiavo a ridere.
La verità è che Daisy Fay è davvero simpatica, ha delle uscite tipiche dei ragazzini che divertono proprio per la spontaneità con cui le escono dalla bocca.
La varietà dei personaggi che Fannie Flagg racconta è sorprendente, molti personaggi sono nominati solo una volta, cosa che ho trovato molto realistica, perché tutti abbiamo ricordi legati a persone che tuttavia non hanno avuto un ruolo importante nella nostra vita (magari non le abbiamo più nemmeno mai rincontrate), eccezion fatta per quell'unico ricordo che ci lega a loro.
I personaggi sono molto variegati e fortemente caratterizzati.
Vi innamorerete della piccola Daisy Fay!
Per suo padre e sua madre invece ho provato sentimenti contrastanti. 
Inizialmente credevo che la signora Harper fosse un po' troppo severa con suo marito, che in quel momento trovavo strambo si, ma decisamente simpatico.
Sono morta da ridere nel leggere i suoi "tentativi di eliminare" la piccola Daisy X'D
Successivamente invece ho compreso benissimo l'insofferenza della donna nei confronti dell'uomo.
Egli pur amando moltissimo sua figlia le ha sempre anteposto l'amore per la bottiglia, e questo non glielo posso proprio perdonare.
Ci sarebbe da dire qualcosa su ogni personaggio, ma non intendo dilungarmi troppo nel descrivere un libro che è assolutamente da leggere, perché solo leggendolo si può comprendere la complessa natura di ogni personalità.
Voglio spendere ancora due parole per la perfida e odiosa Kay Bob Benson, antipatica e maligna a cui sembra andare sempre tutto bene!
La solita fortuna riservata a chi non se la merita. Chi non ha avuto una conoscenza così?
Io si, difatti Kay Bob mi ha ricordato in modo spaventoso una compagna di scuola che mi sono dovuta portare dietro fino in terza media! Fortunatamente ( a differenza della piccola Daisy) io me me sono liberata presto >.<
Ciò che più ho apprezzato di questo libro, oltre all'affetto che man mano mi ha legato più o meno a tutti i personaggi, è stata l'imprevedibilità del racconto.
Non ho mai capito dove volesse arrivare fino a quando non ci arrivava, e il finale è stato inaspettato, come del resto lo è la vita.
Assolutamente consigliato! 
il mio voto per questo libro

venerdì 19 settembre 2014

Presentazione: "Passaparola" di Simon Lane

Salve avventori!
Con il post di oggi voglio presentarvi una nuova uscita, trattasi di "Passaparola" di Simon Lane, edito Ottolibri.
Il libro è uscito lo scorso 10 settembre e rappresenta il primo libro pubblicato in Italia di questo autore.




Titolo: Passaparola
Autore: Simon Lane
Editore: Ottolibri
Data di pubblicazione: 10 settembre 2014
Pagine: 194 
Prezzo: 4,99 € (ebook); 13,02 € (cartaceo)

Trama:

Chiuso nella cella di una prigione di Parigi, Felipe, un domestico filippino, prova a discolparsi dell'accusa di aver ucciso monsieur Charles, pezzo grosso nonché suo datore di lavoro, che in realtà ha trovato già morto sul tappeto di casa. Nel tentativo di sbarazzarsi del cadavere, Felipe ha trascinato il corpo fuori dall'appartamento per poi infilarlo in un bidone per la differenziata; bidone che ha spinto per mezza Parigi nel giorno più lungo dell'anno e in piena Festa della Musica. Un viaggio surreale per consegnare il suo capo alle acque della Senna, che Felipe racconta al suo avvocato grazie a un registratore, per convincerlo della sua innocenza. Perché no, Felipe non ha ucciso monsieur Charles. 
Ma se non è stato lui, allora, chi?

Autore:
Simon Lane, scrittore britannico ancora inedito in Italia, scomparso prematuramente nel 2012, è stato uno degli autori più singolari degli ultimi trent'anni, incarnazione del romanziere gentiluomo inglese in perenne esilio, un artista poliedrico e un vero dandy. 
Il New York Times l'ha descritto come "Uno scrittore artistico e divertente... non c'è pericolo di annoiarsi", ma lui descriveva se stesso come un bevitore con il vizio della scrittura. I suoi romanzi sono caratterizzati da un uso sapiente del ritmo e della lingua, descrivono circostanze che sfociano nel lirico, nel grottesco, nel surreale e nell'ironico con equilibrio e acutezza e un'impronta d'autore. 

mercoledì 17 settembre 2014

Recensione: "La ragazza delle arance" di Jostein Gaarder

Titolo: La ragazza delle arance
Autore: Jostein Gaarder
Editore: TEA
Data di pubblicazione: 2007
Pagine: 208
Prezzo: 8,50 €

Trama:
Georg Røed ha quindici anni e conduce una vita tranquilla. Un giorno trova una lettera che suo padre Jan gli aveva scritto prima di morire - quando Georg era ancora molto piccolo - e che aveva poi nascosto nella fodera del passeggino, affinché il figlio la potesse trovare una volta grande. In questa lettera il padre racconta la storia della "Ragazza delle arance", da lui incontrata un giorno per caso su un tram di Oslo. Una storia misteriosa, fatta di molti sguardi e pochissime parole alla quale Georg si appassiona immediatamente e che sembra riguardarlo sempre più da vicino. Un film quasi muto che Jostein Gaarder, a poco a poco, fa parlare con una musica lieve, quasi una fantasia tra memoria e presente, in cui le voci del padre e del figlio finiscono con l'intrecciarsi a creare un'unica riflessione sul valore dell'esistenza umana e sulla sua bellezza.

Recensione:
Un uomo che deve dire addio alla vita, a sua moglie, al figlio, a tutto ciò che gli è più caro. 
Un figlio che riscopre i ricordi perduti, che inizia a conoscere suo padre, e a capire per davvero sua madre.
"La ragazza delle arance" è questo, ma è soprattutto una grande storia d'amore. Una storia fatta di tempismo, coincidenze, attese, sguardi furtivi e di magia.
Un amore surreale, intenso e folle allo stesso tempo, quasi una favola con assurde regole da rispettare, ma una favola diversa, che non trova necessariamente un lieto fine.
E' così che Georg, attraverso le parole del padre da tempo perduto, può riscoprire i suoi più intimi pensieri, le sue paure, e il mistero della sfuggente ragazza delle arance.
Con la sua lettera Jan Olav ci permette di conoscerla piano piano, di cercarla, perderla, ritrovarla e perderla di nuovo.

Mi fermo e mi metto di fronte a lei. Le accarezzo piano i capelli bagnati e lascio riposare la mano sul fermaglio sulla nuca. È gelato, ma riscalda comunque tutto il corpo. Pensa, sono io che lo sto toccando! 
Poi chiedo: «Quando ci possiamo rivedere?» 
Resta immobile a fissare l'asfalto prima di alzare lo sguardo verso di me. Le sue pupille stanno danzando una danza irrequieta, mi sembra che le tremino le labbra. Poi mi pone un quesito sul quale sarei tornato a rimuginare molto in seguito. Mi dice: «Quanto puoi aspettare?» 
Cosa avrei dovuto rispondere a quella domanda, Georg? Forse era un trabocchetto. Se avessi risposto «due o tre giorni», mi sarei dimostrato troppo impaziente. E se avessi risposto «tutta la vita», avrebbe solamente creduto o che non mi piacesse sul serio, o più semplicemente che io non fossi serio. Dunque dovevo trovare una via di mezzo. 
Dissi: «Posso aspettare fino a quando il cuore non sanguinerà per il dolore». 
Sorrise incerta. Passò un dito sulle mie labbra. Poi disse: «E quanto tempo è?» 
Scossi la testa sconsolato e scelsi di dire esattamente come stavano le cose. «Forse solo cinque minuti», risposi. 
Le aveva fatto chiaramente piacere quello che avevo detto, ma rispose sussurrando: «Sarebbe bello se riuscissi a resistere un po' più a lungo...» 
Ora ero io a dover esigere una risposta. 
Dissi: «Quanto?» 
«Devi riuscire ad aspettarmi per sei mesi», rispose lei. 
«Se riesci ad aspettare così a lungo, potremo rivederci.» 
Credo che sospirai: «Perché così a lungo?» 
L'espressione sul volto della Ragazza delle arance si fece più tesa. Fu come se si stesse sforzando di essere dura. Disse: «Perché è esattamente il tempo che devi aspettare». 
Lei vide come la delusione sprofondò pesantemente nel mio animo. Forse fu per questo che aggiunse: «Ma, se ci riesci, potremo stare insieme ogni singolo giorno nei sei mesi successivi».

Jan Olav pone a noi (in realtà al figlio Georg) una serie di quesiti, per svelare solo infine la realtà dei fatti.
Ci parla della sua vita, della quotidianità, dei teneri momenti trascorsi con il piccolo Georg, fissandoli con le foto, i video e con la carta stampata, e sperando così di non vederli perduti.
E devo dire che queste parti, quelle che ci rivelano la vita familiare, e soprattutto il rapporto padre-figlio, sono le più emozionanti.
Quando si ritrova a fissare il suo bambino mentre gioca, quando soffre nel lasciarlo all'asilo e perdere del tempo prezioso con lui, quando cerca di trasmettergli il suo amore per lo spazio e la natura, non può non fare una grande tenerezza.
Come non è possibile restare indifferenti nel leggere il dolore di un uomo che non riesce a dire addio, che soffre nel sapere di non poter veder suo figlio crescere, di non poterlo conoscere.

Ho cercato molte volte di pensare al futuro, ma non riesco a immaginarmi neanche lontanamente come vivi ora. So soltanto chi eri. Non so neppure quanti anni hai, ora che stai leggendo questa lettera. Forse hai dodici o quattordici anni, e io, tuo padre, me ne sono andato da tempo. 
La verità è che mi sento già come un fantasma, e devo respirare a fondo ogni volta che ci penso. Comincio a capire perché i fantasmi spesso gemano e ansimino da fare tanta paura. Non è per spaventare i loro successori. È solo perché soffrono indicibilmente a respirare in un'epoca che non è la loro.

La lettera non è altro che il tentativo di ripristinare il legame col passato (per Georg) e di aprire una porta sul futuro (per Jan Olav).
Con queste ultime parole infatti Jan cerca di riaprire una breccia nel cuore e nella mente di Georg, sperando di far riaffiorare in lui tutti i bei momenti trascorsi insieme.
Ma è soprattutto un mondo per essere partecipe, per dare al suo ragazzo gli insegnamenti per affrontare le sfide della vita, per trasmettergli le sue passioni, per farlo sentire amato.

Oggi, cioè nel momento in cui stai leggendo, avrai sicuramente dimenticato quasi tutto quello che abbiamo fatto insieme in questi mesi, in questa calda estate quando tu avevi tre anni e mezzo. Ma questi giorni ci appartengono ancora, e ancora stiamo passando tanti bei momenti insieme. 
Ti confesso una cosa a cui penso spesso in questo periodo: per ogni singolo giorno che passa, e per ogni piccola cosa che facciamo, aumenta anche la possibilità che tu ti ricordi di me. Ormai sto contando i giorni e le settimane. Martedì eravamo sulla torre di Tryvann, da lì si vede metà paese, siamo riusciti a vedere perfino la Svezia. C'era anche mamma, eravamo lì tutti e tre. Ma tu te lo ricordi? 
Non puoi almeno cercare di ricordare, Georg? Fallo, provaci, perché hai tutto dentro di te, da qualche parte. Ti ricordi il tuo grosso trenino di legno con il suo carico di mattoncini? Ci giochi molte ore al giorno. Gli do un'occhiata in questo momento. Mentre scrivo, i binari, i treni e le barche sono disseminati per il pavimento dell'anticamera proprio come li hai lasciati poco fa. Alla fine ho dovuto prenderti di peso e portarti via per arrivare in tempo alla riunione all'asilo. Ma è come se le tue manine stessero ancora toccando i mattoncini. Non ho osato spostare neanche un binario.

Il libro però non consiste solo nelle parole di Jan Olav, è anzi il resoconto del figlio Georg che ci spiega come ha trovato quella lettera, quale era il suo contenuto e che soprattutto ci illustra il suo pensiero di volta in volta.
Grazie a questo meccanismo il romanzo di Gaarder si presenta infine come un libro a quattro mani, in cui i pensieri dei due personaggi si intrecciano, quasi fino a fondersi.
E se le parole di Jan riportate sono, il più delle volte, cariche di emozioni e di significato, le reazioni e i commenti di Georg paiono invece troppo freddi.
Pur non avendo alcun contatto con il padre da ben undici anni il ragazzo non sembra particolarmente toccato dall'accaduto.
E' razionale, come se la cosa non lo riguardasse, come se ciò sta leggendo non avesse importanza.
Purtroppo questo dislivello sminuisce di molto il valore del romanzo, in quanto non ci fa provare alcuna empatia con il protagonista.
A ciò contribuiscono le continue divagazioni di Georg (e talvolta anche del padre) sullo spazio, la musica, il senso della vita che, per quanto interessanti, risultano spesso fuori luogo.
Allo stesso modo la storia d'amore tra Jan e la misteriosa ragazza delle arance non è del tutto credibile. 
Jan si innamora di lei al primo sguardo, non fa altro che immaginare possibili scenari che hanno lei per protagonista, non fa che cercarla ossessivamente, arrivando addirittura a fare un viaggio improvvisato, solo in base ad una cartolina ricevuta.
Nonostante sia una conoscenza un po' fuori dalle righe, non posso dire di non aver trovato piacevoli gli aneddoti sulla ragazza delle arance. 
Anzi proprio in questi frangenti Jan ci mostra il lato del suo carattere più bizzarro e simpatico.

Pensavo continuamente a tutte quelle arance. A che cosa le servivano? Le avrebbe semplicemente sbucciate una per una e mangiate, spicchio dopo spicchio, per esempio a colazione o a pranzo? L'idea mi rendeva agitato. Forse era malata e doveva seguire una dieta speciale; anche questo pensiero mi passò per la testa, e anche questo mi inquietava. 
Ma c'erano molte possibilità. Forse doveva preparare una bavarese alle arance per una festa con più di cento invitati. 
Diventai subito geloso al pensiero: perché non ero stato invitato anch'io? Inoltre pensai che avrebbe potuto non esserci parità nella suddivisione dei sessi a quella festa. Erano invitati oltre novanta giovani uomini, e solo otto ragazze. Credevo di sapere perché. La bavarese sarebbe infatti stata servita a una grande festa di fine semestre all'Istituto di Economia aziendale, e siccome la materia era Economia aziendale non c'era quasi nessuna ragazza tra gli studenti. 
Cercai di scacciare il pensiero, era insopportabile, ma arrivai al punto di considerare come una cosa scandalosa dal punto di vista della parità tra i sessi il fatto che l'Istituto di Economia aziendale non avesse ancora introdotto delle normative per l'ammissione in numero uguale di maschi e di femmine. No, proprio non potevo affidarmi alla mia fantasia. 
Forse la Ragazza delle arance se ne sarebbe tornata semplicemente a casa, nel suo minuscolo appartamento, a spremere litri e litri di succo d'arancia solo per averlo in frigorifero, dato che o odiava il succo prodotto dalle aziende agricole con il concentrato di frutta da due soldi proveniente dalla California o era allergica a esso.

Il dottor Olav, che pare l'uomo maturo, capace di fronteggiare con razionalità una tremenda malattia, è qui il buffo studente di medicina che, invaghitosi di un'affascinante ragazza misteriosa, non fa che combinare guai o dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.
Grazie a questo viaggio nel tempo abbiamo quindi la possibilità di osservare Jan come fidanzato e come padre, carico di romantiche aspettative prima e privo di qualsiasi speranza per il futuro poi.
Da questo punto di vista il romanzo ha un duplice ruolo, coniugando la storia d'amore spensierata, tipica dei romanzi più leggeri, con il dramma esistenziale.
Molte delle riflessioni di Jan riguardano difatti il senso della vita. Sono pensieri sull'uomo, sulla natura e sull'intero universo.
Le malinconie di una persona che si avvia verso la fine, che si sente sola nella tragedia, ma in comunione con il mondo intero.
Un inno all'amore, una lezione di vita ed un'interrogazione.
Ebbene sì, perché Georg, al termine della lettera, dovrà rispondere ad un'importante domanda, di cui nessuno, a parte lui, conosce la risposta.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Quando scrivo una recensione cerco sempre di evitare di scendere nei dettagli per non togliere a nessuno il gusto della lettura.
Ma stavolta devo fare un'eccezione. 
Come avrete potuto leggere sopra, ho apprezzato molto le parti raccontate da Jan Olav, in particolare il mondo in cui descrive i suoi ultimi momenti con il piccolo Georg.
Il loro rapporto pare così carico d'amore, ecco perché non posso fare a meno di chiedermi una cosa.
Jan sta scrivendo al figlio che di certo non ricorda quasi nulla di lui.
Non sa che età abbia al momento della lettura, non sa se chi ha di fronte è un ragazzo o un adulto.
Non può immaginare quale sia stata la sua vita, se abbia sentito o meno la mancanza di una figura paterna, quali siano le sue paure e i suoi sogni.
E qual è la prima domanda che gli pone?
Siete curiosi di saperlo?
Allora ve lo dico io: "a che punto è il telescopio spaziale Hubble?"
Capisco che sia un argomento interessante ma non posso davvero credere che un uomo in punto di morte, che sta per lasciare la sua famiglia, abbia come massimo interrogativo, non le sorti della moglie che sarà presto vedova o del bimbo di tre anni e mezzo che è costretto a lasciare da solo, ma di un apparecchio che, per quanto straordinario, non può davvero essere essenziale per lui.
E' un po' come se un uomo in procinto di morire nel lontano 1990 avesse chiesto al figlio di rivelargli l'assassino di Laura Palmer!
E queste assurde situazioni si ripetono per tutta la lettura, con protagonista stavolta il figlio Georg.
Dopo aver letto di quanto suo padre lo amasse e di come cercasse di trascorrere più tempo possibile con lui, non fa altro che concentrarsi su particolari futili, come la straordinaria conicidenza che rende il telescopio Hubble anche l'argomento della sua tesina. E qui parte la lunga divagazione su tutto quello che il ragazzo ha appreso sul telescopio, praticamente vita, morte e miracoli.
Ora devo ammettere che l'astronomia è uno dei miei campi di interesse, perciò anche leggere queste pagine per me non è stato di nessun peso, ma non posso non evidenziare che non hanno alcuna inerenza con la storia.
Pare che Gaarder volesse a tutti i costi inserire alcune nozioni, come anche quelle su Moonlight Sonata di Beethoven, non preoccupandosi affatto di rompere così il ritmo narrativo ed abbattere l'impatto emotivo.
A questo proposito posso dire di non aver provato alcuna empatia con Georg: il suo atteggiamento è così razionale e privo di emozioni da non riuscire a coinvolgere. Arriva addirittura ad affermare che non è necessariamente difficile crescere senza un padre. 
E' inoltre una persona piena di contraddizioni: non fa altro che schernire il patrigno Jørgen, immaginando le sue reazioni alla ricomparsa in scena, per quanto metaforica, del primo marito di sua madre. In più occasioni ci fa capire di non apprezzarlo e alla fine del libro ci dice candidamente che l'ha sempre stimato e che è quasi stato un padre per lui. Coosa??
Ed anche con la madre il rapporto risulta strano: la allontana in malo modo più e più volte, senza alcuna considerazione dei suoi sentimenti, senza pensare che quella che Jan scrive è sì la lettera di suo padre ma anche quella del marito di sua madre.
Invece per lui la legittima curiosità della donna è solo l'insistenza di un'impicciona, di una mamma iperprotettiva.
Di contro in altre occasioni si dimostra molto dolce con lei, dimostrando quel lato tenero che non sembrava avere.

Dissi: «Lo vedi quel pianeta lassù? È Venere, ma viene anche chiamato Stella del mattino. Ogni volta che mio padre lo guardava, ti pensava». 
Quando la testa è piena di pensieri profondi, si può accennare qualcosa, oppure si può restare zitti. Mamma restò zitta. Dopo un po' dissi: «Qui ho passato una notte intera con mio padre, prima che venisse ricoverato in ospedale. Nella lettera potrai leggere dell'altro su quella nottata. Ma ora qui ci siamo tu e io». 
«Georg», disse allora mamma. «Non vedo l'ora di leggere quella lettera, e al tempo stesso il pensiero mi spaventa. Voglio che tu sia a casa quando la leggerò. Me lo puoi promettere?»

Parlando invece della relazione tra Jan Olav e la ragazza delle arance posso dire che mi ha ricordato quella de "La meccanica del cuore". In entrambi i casi l'amore è ai limiti dell'ossessione (in alcune parti Jan pare un vero e proprio stalker), fatta di assurde fughe e ricerche, di prove da superare. Nascono entrambi all'improvviso con uno sguardo e poche parole, ma perlomeno quello di Gaarder ha per protagonisti due ventenni e non dei dodicenni, in più coinvolge più l'aspetto emotivo che quello fisico.

Notai inoltre il modo in cui mi osservava, come se in un certo senso mi avesse scelto fra tutte le persone che si erano riversate sul tram; era successo nel giro di un secondo, quasi come se fossimo già uniti in una specie di alleanza segreta. 

E ancora più sicuro ero di voler fare tutto quanto era in mio potere per ritrovarla. Come con un colpo di bacchetta magica era già riuscita a insinuarsi tra me e il resto del mondo.

Per cui per quanto folle ed assurdo, si presenta più credibile rispetto a quello di Malzieu.
Sempre rimanendo nel campo dei paragoni con altri libri il romanzo può essere considerato un mix di "P.S. I love you", "Molto forte, incredibilmente vicino" e "Cento giorni di felicità".
Tornando invece alla considerazione iniziale, tutta la lettera pare finalizzata ad un'importante domanda da porre al figlio, a cui, vi ricordo, non ha posto nessun altro interrogativo.
L'essenziale quesito che ha spinto Jan ad iniziare la scrittura è il seguente:

“Immagina di trovarti sulla sogli di questa favola, in un momento non precisato di miliardi di anni fa, quando tutto fu creato. Avevi la possibilità di scegliere se un giorno avresti voluto nascere e vivere su questo pianeta. Non avresti saputo quando saresti vissuto, e non avresti neppure saputo per quanto tempo saresti potuto rimanere qui, ma non si trattava comunque che più di qualche anno. Avresti solo saputo che, se avessi scelto di venire al mondo un giorno, quando i tempo fossero stati maturi, come si dice, o 'a tempo debito', allora un giorno avresti anche dovuto staccarti da esso e lasciare tutto dietro di te...
Cosa avresti scelto, Georg, se ci fosse dunque stata una potenza superiore che ti avesse lasciato questa scelta. In questo ruolo, nella grande e misteriosa favola, possiamo forse immaginarci una fata cosmica. Avresti scelto di vivere un girono una vita sulla terra, breve o lunga, dopo centomila o cento milioni di anni? Oppure avresti rifiutato di partecipare a questo gioco perché non accettavi le regole?"

Voglio sottolineare che il nostro Jan aveva già posto questa domanda al figlio di tre anni e mezzo che, chissà come mai, allora non era riuscito a comprenderlo e dargli una risposta adeguata, ragion per cui il caro papà aveva deciso di ripetere il tentativo in un momento più consono.
Non vi dico la mia reazione nello scoprire che il romanzo non era altro che finalizzato ad una lunga riflessione sull'esistenza, il valore della vita ed il peso della morte. A questo punto tutta la storia di Jan e Georg non sembra nulla di più che un pretesto che dà l'opportunità allo scrittore di dire tutto ciò che gli pare.
Ora ciò di certo non cancella l'impressione positiva che ho del libro, però non posso non pensare che, se ci si fosse stato un tentativo dello scrittore di calarsi davvero nella situazione, il risultato sarebbe stato un romanzo sicuramente più emozionante.

il mio voto per questo libro

lunedì 15 settembre 2014

I love this cover #3

Salve avventori!
Eccoci con un altro appuntamento con questa bella rubrica, tramite la quale io e Little Pigo vi comunichiamo quelli che sono i nostri gusti in fatto di cover!
Quella che vi mostro questa volta è una copertina che mi ha affascinato a prima vista. 
Si tratta  della cover originale (ci tengo a sottolineare "originale", perché quella italiana è tra le più brutte che ho mai visto) del libro "La morte delle api", ovvero "The Death of Bees" di Lisa O'Donnell, libro che ho conosciuto grazie alla recensione di Ilaria.







È Natale 
È il mio quindicesimo compleanno 
Ho sepolto i miei genitori 
Non li rimpiangerò 

La quindicenne Marnie e la sorellina Nelly hanno appena seppellito i genitori. Ora sono sole al mondo, ma nessuno, a parte loro, sa cosa sia successo, e le due ragazzine sono determinate a mantenere il segreto. Almeno fino al momento in cui Marnie avrà compiuto sedici anni e sarà considerata dalla legge un’adulta a tutti gli effetti, in grado di badare a se stessa e alla sorella… Ma nessuno sembra far caso a loro eccetto Lennie, il vicino della porta accanto che con tatto e gentilezza entra nella vita di Marnie e Nelly, deciso a prendersi cura di loro: le nutre, le veste, le protegge e fa sentire loro, per la prima volta, il calore di una famiglia. Ben presto, però, gli amici, gli insegnanti e le autorità cominciano a porre domande sempre più insistenti su quello strano legame. Così, mentre tutti vengono trascinati in un incontrollabile vortice di bugie, emergono oscuri segreti rimasti nascosti troppo a lungo, che rischiano di travolgere le due sorelle e rovinare per sempre la loro vita…


I colori mi hanno subito colpito, e l'immagine suggestiva delle sagome di due ragazze che si tengono per mano e la pala scura che si staglia contro il nitido cielo azzurro, mi hanno spinto a leggere la trama.

Be' come potete immaginare, quella mi ha incuriosito ancora di più.
Dopo aver letto la trama, la cover ha acquistato per me maggiore bellezza, perché l'ho trovata misteriosa, enigmatica e inquietante, perfettamente adatta alla storia.
Esistono altre due versioni di questa cover che trovo ugualmente belle, questa qui di lato che è molto simile alla prima che vi ho mostrato, solo che invece di giocare sui toni del blu gioca su quelli del rosa.
E poi c'è la mia preferita in assoluto che potete vedere qui in basso, di cui apprezzo sia i colori che lo stile grafico.


E ora siete pronti per essere sconvolti dalla mostruosità della cover italiana?
Come dicevo, credo sia tra le più orrende che mi sia capitato di vedere, e non per la bruttezza dell'immagine in sé (anche se pure quella lascia a desiderare parecchio), ma soprattutto perché più che di un romanzo sembra la cover di un trattato di apicultura.


Non posso fare a meno di chiedermi "perché?"
Perché questa scelta? Cosa diamine è saltato in testa all'autore di questa copertina? Perché questo giallo osceno e tutte queste api? >_<
Pensate un po' che ho letto l'anteprima del libro, disponibile nello store di iBooks, da tempo e avrei tanto voluto acquistare il libro e portare avanti la lettura, perché mi aveva davvero preso tantissimo...
Ma no, non ce la faccio! Questo scempio grafico non può finire nella mia libreria.
Pretendo e aspetterò una riedizione U_U (sempre se ce ne sarà una T_T).

giovedì 11 settembre 2014

Recensione: "Molto forte, incredibilmente vicino" di Jonathan Safran Foer

Titolo: Molto forte, incredibilmente vicino
Titolo originale: Extremely loud & incredibly close
Autore: Jonathan Safran Foer
Editore: Guanda
Data di pubblicazione: 2007
Pagine: 384
Prezzo: 13,00 €
Trama:
Oskar, un newyorkese di nove anni, ha perso il padre nell'attacco alle Torri Gemelle. 
Per non soccombere sotto il peso del dolore si aggrappa alle proprie risorse, cerca conforto nella fantasia e nella curiosità, più che nell'abbraccio di chi gli è rimasto. 
Un giorno, non troppo per caso, in un vaso azzurro trovato nell'armadio del padre scopre una busta che contiene una chiave. Sul retro della busta c'è una scritta: "Black". 
Che serratura apre quella chiave? E se Black è un nome, chi è Black? Per scoprirlo Oskar intende bussare alla porta di tutti i Mr e Mrs Black della città: forse uno di loro sa qualcosa, conosce un segreto che può farlo sentire più vicino al padre. E se il viaggio attraverso i cinque distretti di New York non gli riporterà chi se ne è andato per sempre, forse gli recherà altri doni...

Recensione:
Scrivere di questo libro non è affatto facile, come non facile è stata la sua lettura.
Quella che Jonathan Safran Foer ci racconta è una storia complicata e straziante, resa ancora più complessa dal modo in cui sceglie di raccontarcela.
I protagonisti di questo libro sono tre. 
Oskar Schell, un ragazzino di nove anni, che attraverso la sua voce racconta il dolore provato dalla scomparsa improvvisa di suo padre, morto 11 settembre 2001, durante l'attentato alle torri gemelle, e i suoi nonni paterni.
Sua nonna (la madre del padre di Oskar), si racconta al lettore, tramite delle lettere indirizzate a suo nipote, Oskar.
Ogni capitolo a lei dedicato, quindi ogni sua lettera, è intitolata "I miei sentimenti".
Anche il nonno, Thomas Shell (marito della nonna su citata e padre del papà di Oskar), si racconta tramite delle lettere, queste sono prima indirizzate a: "mio figlio non nato", successivamente sono indirizzate a: "mio figlio", e la sua ultima lettera è indirizzata ad Oskar.
Tre storie e tre vite tormentate da incubi e paure, allo stesso tempo simili e diverse, che hanno come punto in comune la paura di vivere, ma quello che differenzia ciascun personaggio è il modo in cui ognuno affronta o soccombe ai suoi timori.
Il libro si apre con il racconto di Oskar.
Lui aveva un rapporto molto speciale con suo padre, ed è molto bello leggere di loro attraverso i suoi ricordi.
Dopo la perdita Oskar non è più lo stesso, è tormentato da numerose fobie che lo perseguitano e da un senso di colpa misterioso che lo attanaglia e gli impedisce di perdonare se stesso e gli altri.
Un giorno, cercando nello studio di suo padre un modo per ravvivare il suo ricordo, sentendo il suo profumo e toccando le sue cose, scopre in un vaso blu una piccola chiave misteriosa, contenuta all'interno di una busta bianca con su scritto semplicemente "Black".
Da qui parte per lui una forsennata ricerca per ritrovare la serratura corrispondente a quella chiave e il suo possessore.
Un modo questo, per sentirsi in qualche modo nuovamente vicino a suo padre, per tenerlo ancora accanto a sé.
Il capitolo successivo è un'incognita. 
Si apre con il titolo "I miei sentimenti" e per un bel pezzo della lettura non si capisce chi stia parlando, né di cosa.
Stessa cosa vale per il capitolo successivo, che si apre con il titolo "Perché non sono dove siete voi".
In ogni lettera il nonno e la nonna raccontano un pezzo della loro storia, in una danza tra presente e passato.
Scopriamo di come si sono conosciuti, di come si sono persi e successivamente ritrovati per poi perdersi ancora.
Di come il nonno ha perso la capacità di parlare, isolandosi ancora di più in se stesso e dentro quaderni di carta in cui rinchiude i suoi pensieri e la sua vita.
Scopriamo di come la nonna, persa la sua famiglia in Germania, durante il bombardamento di Dresda avvenuto poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, si sia trasferita in America e dopo anni di solitudine, si sia lasciata andare ad un amore che sapeva non essere diretto a lei. Di come comunque lo abbia custodito come qualcosa di suo e prezioso, nella speranza che un giorno ne fosse destinataria lei, e lei soltanto.
E la troviamo, una volta abbandonata da quell'uomo che forse non l'ha mai realmente amata, riversare tutto il suo amore (anche in maniera eccessiva) sul suo nipotino, a cui spesso augura di non amare mai nessuno tanto quanto lei ama lui.
Il libro prosegue così, secondo questo ritmo di alternanza nella narrazione, come un passaggio del testimone, che aumenta la confusione nella lettura, in una storia (che è in realtà un insieme di tre storie, tre vite), narrata in maniera altrettanto dispersiva e confusionaria. 
Dicendo questo non voglio fare una critica al modo di scrivere dello scrittore, in quanto credo che quello di confondere e spiazzare il lettore sia stato un suo specifico intento, sta di fatto però che la lettura in questo modo risulta meno scorrevole, più intricata e fastidiosa e perciò meno emozionante.
La storia di Oskar e della chiave, che avrebbe dovuto essere la protagonista, in questo modo diventa una storia di contorno alle altre, che pur essendo interessanti non sono altrettanto coinvolgenti.

Considerazioni:
Ho voluto leggere questo libro perché il film omonimo mi aveva emozionato tantissimo, inoltre ero molto curiosa di vedere come la storia fosse raccontata su carta, e se era descritta con maggiori particolari ogni famiglia "Black" visitata da Oscar durante la sua spasmodica ricerca alla serratura.
Purtroppo, anche se capita di rado, anche questo si è rivelato uno dei casi in cui ho nettamente preferito il film al libro.
Come ho detto nella recensione, il raccontare le storie dei nonni ha tolto spazio ed importanza a quella più bella e toccante, che invece nella trasposizione cinematografica ha trovato ampio respiro. 
Avrei preferito leggere più del rapporto tra Oskar e suo padre e avrei preferito farlo senza interruzioni che, inevitabilmente, tolgono pathos al racconto.
Di contro avrei preferito leggere molto meno dei nonni... soprattutto alcuni contenuti all'interno delle lettere della nonna (che ricordiamolo, erano indirizzate ad Oskar!!! Suo nipote!) li avrei volentieri risparmiati, sia a me stessa che al povero Oskar, che mi sono immaginata, poverino, tutto imbarazzato e confuso a leggere particolari della vita sessuale dei suoi nonni e a domandarsi "Ma la nonna che si è bevuta? Perché mi scrive certe cose? Cosa me ne dovrebbe fregare?"
Insomma ho trovato molte lettere della nonna superflue e imbarazzanti, e a mio parere molto inverosimili, se pensiamo a chi erano dirette.
Molto tenere erano invece le parti in cui la nonna parlava del suo rapporto con la sorella Anna, in particolar modo mi hanno colpito queste parole:

"La notte prima di perdere tutto era stata una notte come tutte le altre. 
Anna e io ci eravamo tenute sveglie a vicenda fino a molto tardi. 
Ridevamo. Due sorelline a letto sotto il tetto di casa della loro infanzia. 
Il vento alla finestra. Cos'è che può meritare di meno di essere distrutto? 
Pensavo che saremmo rimaste sveglie per tutta la notte. Per il resto della nostra vita. 
Gli intervalli tra le nostre parole aumentavano. 
Diventò difficile dire quando stavamo parlando e quando tacevamo. 
I peli delle nostre braccia si toccavano. Era tardi ed eravamo stanche. 
Credevamo che ci sarebbero state altre notti. 
Il respiro di Anna cominciò a rallentare, ma io volevo parlare ancora. 
Si voltò su un fianco. 
Le dissi: Voglio dirti una cosa. 
Rispose: Puoi dirmela domani. 
Non le avevo mai detto quanto le volevo bene. 
Era mia sorella. 
Dormivamo nello stesso letto. 
Non era mai il momento giusto per dirlo. 
Non era mai necessario. 
I libri nel capanno di mio padre sibilavano. 
Le lenzuola si alzavano e ricadevano attorno a me per il respiro di Anna. 
Pensai di svegliarla. 
Ma non era necessario. 
Ci sarebbero state altre notti. 
E come si fa a dire ti voglio bene a una persona a cui vuoi bene? 
Mi voltai su un fianco e mi addormentai vicino a lei. 
Ecco il senso di tutto quello che ho cercato di dirti, Oskar. 
E' sempre necessario. 
Ti voglio bene, 
La nonna."

Ho inoltre apprezzato molto le lettere del nonno indirizzate ai suoi figli, il modo in cui descrive come e quando ha smesso di parlare, il modo in cui le parole lo hanno man mano abbandonato.
Anche nelle sue lettere, di tanto in tanto, c'è descritto qualche particolare che un figlio preferirebbe non leggere, ma se pensiamo che le sue, erano lettere scritte soprattutto a se stesso e che mai ha avuto la volontà di consegnare al suo interlocutore, tutto diventa più plausibile. 
In entrambe le storie è evidente quanto quasi tutti i problemi personali, e nel proprio rapportarsi con se stessi e con gli altri, siano stati causati dai rimorsi e dalle cose non dette.

Le parti dedicate ad Oskar sono ovviamente le mie preferite, e mi hanno fatto venire la voglia di riguardare il film.
Ho trovato Jonathan Safran Foer molto capace a descrivere i pensieri e le angosce di un ragazzino così traumatizzato. 
Rimprovera la madre che tenta di rifarsi una vita e rimprovera se stesso di essere così severo con lei e di non riuscire, nonostante gli sforzi, ad andare avanti.

"«Mi manca papà.» 
«Anche a me.» 
«Davvero?» 
«Certo.» 
«Ma ti manca sul serio?» 
«Come puoi chiedermelo?» 
«È che non ti comporti come se ti mancasse proprio tanto!» 
«Cosa dici?» 
«Secondo me lo sai cosa dico.» 
«No, non lo so.» 
«Ti sento quando ridi.» 
«Mi senti quando rido?» 
«In soggiorno. Con Ron.» 
«Tu credi che papà non mi manchi perché ogni tanto faccio una risata?» 
Mi sono girato sul fianco, staccandomi da lei. 
Mi ha detto: «E piango tanto, sai?» 
«Io non ti vedo piangere tanto.» 
«Forse perché non voglio che mi veda.» 
«E perché?» 
«Perché non fa bene a nessuno dei due.» 
«Sì, invece.» 
«Io voglio che la vita continui.» 
«Ma quanto piangi?» 
«Quanto?» 
«Sì... un cucchiaio? Una tazza? Una vasca da bagno? Mettendo insieme tutte le lacrime.» «Non è così che va.» 
«E come va?» 
Ha risposto: «Sto cercando dei modi per essere felice. E quando rido sono felice». 
Le ho detto: «Io invece non sto cercando dei modi per essere felice, e non ne cercherò mai». 
E lei: «Ma dovresti».
«Perché?» 
«Perché papà ti vorrebbe felice.» 
«Papà vorrebbe che mi ricordassi di lui.» 
«Perché non ricordarlo ed essere felice?» 
«Perché sei innamorata di Ron?» 
«Come?» 
«È chiaro che sei innamorata di lui, perciò voglio sapere: perché? Cos'ha lui di tanto speciale?» 
«Oskar, non ti è mai venuto in mente che le cose potrebbero essere più complicate di quanto sembrano?» 
«Mi viene in mente sempre.» 
«Ron è un mio amico.» 
«Allora promettimi che non ti innamorerai mai più.» 
«Oskar, anche Ron sta passando un momento difficile. Ci aiutiamo a vicenda. Siamo amici.» «Promettimi che non ti innamorerai mai più.» 
«Perché vuoi che ti faccia questa promessa?» 
«O mi prometti che non t'innamorerai più, o io smetto di volerti bene.» 
«Sei ingiusto.» 
«Io non devo essere giusto! Sono tuo figlio!» 
Ha fatto un sospiro enorme e mi ha detto: «Mi ricordi tanto papà». 
E poi ho detto qualcosa che non avevo progettato di dire, non volevo dirla neanche. Mentre mi usciva dalla bocca, mi sono vergognato che si mischiasse con qualsiasi cellula di papà che potevo avere inspirato quando ero andato a visitare Ground Zero. 
«Se avessi potuto scegliere, avrei scelto te!» 
Lei mi ha guardato per un attimo, poi si è alzata ed è uscita dalla stanza. Avrei voluto che sbattesse la porta, ma non lo ha fatto. L'ha chiusa piano piano, come sempre. Ho sentito che non si allontanava."

Ho percepito la sua rabbia, la sua paura e la sua angoscia, ho capito i suoi rimorsi e il peso enorme causato dal suo senso di colpa, per non aver risposto a quell'ultima chiamata quella mattina del giorno più brutto.

«Posso dirti una cosa che non ho mai detto a nessuno?» 
«Certo.» 
«Quel giorno eravamo appena entrati quando ci hanno fatto uscire da scuola. Non ci hanno detto di preciso perché, solo che era successa una brutta cosa. Noi non abbiamo capito, credo. Oppure, non abbiamo capito che una brutta cosa poteva capitare a noi. Sono venuti tanti genitori a prendere i loro bambini ma io sono tornato a piedi, dato che la scuola è appena a cinque isolati da casa mia. Un mio amico mi ha detto che mi avrebbe telefonato, perciò sono andato subito a vedere la segreteria e la luce lampeggiava. 
C'erano cinque messaggi. Tutti suoi.» 
«Del tuo amico?» 
«Del mio papà.» 
Lui si è coperto la bocca con la mano. 
«Diceva sempre che stava bene e che tutto sarebbe finito bene, e non dovevamo preoccuparci.» 
Una lacrima gli è scesa sulla guancia e si è fermata sul dito. 
«Però, la cosa che non ho mai detto a nessuno è questa. Dopo che ho ascoltato i messaggi, è squillato il telefono. Erano le 10.26. Ho guardato il codice di identificazione e ho visto che era il suo cellulare.» 
«Oh, Dio.» 
«Per favore, puoi tenere una mano su di me, così riesco a finire la storia?» 
«Ma certo» ha detto, e ha spinto la poltrona attorno alla scrivania per venirmi vicino. 
«Non ho alzato la cornetta. Non ce la facevo. Continuava a suonare, e io non riuscivo a muovermi. Volevo alzarla, ma non ci riuscivo. È partita la segreteria, e ho sentito la mia voce: Salve, risponde casa Schell. Ecco il fatto del giorno di oggi: Nella Jacuzia, che è in Siberia, fa talmente freddo che il fiato si gela con uno scricchiolio che chiamano il sussurro delle stelle. Nelle giornate estremamente fredde, le città sono coperte da una nebbia formata dal respiro degli uomini e degli animali. Siete pregati di lasciare un messaggio. 
C'è stato un bip. Poi ho sentito la voce di papà. "Ci sei? Ci sei? Ci sei?" 
Lui aveva bisogno di me e io non riuscivo ad alzare la cornetta. Non ci riuscivo. Non ce la facevo. "Ci sei?
Lo ha domandato undici volte. Lo so, perché le ho contate. 
È una di più di quelle che posso contare sulle dita. 
Perché continuava a chiederlo? Aspettava che qualcuno tornasse a casa? E perché non chiedeva "C'è qualcuno?"... "Ci sei?" vuol dire una persona sola. 
A volte penso che sapeva che ero lì. Forse tentava solo di darmi il tempo per trovare il coraggio di alzare la cornetta. E poi, c'era troppo spazio fra una domanda e l'altra. 
Ci sono quindici secondi fra la terza e la quarta, ed è l'intervallo più lungo. 
In sottofondo si sente la gente che urla e che piange. E poi rumore di vetri che si rompono, ed è anche per questo che mi chiedo se stavano saltando giù. 
Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci sei? Ci 
E dopo si è interrotto.»

Non aver risposto al telefono per quell'ultima volta, non aver detto addio, o anche un solo: "Papà, si, ci sono, ti voglio bene".
Mi sono ritrovata a chiedermi "cosa avrei fatto al posto suo?" e non ho saputo darmi una risposta, perché la paura spesso immobilizza e rende incapaci di agire, spero solo di non dovermelo chiedere mai.

Un filo conduttore unisce queste tre storie.
Il lutto, il trauma, la paura di tornare a vivere, il senso di colpa per non aver avuto il coraggio di dire o fare qualcosa.
La morale di questo libro è quindi questa: non è mai il momento sbagliato per dire quello che si prova, e non sarà mai troppo presto, perché non sappiamo se l'occasione ci si ripresenterà, e quando c'è si dovrebbe coglierla al volo.

Confronto con il film:
Come ho già spiegato nella recensione, credo che il film in questo caso superi ampiamente il libro da cui è stato tratto.
Meno dispersivo, più essenziale e, cosa più importante, decisamente più emozionante.
La storia nel film è circoscritta al rapporto padre-figlio, concentrata quindi più su Oskar e il suo dolore, e tutto il contorno delle vicissitudini dei nonni è tralasciato, e questa per me è stata una scelta vincente.
Ho trovato superlativa l'interpretazione di Thomas Horn, il bambino che interpreta Oskar e che, a quanto ho letto, era alla sua prima esperienza nel cinema.
Magistrale come sempre Tom Hanks, che non delude mai.
Da vedere assolutamente!!!
il mio voto per questo libro