martedì 28 settembre 2021

Review Party - Recensione in anteprima: "Il filo avvelenato" di Laura Purcell

Titolo: Il filo avvelenato
Autore: Laura Purcell
Editore: Mondadori
Data di pubblicazione: 21 settembre 2021
Pagine: 420
Prezzo: 20,00 €
Trama:
Gran Bretagna, prima metà dell'Ottocento. Dorothea Truelove è giovane, bella e ricca. Ruth Butterham è giovane, ma povera e consumata da un segreto oscuro e terribile. Un segreto che rischia di condurla alla forca. 
I loro destini si incrociano alla Oakgate Prison, dove Ruth è rinchiusa in attesa di un processo per omicidio, e dove Dorothea si dedica ad attività caritatevoli; soprattutto, qui la ragazza trova il luogo ideale per mettere alla prova le neonate teorie della frenologia - secondo cui la forma del cranio di una persona spiega i suoi peggiori crimini - che tanto la appassionano. 
L'incontro con Ruth fa però sorgere in lei nuovi dubbi, che nessuna scienza è in grado di risolvere: è davvero possibile uccidere una persona usando solo ago e filo? 
La storia che la prigioniera ha da raccontare - una storia di amarezze e tradimenti - scuoterà la fede di Dorothea nella razionalità e nel potere della redenzione. 

Recensione:
Dorothea Truelove e Ruth Butterham non potrebbero essere più diverse: la prima, una ricca ereditiera, si dedica anima e corpo alla scienza e alle opere pie, la seconda invece, che nella sua vita non ha conosciuto altro se non povertà e sofferenza, è rinchiusa nel carcere di Oakgate, in attesa di giudizio. 
La misteriosa Ruth infatti, pur avendo solo sedici anni, si è macchiata della peggiore delle colpe: l'omicidio.
Un assassinio pianificato nel tempo e alimentato dall'odio e dal rancore. Un delitto messo in atto però con la più insolita delle armi: un ago scintillante e del semplice filo di cotone.
Ebbene sì, perché la giovane sarta ha da sempre un dono, o per meglio dire una condanna, di cui non riesce proprio a liberarsi. Mentre cuce, ciò che prova, si imprime sulla stoffa e sui punti, il suo dolore diventa il dolore delle donne che indossano gli abiti da lei confezionati, il suo risentimento penetra dalle vesti alla pelle, provocando nelle vittime inconsapevoli, angoscia e afflizione nel migliore dei casi, terribili agonie e persino la morte, nel peggiore.
 
Ogni lavoro di cucito può contenere una vita intera; è questo che la gente non capisce. Si può trasmettere all’ago qualsiasi emozione del cuore umano e il filo la assorbirà. Si può ricamare con tenerezza, passare a forza di punti dal panico alla calma, si può ricamare con odio. 
Cucire di furia non mi ha portato nulla di diverso da matasse aggrovigliate e orli malfatti, eppure si può fare. Meglio attendere l’odio. Un odio lento, misurato. Nessuno si accorgerà che è lì, che cova nelle vostre dita, all’infuori di voi e dell’ago. 
Si dice che l’odio sia un’emozione inutile, una forza distruttiva che non può condurre a nulla di buono. Non è così. Io alla rabbia mi sono aggrappata, l’ho brandita come un’arma. 
Non fate quella faccia. Non vi è mai capitato di provare odio per un vostro simile, non è vero?
Affinché accada la prima volta ci vuole qualcuno di speciale. Una persona che avreste amato, se solo ve ne avesse dato l’occasione. 
Ma il suo disprezzo vi accartoccia il cuore, come una gonna di crespo sotto la pioggia. Mostra una certa immagine di voi, che è debole e ripugnante ai vostri stessi occhi. 
Sì, serve qualcuno dotato di una peculiare inclinazione alla crudeltà per spingervi a provare l’odio di cui sto parlando. Qualcuno come Rosalind Oldacre.

La sfortunata Ruth ha ucciso, è vero, ma il più delle volte senza sapere ciò che stava facendo, senza voler davvero arrecare danno a qualcuno.
E cosa c'è di peggio che sentirsi colpevole di qualcosa che non si aveva alcuna intenzione di compiere? Quale pena maggiore se non sapere di essere l'unica responsabile della rovina che ha colpito la propria famiglia?
Un romanzo che, mediante le due voci narranti, ci guida in un mondo fatto di miseria e patemi d'animo, in un cono d'ombra che, andando avanti con le pagine, si fa sempre più stretto e buio.
Perché per la povera Ruth non c'è speranza, non c'è pace né amore, solo dolore che si aggiunge a dolore, crudeltà che si aggiunge a crudeltà, fino a rendere il suo stesso cuore sempre più freddo ed ostile.
Quella ragazzina che sognava solo un po' di normalità, finisce per diventare il mostro che tutti credevano che fosse. L'odio che gli altri hanno riversato su di lei, ha finito per consumarla, per farle desiderare di instillare nei suoi aguzzini la sua stessa sofferenza, per farle scegliere di diventare un'assassina.
 
Mentre lavoravo, gli occhi mi si riempirono di lacrime. Con il pensiero tornai agli eventi della giornata, riportandoli a galla uno dopo l’altro: ogni insulto, ogni calcio, ogni ciocca di capelli tirata. 
Quindi pensai alla sposa che avrebbe indossato quei guanti: un’apparizione in bianco con un uomo pronto a giurarle devozione eterna. Qualcosa che io non avrei mai avuto. Avrei ricamato guanti, e forse la gente li avrebbe desiderati, ma nessuno avrebbe mai voluto me. Sarei rimasta chiusa in una bottega con le mani piene di freddo denaro mentre belle donne uscivano con indosso i miei guanti per tornare danzando alle loro vite. 
C’erano solo tre cose che avrei voluto per il futuro: un viso di cui non provare vergogna; un marito che mi amasse; la possibilità di confezionare e indossare bei vestiti. Non mi parevano desideri eccessivi. Eppure già allora, a dodici anni, ero consapevole che nessuno di essi si sarebbe avverato. Nessuno poteva avverarsi. 
Cosa ne sarebbe stato, dunque, di me?

Un racconto che è più una confessione, e che ha come uditorio la compassionevole Miss Truelove, e allo stesso tempo noi lettori.
Più si procede con la storia di Ruth, più si ha voglia di sapere, di scavare nella sua mente, di capirne i meccanismi, di analizzare gli input che hanno portato a certe azioni.
E se l'interesse della venticinquenne Dorothea è inizialmente animato più che altro da fini accademici - e più precisamente dalla branca della frenologia, volta a dimostrare una correlazione tra la conformazione del cranio e la propensione verso determinati comportamenti - con il passare dei giorni, saranno la curiosità e la compassione ad avere la meglio, in lei, come in noi.
Una cosa è certa, le vicende della sarta sono tanto appassionanti, quanto tristi e deprimenti. Mentre si legge, non si riesce a non provare empatia per quella sventurata, non si riesce a non sperare di vedere prima o poi per lei, se non uno spiraglio di gioia, almeno un briciolo di giustizia.
Ma se la figlia maggiore dei Butterham, giustamente, catalizza le nostre attenzioni, devo ammettere che anche la sua interlocutrice è un personaggio che non manca di personalità.
Dorothea Truelove è infatti una donna emancipata e moderna, che alterna interessi scientifici ad opere di carità, che cerca di alleviare le pene del prossimo, che è capace di amare, e non prende in considerazione il pretendente più ambito, ma il compagno di vita che saprà renderla felice.
Per fare ciò deve scontrarsi non solo con le resistenze della società che non vede di buon occhio una donna così all'avanguardia, ma anche con il padre restio di fronte ad una figlia così controcorrente. 
Ho apprezzato molto come entrambe le protagoniste, nonostante il conflitto di classe, abbiano sin da subito abbattuto le barriere e i pregiudizi.
Inoltre anche le altre figure femminili, dalla madre di Ruth - la fin troppo remissiva Jemima Trussell - alle colleghe Miriam e Nell, fino alle spregevoli Metyard e alla insensibile Rosalind Oldacre, tutte con i loro caratteri ben definiti, contribuiscono a dar vita ad un panorama variegato e ricco di sfumature.
Non si può dire lo stesso per gli uomini, primo fra tutti l'indolente signor Butterham, così preso dai suoi passatempi e dalla sua voglia di rivalsa, da non rendersi conto della famiglia che cola a picco o, peggio ancora il vile Mr Truelove, incurante dei sentimenti della figlia, così devoto alla sua immagine pubblica da dimenticare anche chi lo ha amato davvero.
 
Era un modo di dire tipico di mio padre: stare a galla. In effetti avevo l’impressione che lui galleggiasse - teneva la testa a filo d’acqua e continuava a dipingere i suoi quadri. Ma nel frattempo, sotto la superficie, la mamma annaspava tra fango e canne.

Ma ora veniamo all'aspetto più importante del romanzo, quello che dà alla trama un tocco horror e che la avvicina alla letteratura gotica.
Come nella precedente opera di Laura Purcell, "Gli amici silenziosi", anche qui le vicende hanno un che di inspiegabile e sovrannaturale.
La povera Ruth sembra una calamita per le disgrazie: è davvero lei a causarle con la sua maestria nel cucire, o sono solo coincidenze?
In un modo o nell'altro, reputo la trovata geniale, un'idea originalissima che non può non lasciare con il fiato sospeso fino alla fine.
E a proposito dell'epilogo, esso rivela un inaspettato colpo di scena, che tuttavia mi ha lasciato un po' di amaro in bocca.
Perché, dopo tanto patire, avrei voluto per la povera Ruth un vero riscatto o perlomeno un po' di serenità, e poi perché - senza scendere nei dettagli - credo che le battute finali snaturino il personaggio di Dorothea, da sempre estremamente razionale, non incline alla vendetta o alla collera.
Non so, non mi ha convinto fino in fondo. Ciò non toglie il fatto che "Il filo avvelenato" è una delle storie più coinvolgenti e particolari che abbia mai letto, una di quelle che regala emozioni contrastanti e che si fa fatica a dimenticare.  

Ringrazio la casa editrice Mondadori per avermi fornito una copia di questo romanzo

il mio voto per questo libro


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