venerdì 6 ottobre 2017

Recensione: "Il prodigio" di Emma Donoghue

Titolo: Il prodigio
Titolo originale: The Wonder
Autore: Emma Donoghue 
Editore: Neri Pozza
Data di pubblicazione: 9 febbraio 2017
Pagine: 304
Prezzo: 17,00 € 

Trama:
Irlanda, seconda metà dell’Ottocento. L’infermiera Lib Wright, una veterana della guerra in Crimea formatasi all’illustre scuola di Florence Nightingale, è appena giunta nelle Irish Midlands dall’Inghilterra. A convocarla è stato un comitato capeggiato dal dottor McBrearty, il medico della Contea. 
Il caso sottopostole è quanto mai insolito: Anna O’Donnell, una bambina in perfetta salute, afferma di non toccare cibo dal giorno del suo undicesimo compleanno, quattro mesi prima. Un vero e proprio «prodigio vivente», che non manca di attirare stuoli di fedeli da tutto il mondo, impazienti di vedere con i propri occhi la bambina che sostiene di nutrirsi soltanto di manna dal cielo. 
Il compito di Lib, e della collega suor Michael, sarà sorvegliare la bambina per due settimane, notte e giorno, e verificare se assuma o meno cibo terreno.
Quale sarà il verdetto finale? Anna O'Donnell è davvero un miracolo della natura, come pensano tutti, o solo un'astuta impostora?

Recensione:
Una landa desolata, in cui la carestia è il pane quotidiano, e ogni abitante non fa che lavorare senza sosta, nei campi o nella torba, nella speranza di portare a casa un pasto caldo.
Un terra in cui superstizione e religione si intrecciano in maniera indissolubile, fino a fondersi e dar vita ad un insieme di sconcertanti credenze.
Un luogo arretrato, rimasto indietro sulla tabella di marcia, in cui il tempo sembra essersi fermato, senza che nessuno se ne sia accorto.
Questo è il posto in cui vive Anna, una bambina allegra e piena di vita, una come tante, se non per un piccolo particolare: non mangia.
Da circa quattro mesi pare convinta di poter vivere senza toccare cibo, grazie alle forze che Dio le concede. E la cosa più inquietante non è tanto la folle e ferma convinzione della ragazzina, quanto il beneplacito di chi le sta accanto.
I suoi genitori innanzitutto, ma anche i paesani ed i fedeli giunti da lontano, i quali si affacciano quotidianamente alla porta di casa degli O'Donnell, per poter vedere da vicino, e magari persino toccare con mano, la piccola santa irlandese.
In questo scenario poco confortante, si inserisce Lib Wright, l'integerrima infermiera giunta apposta da Londra per dipanare la questione. Il suo compito è semplice: osservare continuamente la ragazzina, e riferire ad un comitato preposto, qualora Anna, da sola, o con la complicità di qualcuno, assuma cibo di nascosto.
Inutile dire che Lib, forte della sua inespugnabile scienza, non può che pensare che, dietro a tutta quella torbida faccenda, si celi solo un grande e ben orchestrato inganno.
Ma è davvero così? O le salde certezze su cui ha basato tutta la sua vita cominceranno a vacillare?
Fortemente animata dal desiderio di porre fine all'assurdo fanatismo religioso o, nel peggiore dei casi, ad un ben ponderato piano di marketing ante litteram, che vede nella piccola O'Donnell una paladina pronta a tutto pur di assecondare i piani di Dio (o della sua machiavellica famiglia), Lib inizia a raccogliere prove. Registra tutto, giorno dopo giorno, sul suo taccuino, e tiene gli occhi bene aperti, nella speranza di beccare in flagrante la truffaldina e i suoi fedeli aiutanti.

La piccola è davvero scaltra, pensò Lib, sa che fornendomi una spiegazione si metterebbe comunque nei guai. 
Infatti se avesse affermato che era il Creatore a ordinarle di non mangiare si sarebbe in qualche modo paragonata a una santa. Se invece si fosse vantata di sopravvivere grazie a qualche misterioso principio naturale non avrebbe potuto sottrarsi all'esame della scienza. 
Ti schiaccerò come una noce, signorina!

Ma per quanto la signora Wright possa essere un'infermiera diligente e ligie al suo dovere, è pur sempre una donna, e per quanto Anna risulti infarcita di preghiere e precetti biblici, è pur sempre una bambina.
Più si va avanti e più, come è normale che sia, il rapporto tra le due tende ad intensificarsi, fino ad oltrepassare le naturali barriere tra paziente ed infermiera. La signora Elizabeth diventa per la piccola solo Lib, un'amica a cui confessare le sue pene, mentre la trentenne inglese comincia a considerare quello che sta compiendo in quel paesino sperduto, non solo un lavoro da portare a termine, ma qualcosa di più personale.
Ovviamente non sta a me rivelarvi cosa si cela davvero dietro questa inappetenza, vera o apparente che sia, anche perché non sta nello scioglimento dell'enigma il bello della lettura, o perlomeno non solo.
Il romanzo risulta intenso e appassionante per più ragioni. 
La prima è l'ambientazione, che cattura già dalle prime righe. Una natura selvaggia e rude, che fa da padrona, mentre i suoi abitanti non possono che sottostare come umili servitori. 
Una vita povera, condotta in case di fango, latte e sangue, in viuzze che sfociano nel nulla, in orizzonti sterminati di sterpaglie e di torba.
Una cultura, se così si può chiamare, fatta di fate, spiriti maligni, alberi che scacciano via i mali e preghiere che puliscono le anime.  
Una religiosità morbosa e soffocante, dei fedeli stolti e creduloni, degli uomini di sapere che tutto sembrano fuorché sapienti.
Una scenografia che attrae e respinge, col suo essere spontanea e primitiva, ma anche orrendamente antiquata.
Poi ci sono i personaggi. Puoi amarli o detestarli, ma è quasi impossibile ti lascino indifferenti.
Ad esempio Lib, così risoluta e determinata, rappresenta l'esatto opposto degli irlandesi ritratti, infiacchiti e privi di morale. La donna, dotata di grande perizia ed esperienza, si erge maestosa su tutti quei sempliciotti che fanno di salmi e santini la risposta a tutti i loro problemi.
Lei non rappresenta solo la scienza contrapposta alla religione, ma il naturale senso critico dinnanzi alla stupidità umana.
E poi c'è Anna, così piccola eppure così forte, una guerriera in miniatura, cresciuta troppo in fretta e nel modo più sbagliato. La più giovane degli O'Donnell è un personaggio tutto da scoprire, ma di questo vi parlerò più tardi.
La terza ragione che rende questo libro agghiacciante e meraviglioso allo stesso tempo è il mistero e la realtà che sta alla base del "prodigio di Dio".
Inizialmente le ipotesi da seguire sono due: Anna sopravvive senza mangiare (ed è quindi un miracolo), oppure Anna mangia di nascosto (è dunque una truffa). Entrambi gli scenari mi sarebbero parsi banali e privi di attrattiva, speravo quindi, e dentro di me sapevo, che ci sarebbe stata una terza opzione, come in effetti è.
E giungiamo ora all'ultimo e fondamentale motivo che mi spingerebbe a consigliarvi questa lettura, ovvero le emozioni.
Ovviamente ogni romanzo, anche il più brutto, ci spinge a provare qualcosa e fa scaturire determinate sensazioni. Ma "Il prodigio" offre qualcosa di più, ti fa entrare letteralmente nella storia, ti fa vivere sulla tua pelle i piaceri e i dolori, soprattutto quelli. 
Vorresti tuffarti nelle pagine e cambiare le carte in tavola, vorresti cambiare tutto. E salvare Anna, da se stessa, dalla sua famiglia, da un Dio vendicatore che non è un vero Dio, da un amore malato che non è vero amore.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro, e hai intenzione di farlo, fermati qui!
Ma quanto è difficile parlare di un libro, stando bene attenti a non rivelare nulla, o per meglio dire, raccontando solo il minimo necessario.
Ebbene, finalmente posso dare libero sfogo ai miei pensieri, senza preoccuparmi di eventuali spoiler!
Venendo al dunque, come dicevo prima, questo libro ha l'enorme pregio di tenerti incollato alle pagine. Prima di tutto per la curiosità di scoprire la verità su Anna e le sue incredibili capacità di sopravvivenza.
Ma poi, al naturale interesse per una questione quantomeno bizzarra, subentra qualcos'altro.
Più si va avanti con la lettura, più si conosce Anna, quella vera. Non solo la bambina che recita preghiere da mattina a sera, che riceve istruzioni dall'alto, che custodisce santini come tesori, che si comporta da perfetta fedele. Ma la ragazzina che sogna di vedere un giorno il mare aperto, che ama le stelle e tutte le creature viventi, che riserva a ogni persona che incontra una parola gentile, che comprende il dolore degli altri, e che nasconde con fierezza il suo.
Devo ammetterlo, inizialmente mal sopportavo la tendenza di Anna a parlare per frasi fatte, citazioni bibliche ed il continuo appellarsi alla volontà del Signore. Ma poi, come accade anche a Lib, ho cominciato ad affezionarmi al suo personaggio.
In particolare, per quanto abbia odiato lo strenuo digiuno a cui volontariamente e scioccamente si sottoponeva, la sua fermezza e l'alto grado di sopportazione mi hanno spinto poco a poco ad apprezzarla. Soprattutto una volta saputo il perché della sua decisione e lo stato d'abbandono in cui versava, prima dell'arrivo dell'infermiera inglese.

Lib fu presa dallo sconforto. Allora non era un nemico quella bambina dal viso dolce, né una scaltra detenuta. 
Solo una bambina in balia di un sogno ad occhi aperti, una bambina che camminava senza saperlo verso l'orlo di un precipizio. Era solo una paziente che aveva bisogno di essere aiutata. E alla svelta.

Al contrario, pagina dopo pagina, l'odio per tutti i personaggi irlandesi (escludendo il giornalista William Byrne) cresceva sempre di più. Il loro essere così bigotti e pusillanimi, nonché ciechi di fronte alla realtà dei fatti, non poteva che farmi ribrezzo.
Per quanto tutti incarnino perfettamente il detto "il più pulito ha la rogna", quelli che proprio si sono distinti per omertà, idiozia cronica, scelleratezza, e insensibilità, e che si guadagnano quindi la medaglia al disvalore, sono... rullo di tamburo, il dottor McBrearty e la cara mammina, Rosaleen O'Donnell.
Sul primo stenderei un velo pietoso, perché cosa si può dire di un uomo di scienza che, pur vedendo una bambina morente, preferisce credere si stia tramutando in una lucertola?
Mentre sulla padrona di casa, posso affermare che, come nella vita vera, non tutte le donne nascono per essere mamme, molte rimangono semplicemente madri.
Ecco perché lei rimane impassibile, mentre sua figlia si spegne davanti ai suoi occhi, quando basterebbe così poco, una parola d'amore, per mettere fine a quel patibolo. 
Osserva Anna penare per colpe non sue, e pregare per ricevere un perdono che fatica ad arrivare.
Se Anna è la vittima della situazione, Rosaleen ne è la carnefice, troppo impegnata ad apparire perfetta agli occhi degli altri, ad essere pia e devota, a trasformare la sua bimba in una santa, per rendersi conto dell'orribile crimine che si sta perpetrando, dentro le mura della sua casa e con la sua complicità.
Accetta di buon grado il sacrificio di Anna, pur di farne una martire, un esempio di virtù e obbedienza.

«Le mie immagini sacre, i libri e le altre cose», sussurrò Anna indicando il comò. 
«Vuoi vederle?» le domandò Lib. 
La bambina scosse la testa. «Sono per la mamma. Dopo». 
Lib annuì. Ci vedeva una sorta di giustizia poetica: santi di carta al posto di una figlia in carne ed ossa. Forse che Rosaleen O'Donnell non avesse spinto Anna verso la tomba, almeno da novembre? 
Poteva anche darsi che dopo averla perduta le sarebbe stato più facile amarla: a differenza dei vivi, i morti sono impeccabili. Ed era questo che Rosaleen O'Donnell aveva scelto di essere, la madre affranta ma orgogliosa di due angioletti.

Parlando invece di Lib, non faccio mistero di essermi trovata subito in sintonia con lei. Le sue reazioni e lo stupore nel ritrovarsi in un paese così arretrato, economicamente e culturalmente, sono più che comprensibili. Come anche l'iniziale diffidenza con cui affronta il caso affidatole. 
Il suo atteggiamento cambia nel corso del tempo, tant'è che lo stesso libro è scandito in capitoli che riprendono i diversi ruoli che l'infermiera si ritrova a ricoprire nelle due settimane di sorveglianza. 
L'unica cosa che non ho visto di buon occhio è il suo temporeggiare una volta constatato il grave stato di salute di Anna (e anche il fatto che non si sia accorta della gravità della situazione, se non dopo essersi confrontata con Byrne, non depone a suo favore, essendoci stata presentata come un'infermiera esperta). Avrei preferito maggior polso, e soprattutto maggior celerità, nell'affrontare la questione, ma del resto capisco che, per questioni di scrittura, è sicuramente più giovevole tergiversare almeno un pochino.
Ultima cosa, e poi prometto che vi lascio andare, è il coinvolgimento emotivo che prende piede da un certo punto del romanzo in poi. 
Il lettore non può che affezionarsi ad Anna, ed è poi costretto a sottostare al suo progressivo peggioramento. La vede distruggersi, perdere il contatto con la realtà e con il suo stesso corpo, percepisce la sua agonia. Le ossa sempre più evidenti, il battito accelerato, i respiri affannati.
E poi osserva loro, gli O'Donnell, tutti quelli che dovrebbero amarla e proteggerla, inerti, che rimandano alla volontà del Signore. Un agnello sacrificale chiamato a lavare i loro peccati, il prezzo da pagare per salvarli tutti.
Non voglio dirvi di più, né rivelarvi il finale nel caso non lo abbiate ancora letto, ma credetemi, questo è un libro che ti spezza il cuore, che ti fa provare rabbia, rassegnazione, pena e speranza. Un libro con una storia intensa, originale e brillante, che farete fatica a dimenticare.

Ringrazio la casa editrice Neri Pozza per avermi fornito una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro

6 commenti:

  1. Capisco che il libro ti ha preso con la sua storia. Incentrandosi su una Irlanda povera e appena uscita dal periodo della carestia delle patate, anche se qui non accennato. È vero che può suscitate rabbia per le varie situazioni che si susseguono, lasciandosi vivere senza cambiare nulla per timore, paura, o solo per dare una visione positiva di loro stessi. Da consigliare.

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  2. Caspita, che bellissima recensione! Mi piacerebbe davvero leggere questo libro, ma sono un po' restia perchè io sono molto credente... e a volte leggere queste storie in cui chi crede è arretrato e ottuso mi ferisce e mi fa soffrire... sia perchè mi disturba che la gente trasformi la fede in cecità e superstizione sia perchè a volte si passa a pensare che la fede in un certo senso SIA cecità e superstizione... quindi non so, questo libro penso che non riuscirei ad apprezzarlo a dovere...

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    1. Ciao Lara!
      Questo non è assolutamente un libro che sconsiglierei a chi crede, tutt'altro! Io stessa mi considero una credente, anche se ho una pessima opinione delle istituzioni religiose, e non ho potuto che apprezzare l'estrema verità espressa in queste pagine.
      Perché comunque una persona intelligente sa capire che gli eccessi (sia in un senso che nell'altro) esistono e sono sempre esistiti, e sono quelli che vanno condannati.
      Qui la fede non è messa in discussione, c'è un personaggio molto credente e uno che non lo è che si confrontano civilmente, come è giusto che sia. Quello che viene messo in disussione è il fanatismo che gravita tutto intorno a loro.
      Inoltre non serve a nulla bendarsi gli occhi e dimenticare le atrocità che si sono perpetuate e che ancora si perpetuano per l'aderenza ad un determinato culto.
      Purtroppo in passato, ancora più che adesso, la religione e la superstizione erano fortemente connesse, è un dato di fatto.
      La stessa storia di Anna qui narrata è ispirata a varie storie di altrettante bambine e ragazzine che in un passato neanche troppo lontano si sono lasciate morite di stenti, solo per proclamare la loro fedeltà ad un Dio, o peggio, perché plagiate da chicchessia.
      Quello che possiamo fare da credenti è solo apprendere (perché conoscere è sempre utile) e prendere le distanze da cotanta ignoranza.

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    2. Ciao Lara!
      Mi spiace se la mia recensione ti ha fatto pensare che questo libro sia solo il ritratto del fanatismo religioso. Di certo questo è molto presente, ma come diceva mia sorella, vi sono anche personaggi che incarnano il modello del credente con senso critico, in cui sicuramente potrai riconoscerti.
      Purtroppo, come rivela lo stesso romanzo, la storia di Anna è sì di fantasia, ma attinge al reale fenomeno delle digiunanti, spinte dalla religione (non solo cattolica) a rinunciare al cibo in nome di Dio.
      Questi o simili casi estremi esistono o sono esistiti in ogni credo religioso, basti pensare ai kamikaze islamici che riempiono attualmente le pagine della nostra cronaca, o ai roghi di presunte streghe, filosofi e scienziati, e più in generale di libri profani, nel passato della nostra religione cattolica.
      "Il prodigio" racconta questa realtà arretrata e credulona, che per fortuna non ci appartiene più, ma anche molto altro.
      Di una donna ferita che impara ad aprire il suo cuore, e di una bambina sola che si sente finalmente amata. E' una storia di sentimenti ed emozioni, che mi auguro vivamente tu legga.
      Se lo farai, passa pure a lasciarci la tua opinione.
      A presto!

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  3. la storia che narra questo libro è veramente particolare e devo dire che mi ha molto incuriosita tanto che il libro è entrato nella lista dei desideri

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  4. Ma meraviglia delle meraviglie! La trama sembra fenomenale! Ho proprio intenzione di leggerlo! Poi ne parli anche bene :D grazi per questo ennesimo libro che mi hai fatto conoscere :D mi piace il fatto che sul tuo blog non ci sono i soliti libri conosciuti ma quelli magari più ignorati ma ugualmente fantastici

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