martedì 25 novembre 2014

Estratto: "1984" di George Orwell

Salve avventori!
Il passo che vi propongo oggi è tratto da uno dei libri che ho letto recentemente, ossia "1984" di George Orwell.
Come molti sapranno il romanzo dipinge in modo esemplare le dittature instauratesi in tutto il mondo a seguito di un immaginario disastro atomico. In particolare l'attenzione dello scrittore si concentra sull'Oceania, uno dei tre continenti superstiti, governata dal brutale Grande Fratello e dalle sue ferree regole: non pensare, non amare, non provare alcuna emozione, ma soprattutto obbedire sempre e solo al Partito.
Una delle cose che ho amato di più di questo libro è il contrasto tra questo scenario arido e sterile e i veri sentimenti che sembrano appartenere ormai solo al passato. 
Tuttavia Winston, il protagonista della storia, osservando il ceto popolare dei prolet, si rende conto che non tutto è perduto, che forse un futuro senza il Grande Fratello è ancora possibile...

Quella donna laggiù in cortile non possedeva una mente, aveva soltanto un paio di braccia robuste, un cuore caldo e un ventre fertile. Winston si chiese quanti figli avesse messo al mondo. Con ogni probabilità, almeno una quindicina. Per un anno, forse, era stata in piena fioritura, in una sorta di selvatico rigoglio, poi d'un tratto si era gonfiata, come un fiore quando viene fecondato, e si era fatta tozza, violacea, grossolana. Da quel momento la sua vita non era stata altro che lavare panni, strofinare pavimenti, rammendare, cucinare, spazzare, lucidare, rattoppare, poi di nuovo strofinare, lavare panni, prima per i figli, quindi per i nipoti, e così per trent'anni, senza interruzione. 
Dopo tutto questo patire, continuava a cantare. Quella sorta di mistica reverenza che egli provava nei suoi confronti si confondeva in qualche modo con l'aspetto del cielo pallido e senza nubi che si allungava all'infinito dietro i comignoli delle case. 
Era curioso pensare che tutti, in Oceania come in Estasia, erano sotto il medesimo cielo. E anche le persone sotto il cielo erano più o meno le stesse in ogni luogo — ovunque, in tutto il mondo, centinaia o migliaia di milioni di persone come questa, che non sapevano nulla delle rispettive esistenze, separate com'erano da mura di odio e di menzogne, eppure affatto simili — persone che non avevano mai appreso a pensare ma che racchiudevano nei loro cuori e ventri e muscoli il potere che un giorno avrebbe messo il mondo sottosopra. 
Se una speranza c'era, questa risiedeva fra i prolet! Pur non avendo letto la fine del libro, sapeva che il messaggio conclusivo di Goldstein doveva essere questo. Il futuro apparteneva ai prolet.

2 commenti:

  1. Non sono ancora riuscita a leggere questo libro, anche se mi riprometto continuamente di farlo. Spero di riuscire a farlo presto e complimenti per la scelta: il brano che hai citato è davvero interessante :)

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  2. Come Siannalyn ho tutte le intenzioni di leggere questo classico, me lo sono ripromessa e so che ce la farò :-)
    L'estratto è già di per sé una garanzia!
    Ciaooooo

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