martedì 8 giugno 2021

Recensione: “Qui nel mondo reale” di Sara Pennypacker

Titolo: Qui nel mondo reale
Titolo originale: Here in the Real World
Autore: Sara Pennypacker
Illustrazioni: Jon Klassen
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 27 ottobre 2020
Pagine: 304
Prezzo: 17,00 €

Trama:
Ware non vede l’ora di trascorrere l’estate perso nel suo mondo, a sognare di cavalieri medievali e, in generale, per i fatti suoi. Ma i genitori lo iscrivono all'odiato centro estivo, dove dovrà sopportare “interazioni sociali significative” e tutte le attività previste per i cosiddetti “ragazzi normali”.
Quando scopre una chiesa in rovina poco distante, l’estate prende una piega decisamente più avvincente. In mezzo alle macerie incontra una ragazzina che coltiva papaye. Si chiama Jolene e non lo accoglie di certo a braccia aperte; prima cerca di cacciarlo, poi non smette di prenderlo in giro e dirgli che lui non vive nel mondo reale. Per quanto siano diversi, i due hanno però una cosa in comune: per loro quel posto diventa un rifugio. Un rifugio minacciato, purtroppo, che Ware è deciso a salvare seguendo le regole del codice cavalleresco.
Ma com'è un eroe nella vita vera? E cosa possono fare due ragazzini da soli?

Recensione:
“Qui nel mondo reale” è un libro scritto per i sognatori, per tutti coloro che amano le storie, le avventure e hanno un grande senso di giustizia e che in quella giustizia ci credono fortemente.
Ware, il piccolo protagonista di questo libro, è un ragazzino particolare, diverso dalla norma e dai tipici ragazzini della sua età.
Se i suoi coetanei amano giocare insieme a calcio, fare sport, e stare in gruppo, Ware preferisce di gran lunga starne fuori.
Lui adora leggere libri, viaggiare con la fantasia, perdersi nei sogni ad occhi aperti, costruire fortini e castelli, e stare da solo.
La solitudine non lo spaventa, non lo fa sentire isolato o triste, no, lui è perfettamente a suo agio con se stesso, ed è di quella solitudine che ogni tanto ha bisogno per riprendersi dal caos e dal trambusto del mondo circostante.
È diverso, ma non per questo sbagliato.
Purtroppo, le particolarità delle persone, ciò che le rendono diverse dalla massa, e quindi uniche e speciali, sono spesso mal viste dagli altri.
Ma è terribile quando chi non ti comprende, chi cerca di cambiarti e volerti diverso è proprio la tua famiglia, tua madre e tuo padre, le persone che dovrebbero capirti di più al mondo.
E a Ware succede proprio questo. 
I suoi non lo fanno con cattiveria, eppure c’è tanta ignoranza, e chiusura nei loro pensieri. Poca sensibilità ed empatia nei loro discorsi.
Sua madre non riesce a pensare ad una felicità diversa dalla sua, lei che da ragazzina era così popolare, che aveva tanti amici, come può concepire che suo figlio sia soddisfatto e contento nella sua solitudine?
Non lo ascolta, non per davvero. Non tiene conto dei suoi desideri, ma pensa solo a ciò che, secondo il suo modo di vedere le cose, è giusto per lui.

«Sdraiato sul pavimento? Perché non mi hai sentita? Sai quanto mi sono preoccupata? Cosa stavi facendo?»
«Stavo... pensando agli otto.»
«Cosa?» 
«Guardando» si era corretto «Guardando come gli otto in realtà sono cerchi su altri cerchi.» Sperava di aver dato la risposta giusta , quella che avrebbe scacciato l’ansia della mamma. 
Non era stato così. 
«Guardare non è fare, Ware. Cosa stavi facendo?» 
«lo stavo facendo nella mente.» Aveva indicato il soffitto, aveva cercato di mostrarle come i vortici di intonaco creavano un’infinità di simboli dell’infinito verticali. «Vedi?» 
«Oh, Ware» aveva detto lei sprofondando nel letto con la testa tra le mani. «Io voglio solo che tu sia felice.» 
Questo lo aveva solo confuso ulteriormente. Sdraiato sul pavimento, aveva avvertito la presenza fisica della felicità. Si era sentito come se avesse inghiottito un seme che brillava. Ma il viso della mamma era triste... 
«Ci proverò mamma» aveva promesso, credendoci «Ci proverò di più.»

Così, per far sì che il loro unico figlio diventi più “normale”, più ordinario, decidono - nonostante le numerose rimostranze del ragazzo - di iscriverlo ad un centro estivo. Un luogo pieno di coetanei e di attività da fare insieme.
E se alcuni ragazzini sarebbero entusiasti all'idea di spendere il loro tempo e la loro estate in questo modo, Ware non lo è affatto! Per lui è una tortura.
Ma da bambino sensibile qual è, e per non provocare inutili dispiaceri e preoccupazioni ai suoi, accetta il suo destino.

Ma l’estate si rivelerà ricca di sorprese e deliziosi imprevisti, e non perché muterà il suo modo di essere, o rivaluterà l’importanza della socializzazione, o ancora, capirà di essere “sbagliato”, cambiando rotta. No!
Questo sarebbe stato davvero un messaggio sbagliato, e per fortuna la storia andrà in maniera molto diversa.

Ware ci prova a frequentare quel campo estivo, ma più ci prova più capisce che quello non è il luogo per lui, che quella non è la sua idea di divertimento e che lui così non sarà mai felice.
Ma la felicità può essere proprio dietro l’angolo e Ware la troverà nei resti di una vecchia chiesa abbandonata, sul retro del campo estivo.
Qui conoscerà Jolene, una ragazzina apparentemente scorbutica, che coltiva papaye nel parcheggio della chiesa.
Una ragazzina con un sogno da realizzare e tanto bisogno di aiuto per farlo. Aiuto che non chiederà mai espressamente, perché troppo orgogliosa per farlo.
E Ware sarà lì per lei, ad aiutarla a coltivare, non solo le papaye, ma anche il suo sogno, a ricordarle di credere in ciò che fa e in se stessa, e prometterle che non perderanno il loro terreno e - da bravo cavaliere - a lottare sempre per ciò che è giusto.

Dal suo canto Jolene che, ha sì un sogno da realizzare, ma vive con i piedi ben piantati a terra, ripeterà spesso e volentieri al nostro piccolo protagonista che “non siamo nel Magico Paese della Giustizia, ma qui nel mondo reale” e nel mondo reale i sogni, i desideri e la giustizia, non hanno mai la priorità.

Ma Ware, nonostante la sua giovane età, nonostante le avversità e la promessa quasi impossibile da mantenere, riuscirà in tantissime cose in quella estate che aveva tutte le premesse per essere bollata come disastrosa.
Si farà dei buoni amici e farà di tutto per aiutarli, troverà la sua strada e capirà più a fondo se stesso, e riuscirà ad esprimere i suoi sentimenti ai genitori e farsi accettare per ciò che è: un bambino particolare, ma felice.

“E Ware sorprese se stesso. Disse tutto allo zio. Che si sentiva diverso dagli altri ragazzi, che ruzzolavano nella vita in branchi, che saltavano in mezzo a quello che accadeva, qualunque cosa fosse. Che a lui piaceva osservare le cose dai margini per un po’, fare una ricognizione dalla torre di guardia. E che poteva passare ore da solo, a fare cose o solo a pensare, senza annoiarsi. E poi disse allo zio la cosa peggiore. «Lei vorrebbe avere un figlio normale.»”

Mi sono riconosciuta molto in Ware, il piccolo protagonista di questo libro.
Per la sua sete di giustizia, il suo essere sognatore e per il suo sentirsi un po’ diverso dai coetanei.
Per volere cose diverse da quelle che ci si aspetterebbe da lui, e sentirsi giudicato per questo.
Sara Pennypacker ha dato vita ad un libro meraviglioso, perfettamente in bilico tra favola e realtà.
Tra il mondo di Ware che vive con la testa per aria, in un pianeta dove tutto dovrebbe essere giusto e felice, e quello di Jolene dove mai nulla lo è stato.
I due mondi si mischiano perfettamente tra loro, si influenzano e si mescolano, in un’ambientazione reale - il parcheggio di una chiesa - che i due trasformano in un vecchio castello che pare uscito da un libro di cavalieri e principesse.

Gli adulti compiono un ruolo marginale, ma fondamentale, per i due ragazzini, perché sono loro che li hanno plasmati, dando vita alle loro forze e debolezze.
Facendo credere a Jolene che non cambierà mai niente nella sua vita, spingendola quindi a non credere in se stessa; facendo credere a Ware che se non cambierà se stesso non gli succederà mai niente di buono.
Ed è stato triste e straziante leggere la disperazione con cui, quel dolce e sensibile bambino ha, quasi fino alla fine, sperato in una miracolo che lo facesse diventare come gli altri, solo per rendere felice sua madre, non pensando mai a rendere felice se stesso.
Perché lui era già felice così, ed è questo ciò che conta, non seguire gli ideali di vita altrui.
E sarebbe bastato così poco, anche solo ascoltare ciò che aveva da dire, per comprenderlo.

Durante la lettura ho davvero sentito di volergli bene, di volerlo abbracciare, stringere forte e dirgli che non necessariamente bisogna essere tutti uguali.
Che non avrebbe mai dovuto desiderare di cambiare per essere un po’ più adatto al mondo, ma è il mondo, semmai, che dovrebbe essere un po’ più adatto a lui.

Ringrazio Rizzoli per avermi omaggiato di una copia cartacea di questo libro

il mio voto per questo libro


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