giovedì 11 dicembre 2014

Recensione: "1984" di George Orwell

Titolo: 1984
Autore: George Orwell
Editore: Mondadori
Data di pubblicazione: 2002
Pagine: 336
Prezzo: 9,50 € 
Trama:
Winston Smith, trentanove anni, vive a Londra, capitale dell'Oceania, uno dei tre continenti in cui è suddiviso il mondo abitato.
Ha sempre vissuto a Londra, da che ne ha memoria. 
Lavora al Ministero della Verità, ma non sa più da quanto.
Tutto ciò che ricorda è il Partito che, nella figura del Grande Fratello, da sempre governa tutta l'Oceania.
La sua vita non è stata altro che obbedienza alle regole stabilite.
Fino a quando dentro di lui si insinua un dubbio: il Grande Fratello vuole davvero proteggere tutti dal nemico o l'unico pericolo alberga nel Partito stesso?

Recensione:
In uno scenario post-apocalittico, ambientato nell'anno 1984, tutto ciò che resta della Terra sono tre continenti in perenne guerra tra loro: l'Eurasia, l'Estasia e l'Oceania. In quest'ultima, e in particolare a Londra, vive Winston Smith, trentanove anni, uno dei tanti dipendenti del Ministero della Verità.
Il suo compito è salvaguardare l'immagine del Partito che da troppo tempo governa ogni cosa. Tutto ciò che deve fare è trasformare le continue menzogne del governo in verità da dare in pasto a coloro che sembrano non rendersi conto della realtà.
Tutto ciò che deve fare è continuare a nascondere l'odio che da più di sette anni non fa che insinuarsi in lui, un odio che ha un solo referente: colui che è a capo di tutto, e che deve essere rovesciato, il Grande Fratello.
Così un giorno come un altro il nostro protagonista decide di dare il via alla sua ribellione. In un mondo in cui la libertà non esiste, in cui anche un singolo movimento, un gesto o un'espressione del viso può costituire un reato, anche le cose più semplici sono proibite.
Winston sa bene che scrivere un diario potrebbe causargli la morte, ma il bisogno di lasciare un messaggio al futuro sembra essere più forte.

Egli era un fantasma isolato, che proclamava una verità che nessuno avrebbe mai udito, ma finché avesse continuato a proclamarla, in un qualche misterioso modo l'umana catena non si sarebbe spezzata. Non era facendosi udire che si salvaguardava il retaggio degli uomini, ma conservando la propria integrità mentale. Tornò al tavolo, intinse la penna nell'inchiostro e scrisse: 

Al futuro o al passato, a un tempo in cui il pensiero sia libero, gli uomini siano gli uni diversi dagli altri e non vivano in solitudine... a un tempo in cui la verità esista e non sia possibile disfare ciò che è stato fatto.

Per liberarsi dalle catene della schiavitù è necessario fare qualche sacrificio.
Così, con una penna e un vecchio quaderno rilegato, Winston inizia il suo percorso di liberazione, che potremmo idealmente suddividere in tre fasi: dal pensiero, alla scrittura, fino all'azione.
Se in un primo momento infatti l'uomo si limita ad immaginare un luogo senza obblighi, e soprattutto senza teleschermi pronti a seguire ogni sua mossa, man mano che andremo avanti assisteremo al suo cambiamento: Winston diventa più forte, meno timoroso dei pericoli e più consapevole delle conseguenze delle sue azioni.
Un ruolo importante in tutto questo lo avrà Julia. Solo grazie a lei la ribellione di Winston (e anche la sua) approda alla terza fase.
Il loro rapporto nasce difatti in primo luogo come reazione alle ferree leggi che vietano le relazioni tra i membri del Partito. Ogni loro fugace incontro rappresenta per i due amanti un attacco al Grande Fratello. Solo in un secondo momento alla valenza politica si affiancherà quella sentimentale.
Insieme a Julia, Winston inizierà un vero e proprio viaggio nel passato: dal caffè al cioccolato di un tempo, alle vecchie filastrocche, fino ai ricordi più importanti: la scomparsa improvvisa della mamma e della sorellina.
Ciò che sembrava sepolto di colpo riaffiora, così come il senso di colpa per non aver salvato la sua famiglia.

Il pensiero che ora colpì Winston fu che la morte della madre si era verificata, quasi trent'anni prima, in circostanze tragiche e dolorose che adesso sarebbero state impossibili. Si rese conto che il tragico apparteneva a un tempo remoto, a un tempo in cui ancora esistevano la vita privata, l'amore, l'amicizia, a un tempo in cui i membri di una famiglia vivevano l'uno accanto all'altro senza doversene chiedere il motivo. 
Il ricordo di sua madre gli straziava il cuore, perché sapeva che era morta amandolo, quando lui era troppo piccolo ed egoista per amarla a sua volta, e perché in un certo senso, che gli sfuggiva, aveva sacrificato se stessa a un ideale di devozione privato e inalterabile. 
Oggi cose simili non sarebbero potute accadere. Oggi la paura, l'odio e il dolore c'erano ancora, ma non esistevano più pene profonde e complesse, né la dignità data dall'emozione. Tutto ciò gli sembrava di vedere nei grandi occhi della madre e della sorella, che volgevano a lui lo sguardo da quell'acqua verde, a centinaia di tese nell'abisso, mentre ancora affondavano.

Solo ripensando a loro Winston si rende conto di ciò che ha perso, le emozioni, la capacità di amare qualcuno incondizionatamente.
La frase "noi non siamo umani" dice tutto. Solo i prolet possono ancora salvarsi.
Osservando la donna robusta che allegramente ogni giorno stende il bucato, Winston si rende conto che i sentimenti che i membri del Partito non riescono più a provare appartengono ancora al popolo.
E' loro il futuro, è loro la speranza della rivoluzione. La loro forza e la loro tenacia è l'unica in grado di rovesciare il Grande Fratello.
Questa consapevolezza, che diviene man mano più evidente, rappresenta uno dei punti di svolta dell'intera vicenda, quella che darà idealmente il via alla seconda parte del romanzo (in realtà per l'autore le fasi sarebbero tre), contrassegnata da un ritmo decisamente più veloce. Se infatti per buona parte del libro la narrazione procede lentamente, e consiste praticamente nel seguire passo passo la vita di Winston (a lavoro, a casa, nel nascondiglio con Julia), nei capitoli finali la vicenda prende una piega decisamente diversa, più intensa e talvolta cruenta.
In ogni caso tutto il libro è caratterizzato da descrizioni accurate e dettagliate, e riflessioni estremamente profonde.
Queste ultime, per quanto interessanti, e in molti casi applicabili anche al giorno d'oggi, hanno però il deficit di spostare l'attenzione, eclissando le figure dei personaggi, che in alcuni frangenti paiono essere dei meri espedienti per esprimere delle considerazioni più importanti ed estranee alla storia in sé.
Ciò è evidente nell'intero capitolo dedicato al libro di Goldstein, che non fa altro che confermare i pensieri che Winston aveva già espresso più e più volte (una ridondanza assolutamente inutile).
D'altra parte le scene di vita familiare, i ricordi d'infanzia, l'osservazione del mondo dei prolet, che rappresentano a mio avviso i passi più coinvolgenti, risultano essere fin troppo rari, e lasciano fin troppe questioni in sospeso.
Nonostante queste piccole cose che, devo ammettere, mi hanno lasciato un po' perplessa, consiglio sicuramente questo libro agli amanti del genere distopico. Inoltre "1984" è uno di quei fortunati casi di classici senza tempo, che non perdono valore con l'andare degli anni, e risultano sempre attuali.

Considerazioni:
Se non hai letto il libro e hai intenzione di farlo fermati qui!
Riuscite ad immaginare una realtà in cui un solo partito regna incontrastato?
Un mondo in cui, pena la morte, non si può fare altro che seguire le sue regole?
Immaginate una vita scandita solo dall'orario di sonno e di veglia, in cui tutti non fanno altro che lavorare senza sosta, senza assaporare mai i frutti dei loro sacrifici.
E soprattutto provate a pensare a come vi sentireste sapendo che ogni vostro movimento, ogni parola, sguardo, espressione e perfino un sospiro sono perennemente osservati da un team di esperti che non fa altro che attendere il momento in cui il vostro corpo tradirà le emozioni che da tempo nascondete, rivelando il profondo odio che nutrite per chi sembra controllare tutto.
Bene, se ci siete riusciti allora potete anche intuire l'effetto che fa questo libro.
Se mi chiedessero difatti qual è il maggior pregio che ha l'opera di Orwell risponderei l'impatto psicologico che riesce a creare.
Lo scenario desolante e soprattutto l'assenza di qualsiasi libertà non fanno che rendere la narrazione sempre più angosciante.

Il teleschermo riceveva e trasmetteva contemporaneamente. Se Winston avesse emesso un suono anche appena appena più forte di un bisbiglio, il teleschermo lo avrebbe captato; inoltre, finché fosse rimasto nel campo visivo controllato dalla placca metallica, avrebbe potuto essere sia visto che sentito. Naturalmente, non era possibile sapere se e quando si era sotto osservazione. Con quale frequenza, o con quali sistemi, la Psicopolizia si inserisse sui cavi dei singoli apparecchi era oggetto di congettura. Si poteva persino presumere che osservasse tutti continuamente. Comunque fosse, si poteva collegare al vostro apparecchio quando voleva. Dovevate vivere (e di fatto vivevate, in virtù di quell'abitudine che diventa istinto) presupponendo che qualsiasi rumore da voi prodotto venisse ascoltato e qualsiasi movimento — che non fosse fatto al buio — attentamente scrutato. 

Prese dalla tasca una moneta da venticinque centesimi. Anche qui, in caratteri chiari e netti, erano incisi gli stessi slogan. Sul rovescio, la testa del Grande Fratello, i cui occhi anche qui parevano seguirvi. E lo stesso valeva per i francobolli, le copertine dei libri, gli stendardi, i manifesti, i pacchetti di sigarette. Quegli occhi vi seguivano ovunque e ovunque vi avvolgeva la stessa voce. Nella veglia o nel sonno, al lavoro o a tavola, in casa o fuori, a letto o in bagno, non c'era scampo. Nulla vi apparteneva, se non quei pochi centimetri cubi che avevate dentro il cranio.

Il seguire giorno per giorno la quotidianità di Winston, vedere come escogita piani anche solo per leggere segretamente un bigliettino, o per sfiorare di sfuggita la mano della sua amata, non possono lasciare indifferente il lettore.
Il confronto poi tra le scene che hanno come sfondo il Ministero o l'alloggio di Winston e gli attimi di libertà con Julia (nel nascondiglio del signor Charrington o nel bosco) non fanno che rendere tutto ancora più evidente.
Solo quando sente di non essere controllato il protagonista è davvero se stesso. Esente dalle regole e dai condizionamenti, capace del controllo delle sue azioni e della sua mente, capace finalmente di pensare e di ricordare.
Ogni minuto lontano dai teleschermi è un'opportunità per recuperare ciò che credeva perduto: non solo gli oggetti ormai introvabili, come stampe o vero caffè, o le vecchie filastrocche, ma anche l'amore e i sacrifici che solo una madre è capace di fare.
Devo ammettere che le seppur rare parti incentrate sull'infanzia dell'uomo sono state quelle che ho preferito, le uniche in cui si intravede un po' di umanità, e che rivelano emozioni sincere. Solo il confronto tra il passato, ossia i tempi antecedenti al Grande Fratello (o anche l'attuale mondo dei prolet) e la situazione presente può farci capire il vero stato delle cose.
Gli attuali abitanti della terra non sanno cosa significa vivere, non sanno più amare.
Il rapporto con Julia ne è la prova: dapprima politico, poi fisico, infine affettivo. Ma mai vero amore.
Ormai le persone come loro hanno dimenticato l'affetto ricevuto e sono incapaci di provarlo a loro volta.
Inoltre lo stesso Orwell risulta abbastanza contraddittorio riguardo la natura del loro rapporto.
In alcuni momenti Winston sembra soffrire l'assenza di Julia, in altri pare dimenticarsi addirittura della sua esistenza.

Solo assai di rado pensava a Julia. Non riusciva a concentrarsi su di lei. L'amava e non l'avrebbe tradita, ma si trattava semplicemente di un fatto nudo e crudo, come le regole dell'aritmetica. Non sentiva affetto per lei: anzi, quasi non si domandava che cosa le stesse accadendo.

Basti pensare all'ultima parte del romanzo, quella della cattura e della tortura. Entrambi non esitano a procurare sofferenze all'altro pur di liberarsi delle loro pene.
Per quanto riguarda proprio gli ultimi capitoli non sono di certo privi di colpi di scena.
Tuttavia una delle cose che mi ha colpito di più di quest'ultima parte è stata la capacità di Orwell di dare un senso logico a tutti i dettagli disseminati nel corso della lettura, dal terrore improvviso alla vista dei topi, ai ricordi legati alla cioccolata, all'abbraccio materno intravisto in una pellicola.
Quello che invece mi ha un po' deluso è stato il fatto di non dare un seguito a questi dettagli. Ad esempio, nell'ultima parte veniamo a conoscenza che ciò che terrorizza di più il protagonista sono i roditori, ma non ci viene detto se questa paura avesse o no un perché.
Allo stesso modo l'autore non esplicita se il gin che viene servito ad ogni ora del giorno abbia o meno l'effetto di alterare lo stato mentale di chi lo assume (a mo' di stupefacente e non di un normale alcolico) come in effetti sembrerebbe.
Non sappiamo inoltre che fine abbiano fatto la madre e la sorellina di Winston. Chi le ha sequestrate (a quei tempi ancora non c'era il Grande Fratello) e per quale motivo? E perché il padre non era con loro?
Queste e altre domande restano purtroppo senza risposta.
Di contro altri concetti vengono ribaditi più e più volte. In alcuni momenti, devo ammetterlo, mi è parso addirittura che Orwell credesse che il suo pubblico fosse talmente stupido da non riuscire ad afferrare le cose se non alla nona o decima volta.
Una delle cose che invece ho apprezzato è l'analisi delle tecniche psicologiche (e delle torture fisiche) utilizzate dal Partito per deviare le menti. E' stato interessante soprattutto vedere come molti di questi meccanismi (per fortuna non tutti) siano ancora oggi utilizzati dalla politica per convincere gli elettori con ideali e false promesse.
In conclusione, nonostante le mancanze che ho delineato, credo che il romanzo di Orwell sia uno di quei libri da leggere, non tanto per la storia in sé, quanto perché nati con lo specifico scopo di far riflettere, sulla società, sul potere e sulla fragilità della mente umana.

il mio voto per questo libro

8 commenti:

  1. A mio parere grandissimo libro. Tutti dovrebbero leggerlo almeno una volta nella vita!

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  2. Wow che recensione! complimenti!
    Ad un certo punto mi sono fermata perchè ho intenzione di leggerlo a breve.

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  3. Solitamente io e Little Pigo abbiamo opinioni abbastanza simili sui libri che abbiamo letto, ma questo non è il caso.
    Ho voluto leggere questo libro spinta dalla fama che lo precede, e dalle numerosissime opinioni positive lette a riguardo.
    Ora, sarà perché questo non è stato il mio primo approccio al genere (ho letto altri libri ambientati in scenari apocalittici), posso dire che non solo non mi ha affatto entusiasmata, ma ne sono rimasta completamente delusa.
    Una buona trama, sicuramente originale per i tempi in cui fu scritta, ma raccontata in modo piatto, ripetitivo e noioso.
    Per tutto il libro non si fa che ripetere i medesimi concetti all'infinito, come se fosse stato scritto pensando ad un lettore tipo un po' tocco.
    Il mondo che ci viene narrato da Orwell è diviso in tre grandi superpotenze Oceania, Eurasia ed Estasia, costantemente in guerra fra loro, ma allo stesso tempo completamente indipendenti.
    Non c'è scambio di informazioni, notizie e cittadini tra una superpotenza e l'altra.
    Le uniche notizie che provengono in Oceania, dove vive Winston Smith, il protagonista della storia, sono quelle che il Grande Fratello fa passare.
    Non c'è libertà di informazione, di pensiero, di agire, eppure tutti paiono avere la convinzione che questo sia un bene.
    Lo slogan del partito (“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza") è una contraddizione continua, ma nessuno sembra porsi domande a riguardo.
    Il linguaggio verbale è ridotto ai minimi termini per impedire il più possibile lo scambio di opinioni e pensieri tra un camerata e l'altro.
    La storia non esiste, il passato è manipolato e modificato in base alle necessità del momento.
    In tutto questo clima di repressione, Winston pare essere l'unico essere umano ancora capace di pensiero, l'unico ad avere un senso critico, e una certa memoria storica.

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  4. Cito un esempio che mi ha particolarmente colpito: un comunicato annuncia che la razione settimanale di cioccolata sarebbe passata dai 30 ai 20 grammi. Nessuno se ne lamenta ovviamente, sanno che non possono. Eppure il giorno dopo, durante la mensa, Winston si accorge che alla TV passano in onda dimostrazioni di gratitudine verso il Grande Fratello per aver aumentato la razione di cioccolata a 20 grammi settimanali!
    Lui si guarda attorno in quel momento e si chiede: "sono l'unico a ricordarsi che solo ieri avevamo diritto a 10 grammi in più?". E dalle facce che gli stanno attorno pare proprio di si.
    Come è possibile questo?
    Il protagonista non se lo spiega, io non me lo spiego (parliamo di cioccolata insomma! Se ti diminuiscono la razione da un giorno all'altro dovresti ricordarlo!) e nemmeno Orwell ce lo spiega.
    Ebbene si, perché alcuni concetti li ripete fino allo sfinimento ed altri non li sfiora nemmeno di striscio.
    Gli abitanti dell'Oceania erano tutti più o meno consapevoli, come Winston, ma fingevano di non esserlo per non avere ripercussioni?
    O erano solo troppo stolti e superficiali da porsi domande e indagare per ottenere le risposte e quindi, propensi ad accettare per buono tutto ciò che la TV gli dice (come l'italiano medio), o erano drogati?
    Il gin della vittoria da cui sembravano essere dipendenti era una droga?
    Comunque, tanta carne a fuoco in questo libro, tanti spunti di riflessione, ma affrontati in modo deludente.
    I risvolti, fatta eccezione per qualche particolare, sono prevedibili, come lo è il finale.
    Manca di emozioni, non è avvincente, non suscita, come invece un libro del genere dovrebbe, rabbia, rancore o senso di angoscia, che dovrebbe scaturire dalla totale privazione della libertà descritta in queste pagine.
    Il rapporto che nasce tra Winston e Julia, la camerata con la quale egli intraprende un rapporto amoroso clandestino, è superfluo, non porta a nulla se non alla ripetizione, per l'ennesima volta, dei soliti discorsi, e al desiderio, sempre più forte nel protagonista, della tanto agognata libertà.
    Quando poi a Winston viene consegnato dal camerata O'Brien, il famoso libro di Emmanuel Goldstein, la "bibbia dei ribelli" raggiungiamo definitivamente l'apoteosi della noia e della scontatezza.
    Per lunghissime e interminabili pagine leggiamo un vero e proprio libro di storia che, col senno di poi, continuo a chiedermi quale senso abbia avuto.
    Perché O Brian gliel'ha consegnato?
    Qual è il senso di fargli conoscere e credere dell'esistenza di certe cose per poi convincerlo dell'esatto contrario?
    Le cose che erano scritte in quel libro erano reali o un mucchio di balle come quelle che tutti i membri del partito sono soliti raccontare?
    Nella parte conclusiva, ovvero quando finalmente sembra accadere qualcosa, si ritorna nella monotonia.
    Orwell sotto le vesti di un O'Brian torturatore, si traveste nuovamente da maestrina e ci racconta ogni minimo particolare della cospirazione (e quindi della trama del suo libro) per poi rimangiarselo un istante dopo.
    Davvero sembra che Orwell abbia preso tutti i suoi lettori per cretini, mancava solo che ci facesse dei disegnini e ci mettesse vicino l'insegnante di sostegno.

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  5. L'ultima parte della lettura vede Winston torturato in maniera orrenda, e che nonostante questo continua, inverosimilmente, a ragionare lucidamente.
    Ed è quest'ultima parte ad avermi regalato le poche emozioni che ho ricavato dalla lettura di questo libro, ovvero disgusto e insofferenza.
    Disgusto per le atrocità descritte, insofferenza perché è stato davvero snervante leggere una serie infinita di dialoghi come questo:

    “Tutto quel che riusciva a desiderare era di poter tenere ancora quella fotografia tra le mani, o almeno di poterla vedere ancora per un “po'.
    « Esiste! » gridò.
    « No » disse O'Brien.
    E attraversò la stanza. C'era un buco della memoria nella parete opposta. O'Brien alzò lo sportello. Non veduto, il piccolo pezzo di carta andava girando su se stesso trasportato dalla corrente d'aria calda e quindi veniva distrutto da una fiammata. O'Brien si volse alla parete.
    « Ceneri » disse « e senza possibilità d'essere identificate. Polvere. Non esiste. Non è mai esistita! »
    « Ma è esistita! Esiste! Esiste nella memoria. Io me la ricordo. E tu te la ricordi. »
    « Io non me la ricordo » disse O'Brien.”

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  6. In conclusione voglio fare una riflessione.
    Qualche mese fa mi sono ritrovata su Facebook a confrontarmi con una scrittrice esordiente che criticava la saga "Hunger Games" senza nemmeno conoscerla.
    Tralasciando il fatto che a mio parere non si dovrebbe mai giudicare un libro che non ha letto, e che sentirlo fare da una scrittrice è stato davvero vergognoso (per lei, non certo per me), il punto è che lei vedendone il film ha giudicato il libro, come banale, una storia già vista, trita e ritrita.
    Poi, vabè, ha pure aggiunto che ogni cosa ormai è stata scritta, quindi mi domando per quale motivo lei si ostini a scrivere, ma stendiamo un velo pietoso e andiamo avanti.
    Io avendo letto la succitata saga, le ho risposto che avrebbe dovuto farlo se proprio ci teneva a denigrarla, e che a me era piaciuta molto, perché anche se poteva ispirarsi (come lei sosteneva), a qualcosa di già visto, io non avevo mai letto nulla di simile.
    E anche se lo avessi fatto, non avrebbe avuto importanza, perché quella saga mi ha saputo emozionare e tenere incollata alle sue pagine come pochi libri hanno fatto.
    Tutto questo per dire che 1984 sarà pure considerato il padre del genere distopico, e libri come "Hunger Games" potranno, da alcuni, essere considerati sempre e solo libri che si ispirano ai "grandi" senza esserne all'altezza, ma non è assolutamente vero!
    Perché per giudicare un libro non occorre aver letto tutto lo scibile umano e i precursori di ogni cosa.
    Un libro per essere considerato un grande libro deve emozionare, e questa è una cosa assolutamente soggettiva.
    E 1984 (per me) non rientra affatto in questa categoria.

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  7. "paiono essere dei meri espedienti per esprimere delle considerazioni più importanti ed estranee alla storia in sé."... è un male? Nel senso... A me piace quando la storia e i personaggi si mettono al servizio del messaggio che il libro vuole trasmettere, a te no?

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    1. Certo, anche a me, ma il punto qui è un altro. Le riflessioni espresse nel libro di Goldstein vengono ribadite più e più volte, a discapito di tante altre cose che vengono solo accennate.
      Avrei preferito non leggere per l'ennesima volta lo stesso concetto, ma sapere di più del passato dei personaggi, di cui sappiamo poco o niente.

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