martedì 20 maggio 2014

Recensione: "La mia amica ebrea" di Rebecca Domino

Titolo: La mia amica ebrea
Autore: Rebecca Domino
Canale di distribuzione: Lulu
Data di pubblicazione: 27 Gennaio 2014
Pagine: 300
Prezzo: 1,99 € (solo eBook)

Trama:
Josepha Faber ha appena compiuto quindici anni, e nonostante sia sul punto di vivere la fase più divertente ed eccitante della sua vita, i suoi pensieri sono ben lontani dalle frivolezze che di solito caratterizzano la sua età. Nella sua mente non c'è posto per i ragazzi, i vestiti o qualsiasi altro passatempo futile. Non più.
Ormai tutto quello a cui può pensare, tutto quello a cui tutti possono pensare, è la guerra che ogni giorno minaccia di uccidere gli abitanti di Amburgo.
Siamo infatti nel 1943 e nonostante le speranze, la guerra non pare vicina alla conclusione.
Se tuttavia durante il giorno la città tedesca tenta di preservare una parvenza di normalità, con le giornate scandite dal lavoro, lo studio, e gli aiuti per il fronte, la notte la situazione cambia. Di notte volano gli aerei, di notte cadono le bombe, di notte si teme di morire.
E così Josepha e le sue amiche, anche loro poco più che ragazzine, si trovano ad affrontare una situazione più grande di loro, ad immaginare la propria morte ancor prima di aver vissuto per davvero.
La situazione diventa ancora più preoccupante quando a casa Faber si presenta una famiglia di ebrei, in cerca di un posto sicuro e di un riparo dalle persecuzioni e dall'antisemitismo di cui sono vittime.
L'incontro di Josepha con i Binner, e soprattutto con la figlia minore, Rina, porterà la ragazza tedesca a riconsiderare tutto ciò in cui credeva.

Recensione:
Spesso, sia nei libri che nei film, ci è stata raccontata la terribile strage che ha visto, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, gli ebrei come involontari protagonisti. Raramente però abbiamo avuto il "privilegio" di osservare le loro vicende dal punto di vista di una tedesca, o meglio di un'ariana. 
Se dovessi indicare una delle particolarità di questo romanzo direi proprio l'aver scelto come protagonista Josepha Faber e non Rina Binner. Considerando che il fulcro della narrazione consiste nel rapporto d'amicizia tra le due, questo potrebbe sembrare un particolare di poco conto, ma in realtà non è così.
Il poter aver libero accesso ai pensieri e alle convinzioni di Josepha ci permette di conoscere un mondo freddo e crudele, capace di considerare delle persone, gli ebrei, poco più che degli oggetti. Cosa più importante è il fatto che la protagonista non si limiterà ad essere una testimone passiva di questo deprecabile atteggiamento, ma ne sarà, anche se in minima parte, uno degli autori. 
Così quella che in molte occasioni si mostra essere una dolce ragazzina, che non desidera altro che passare le giornate con le persone che ama di più, in tanti altri casi mostra un cinismo e una freddezza, che male si sposano con la sua età.
A causa di questo suo duplice atteggiamento, il lettore si trova a provare sensazioni contrastanti sul suo conto. Se durante i bombardamenti ne apprezza la forza, se nei dialoghi con le amiche comprendiamo la sua paura di crescere, se consideriamo più che giusto il suo amore per la patria, non riusciamo invece a provare empatia per lei, quando schernisce senza mezzi termini la famiglia di ebrei che si nasconde nella sua soffitta.
Tutto ciò ovviamente comincerà a mutare quando Rina e Josepha avranno occasione di approfondire la loro conoscenza, e scoprire che sono più simili di quanto potessero immaginare.

La immagino così vicina a me che, se la botola fosse aperta, riuscirei a toccarle una mano. 
Ma siamo separate da un semplice pezzo di legno. 
E dalle leggi del mondo là fuori.

L'incontro tra le due ragazze rappresenta difatti il punto di svolta dell'intera storia, che potrebbe essere teoricamente suddivisa in tre parti. 
Nella prima la narrazione è completamente incentrata su Josepha e la sua quotidianità. La osserviamo giocare e chiacchierare con le amiche di sempre, percepiamo i suoi pensieri malinconici, le sue ansie e le paure, la troviamo con la madre intenta a cucire per i soldati al fronte, o la vediamo scappare in cantina per sfuggire alle bombe. 
Se questa fase può sembrare talvolta ripetitiva, e con una partenza un po' lenta, ci aiuta però a capire i personaggi, e soprattutto la loro vita. Inoltre funge da contrasto con l'ultima parte che si presenterà più frenetica. 
Una delle cose che mi ha colpito di più, che è presente in tutto il libro, ma che in queste prime pagine risulta preponderante, è il contrasto tra i pensieri che Josepha e le sue amiche hanno, e quelli che invece dovrebbero avere. Le ragazze infatti, a dispetto della loro giovane età, non fanno altro che chiedersi quanto tempo resta a loro da vivere, se quella che stanno per vivere sarà o meno la loro ultima estate, se la guerra avrà prima o poi una fine.

Un uccellino passa poco sopra le nostre teste, le nuvole si trascinano nell'aria. 
- Ricordate la vita prima della guerra? – chiedo, retoricamente. 
 Nessuna delle mie amiche risponde, ma so che la ricordano benissimo. A volte, temo che un giorno mi sveglierò e non sarò più in grado di ricordare la vita prima del 1939: se anche allora le cose erano già strane, io ero troppo piccola per rendermene conto e comunque noi tedeschi potevamo vivere tranquillamente. 
Ho paura, ho paura che quei ricordi svaniranno e che questa guerra andrà avanti per altri anni e allora non ricorderò più com'era dormire senza il terrore di essere svegliati dal frastuono delle bombe, senza il terrore di non veder nascere il sole di un nuovo giorno.

Nonostante la velata tristezza di queste domande, il libro ha anche molti spunti vivaci e frivoli, caratterizzati in primis dalle loro prime cotte adolescenziali.
Inoltre nei capitoli iniziali l'autrice è stata capace di tratteggiare con grande intensità sia situazioni quotidiane, come la soffocante calura estiva, che eventi e sensazioni più traumatiche, una fra tutte il panico della famiglia Faber al cadere delle bombe. 
Le scene ambientate in cantina, pur ripetendosi più volte e più o meno con lo stesso contenuto, sono state dipinte in maniera sempre diversa, regalando emozioni differenti ad ogni passo. Ed è proprio la componente emozionale uno dei punti forti del romanzo: gli stati d'animo dei personaggi sono delineati in maniera così chiara e incisiva da riuscire a creare un grande impatto emotivo anche nel lettore.

I giorni passano. Siamo in attesa. Non più in attesa che le bombe smettano di cadere e la vita possa riassumere una parvenza di normalità, ma in attesa di sentire il frastuono. 
Non riesco più a guardare il cielo e a trovarlo meraviglioso. Adesso ne ho paura. So che il pericolo viene dall'alto, e noi possiamo fare ben poco per evitarlo.

Con l'arrivo della famiglia Binner, e soprattutto di Rina, la storia cambia. L'incontro tra le ragazze, la tedesca e l'ebrea, ci permette di comprendere meglio la personalità della prima e iniziare a conoscere la seconda. 
Se la diffidenza iniziale tra le due ci mostra la parte peggiore di Josepha, la quale non perde occasione per offendere e sminuire gli ebrei, le lettere successive, e per di più gli incontri segreti in soffitta, ci faranno apprezzare la sua parte più dolce. 
La loro amicizia, nata quasi per caso, e alimentata giorno per giorno, è raccontata in pagine di grande tenerezza.

Mi manchi molto. 
Mi manca parlare con te: mi raccontavi il mondo là fuori, e la vita come la vedi tu. 
Eri i miei occhi, il mio sorriso. 
Ti prego, continua a raccontarmela: raccontami quello che vivi, provi, vedi, sogni. 
Raccontamelo su questi pezzi di carta e immaginerò la tua voce. 
Vai là fuori, Seffi, e vivi. 
Vivi anche per me. 
La tua amica, 
Rina

Il tutto è poi arricchito da alcune trovate originali dell'autrice, come l'inserimento dei racconti della protagonista, che arricchiscono ulteriormente la narrazione (triste e delicato quello della ragazza alata, impersonata da Rina, come anche il paragone tra i musicanti di Brema e la condizione degli ebrei perseguitati).
Inoltre le loro conversazioni ci aiutano a capire la personalità di entrambe, confrontando i loro modi di vivere e le loro speranze. 
L'amicizia con Rina sarà per Josepha l'occasione per rivalutare tutto ciò in cui ha sempre creduto.
Più il loro legame si rafforza più lei si rende conto di aver sempre seguito le persone sbagliate, di aver sposato le idee degli altri, invece di averne di proprie.
Più si affeziona a Rina, più sente il bisogno di aiutarla e di difenderla, anche a costo di mettere in pericolo la sua famiglia, anche a costo della sua vita.

Rimaniamo così, in silenzio: so che lei deve aver pensato cose davvero cattive su di me, ma non me le dice. 
Io so quelle che ho pensato su di lei, sugli ebrei in generale. Ripenso al campo di Neuengamme. Cerco d’immaginare tutti gli altri campi, sparsi per la Germania. Mi figuro suo padre, tutto solo in un campo del genere, che si chiede se due dei suoi figli e sua moglie stanno bene. 
“Stanno bene, signor Binner” penso, mentre le lacrime mi bagnano gli occhi “d’ora in avanti ci penserò io. Proteggerò Rina, Uriel e la loro madre. Li proteggerò dalla Gestapo, dai campi, dal male. Li proteggerò da tutto”.

La terza parte si apre con un evento drammatico, tra l'altro realmente accaduto: il bombardamento a tappeto della città di Amburgo, noto anche con il nome di "Operazione Gomorra". 
Fu uno degli attacchi più devastanti della storia, compiuto dall'aviazione inglese, per mezzo di bombe incendiarie che diedero vita ad una vera e propria tempesta di fuoco, uccidendo, per asfissia, soffocamento, carbonizzazione, più di cinquantamila persone.
Se leggere queste mie ultime due frasi vi ha fatto un certo effetto, sappiate che non è nulla rispetto a quello che proverete leggendo gli ultimi capitoli del libro di Rebecca Domino, la quale, a mio avviso, è riuscita a ricreare magistralmente, l'atmosfera di devastazione e dolore che doveva far da padrone ad Amburgo, in quei terribili giorni del '43.
Leggere la paura negli occhi di chi cerca rifugio, la disperazione in una madre di fronte al corpo senza vita del figlio, la rassegnazione di chi, giunto sull'uscio della propria casa, non trova che macerie.
Con gli occhi di Josepha possiamo vedere tutto questo, e possiamo sentire la sua sofferenza, nello scoprire che tutto ciò che prima temeva è diventato realtà, e che il suo peggior incubo non era neppure paragonabile alla distruzione che ha poi effettivamente divorato tutto ciò che le era caro.

Vengo svegliata dal frastuono. Ricominciamo a gridare, a spingerci, a correre, anche se sappiamo benissimo che non c'è alcun posto sicuro. 
La notte si tinge nuovamente di giallo, le fiamme riprendono a lambire la via, sembra che qualcuno abbia accesso dozzine di fiaccole gigantesche. La mamma, Ralf ed io, come Anja e la sua famiglia, troviamo riparo dietro alle macerie di una casa. 
Abbraccio mia madre, e guardo la mia amica: Anja si volta verso di me. Ha il volto sporco e sudato, i capelli appiccicati alla fronte e ai lati della faccia. Mi chiedo come sono io. 
Cerco di non piangere, ma non ci riesco: vedo delle persone morire davanti ai miei occhi, e non posso fare niente per loro. 
A un certo punto, nascondo il viso contro il petto di mia madre e lascio che le sue parole senza senso mi cullino, mi portino via, in un mondo lontano, dove le bombe non possono cadere.

Con lei vediamo una città crollare, e cercare con pazienza di rimettere insieme i pochi pezzi rimasti in piedi.
Tutto quello che anche noi avevamo imparato a conoscere di colpo non esiste più, e le persone sopravvissute non sono più le stesse. La sola cosa che rimane loro è un grande vuoto e la speranza un giorno di ricominciare a vivere.

Considerazioni:
Leggere di eventi realmente accaduti, soprattutto quando si parla del più grande piano di sterminio messo in atto, non è mai facile.
Sapere che tutto quello che troverai nelle pagine che ti accingi a leggere è, sfortunatamente, realmente accaduto, per di più in un passato a noi prossimo, fa un effetto diverso, e sicuramente più forte, rispetto a letture di altro genere.
E ancora più difficile ritengo sia, per chi non l'ha vissuto, immaginare un universo di paura, ingiustizia e orrore, e metterlo su carta.
Ovviamente, come la stessa autrice, non posso dire con certezza che chi ha vissuto quella tragedia sulla sua pelle abbia effettivamente provato ciò che è descritto nel libro, tuttavia posso affermare che Rebecca Domino, nel suo piccolo, è riuscita a comunicare un dramma, che non dovrebbe essere dimenticato.
Penso inoltre che sia da apprezzare una scrittrice emergente che sceglie, per il suo romanzo d'esordio, un tema così importante, trattandolo con il massimo rispetto possibile.
Sarebbe stato molto più semplice, lasciatemi essere un po' polemica, raccontare la solita storia d'amore tra la ragazza della porta accanto e l'uomo tenebroso che, giunto dal nulla, le fa battere il cuore. Sarebbe stato più semplice e avrebbe avuto sicuramente un riscontro maggiore nel pubblico.
Però la strada più agevole non è sempre la migliore e "La mia amica ebrea" ne è la prova.
Difatti con questo libro non solo la Domino affronta un argomento serio come quello dell'antisemitismo, ma ce ne offre anche un aspetto diverso, e sicuramente meno noto, rispetto ai campi di sterminio.
E mi riferisco al tema degli "eroi silenziosi", ossia i tedeschi che, come i Faber, segretamente si sono opposti al regime, dando ascolto alla loro coscienza, e aiutando chi chiedeva di essere salvato.
Ma mi riferisco anche alla guerra psicologica attuata sugli ebrei, marchiati con una stella, costretti a sentirsi inferiori, a pensare di non essere degni della minima gentilezza ricevuta.
Lo vediamo ad esempio nel personaggio di Rina Binner, la ragazzina ebrea, che ringrazia Josepha per ogni piccolo gesto, che si ritiene fortunata quando quest'ultima si dimostra disposta a tenere una corrispondenza con lei, che considera il regalo di una sciarpa nera una cosa così importante e preziosa, da arrivare persino alle lacrime.
Lo capiamo ancora nell'amicizia che si viene a creare, che per buona parte del racconto, si dimostra sbilanciata ed impari.
Non è un rapporto come tutti gli altri, per Rina è un onore essere amica di un'ariana e per Josepha, almeno nella prima parte, è quasi uno sforzo anche il solo rivolgerle la parola. Per lei Rina, da essere inferiore quale è, dovrebbe esserle grata, del cibo, dei libri, delle lettere, di qualsiasi cosa.
Devo ammettere che a causa di questo atteggiamento ho provato un sentimento di amore-odio per la protagonista.
Pur avendola apprezzata in molte occasioni, e capita e compatita in tante altre, l'ho anche detestata in tutti i suoi primi approcci con gli ebrei. Il tutto raggiunge l'apice quando, con tutta la freddezza possibile, parla dei campi di sterminio, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

- Non ricordi cosa è successo al signor Lange? – chiedo, con le lacrime che mi bucano gli occhi – gli hanno sparato sul posto, papà –. 
Lui annuisce con aria grave. Naturalmente, non ho assistito a quella scena e neanche i miei famigliari: il signor Lange era un sarto ed era piuttosto conosciuto. 
Una sera, quando stava per chiudere bottega, due bambini ebrei si sono presentati da lui e gli hanno chiesto qualcosa da mangiare. L’uomo avrebbe dovuto mandarli via, addirittura cercare dei poliziotti e far sì che quei mocciosi venissero fatti allontanare da Amburgo, ma il signor Lange li fece entrare nel suo negozio, passando dalla porta sul retro. 
Era inverno, e quindi c’era poco cibo, e faceva freddo: il signor Lange dette da mangiare ai due bambini ebrei e quando uscì dalla bottega si ritrovò davanti alcuni agenti della Gestapo. 
Sicuramente qualcuno doveva aver visto tutto, doveva aver visto il reato commesso dal signor Lange. Un poliziotto gli sparò sul posto. Si dice che il signor Lange sia caduto a terra senza emettere un verso, come un pupazzo lasciato cadere contro il terreno. 
Poi i soldati hanno portato via i due bambini, tutti pensano che li abbiano portati nei campi. Si dice che laggiù i bambini non lavorino, almeno quelli piccoli, così li ammazzano subito perché non servono a niente. 
A volte penso che siano solo dicerie, perché alcune persone dicono che, invece, là sgobbano tutti.

E non avrei avuto nulla da ridire se il personaggio di Josepha ci fosse stato presentato come uno dei più accaniti sostenitori della purezza della razza ariana, e di qualsiasi altro aspetto della propaganda Hitleriana (come è ad esempio il fratello Ralf).
La vediamo invece inizialmente indecisa, nel leggere i libri del regime, e incredula, quando tutti le dicono del grande pericolo che gli ebrei rappresentano, e di come questi siano abili a fingere di essere quello che non sono.
Poco dopo però la ragazza non manca di manifestare tutto il suo astio nei confronti dei Binner, ribadendo quanto siano inferiori, di come pensino solo al cibo, di come non possano neanche osare lamentarsi della loro situazione.
Per questi motivi, almeno nella prima parte, Josepha mi è sembrata un po' incoerente.
Se da una parte questa sua confusione può essere giustificata dalla giovane età, e dalle idee, errate, che le sono state inculcate, in alcuni punti mi è parsa fuori luogo.
Ho anche pensato, e questa è l'unica critica che potrei fare al libro, che la scrittrice abbia voluto ad un certo punto forzare l'avversione di Josepha per gli ebrei, per rendere poi più sorprendente l'amicizia che si viene a creare in un secondo momento.
Personalmente mi ci è voluto un po' per dimenticare il suo atteggimento ostile e apprezzare appieno i suoi successivi gesti d'affetto.
Per di più la ragazza si dimostra incoerente anche in altre occasioni, come quando, pur avendola provata sulla sua pelle, non comprende l'ansia e la paura della signora Amsel, la quale teme il ritorno del marito al fronte.
A parte Josepha, tutti gli altri personaggi mi hanno convinto. Anzi la scrittrice è stata brava a delinearli anche solo con pochi tratti. Senza dilungarsi in lunghe descrizioni è riuscita a trasmettermi la timidezza di Trudi, la bontà e il coraggio di Jens, la spensieratezza di Anja e Jutte, la cortesia e il garbo di Curt, la forza di Uriel, e ovviamente la dolcezza di Rina.

- Ti voglio bene – aggiunge, con un filo di voce, poi mi stringe in un abbraccio e, mentre respiro il suo odore e le cingo il busto, lei dice – ti voglio bene, Seffi, te ne vorrò per sempre – 
Ci sono momenti che ti cambiano la vita. 
Pensavo di essere già cambiata del tutto quando ho capito che quello che dice la propaganda non ha alcun senso logico, ma quelle semplici parole pronunciate da Rina mi hanno cambiata un’altra volta.

E' riuscita a farmi affezionare ad ognuno di loro (anche ad altri che non ho citato), a patire per le loro disgrazie, a dispiacermi per l'inevitabile morte di alcuni.
Inoltre, e credo questa sia una cosa importante, ce li mostra in un modo nella prima parte, per poi farci capire come le circostanze, e in questo caso la sofferenza, possano averli cambiati. 
Ci fa intuire come la tragedia sconvolge tutti, che ciò che era importante non lo è più, mentre cose che prima non erano prioritarie divengono invece preziose.
Ad esempio Josepha, che non prestava attenzione ai ragazzi e si rifiutava di crescere, ci riappare, dopo il bombardamento più matura, e bisognosa d'affetto. Anja al contrario, non gioca più a fare la donna, e porta sul volto e negli occhi, tutti i segni delle perdite che ha dovuto subire.

Anja, sua madre e suo fratello si uniscono a noi, ma non parliamo quasi mai. La mia amica siede accanto a sua madre: è come se fosse invecchiata di cinquant'anni in un paio di giorni. 
Io stessa mi sento così, anzi, mi sento senza tempo e senza età. Se qualcuno mi chiedesse “quanti anni hai?” risponderei “non lo so, ma sono quaggiù da troppo tempo”.

Sia per questo mutamento nei personaggi, che per l'impatto emotivo e le descrizioni dettagliate, intense e toccanti, posso dire di aver letteralmente amato gli ultimi capitoli. 
"L'amica ebrea" è il tipico libro che, come un crescendo, ti prende sempre di più, anche grazie al pathos e al ritmo serrato degli eventi drammatici che nell'ultima parte contrastano con gli accadimenti, quotidiani e ripetitivi, della prima.
E' anche uno di quei libri che alla fine ti lascia un senso di vuoto, uno di quelli che si chiude con tristezza.
E questo grazie all'abilità di Rebecca Domino, capace di raccontare le emozioni con estremo realismo, ma capace anche, e soprattutto, di combinare, nel pieno rispetto della realtà degli eventi, dati storici con aneddoti di fantasia. 
Un libro che, grazie a questo mix ben riuscito, emoziona e fa riflettere. 
Sicuramente da leggere.

il mio voto per questo libro

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